Et
quoniam ad haec ventum est, non ab re fuerit subtexere, quae ei prius quam nasceretur et ipso natali die ac deinceps evenerint,
quibus futura magnitudo eius et perpetua felicitas sperari animad vertique posset. Velitris antiquitus tacta de caelo parte
muri, responsum est eius oppidi civem quandoque rerum potiturum; qua fiducia Veliterni et tunc statim et postea saepius paene
ad exitium sui cum populo Romano belligeraverant; sero tandem documentis apparuit ostentum illud Augusti potentiam portendisse.
Auctor est Iulius Marathus, ante paucos quam nasceretur menses prodigium Romae factum publice, quo denuntiabatur, regem populo
Romano naturam parturire; senatum exterritum censuisse, ne quis illo anno genitus educaretur; eos qui gravidas uxores haberent,
quod ad se quisque spem traheret, curasse ne senatus consultum ad aerarium deferretur. In Asclepiadis Mendetis Theologumenon
libris lego, Atiam, cum ad sollemne Apollinis sacrum media nocte venisset, posita in templo lectica, dum ceterae matronae
dormirent, obdormisse; draconem repente irrepsisse ad eam pauloque post egressum; illam expergefactam quasi a concubitu mariti
purificasse se; et statim in corpore eius exstitisse maculam velut picti draconis nec potuisse umquam exigi, adeo ut mox
publicis balineis perpetuo abstinuerit; Augustum natum mense decimo et ob hoc Apollinis filium existimatum. Eadem Atia prius
quam pareret somniavit, intestina sua ferri ad sidera explicarique per omnem terrarum et caeli ambitum. Somniavit et pater
Octavius utero Atiae iubar solis exortum. Quo natus est die, cum de Catilinae coniuratione ageretur in curia et Octavius ob
uxoris puerperium serius affuisset, nota ac vulgata res est P. Nigidium, comperta morae causa, ut horam quoque partus
acceperit, affirmasse dominum terrarum orbi natum. Octavio postea, cum per secreta Thraciae exercitum duceret, in Liberi patris
luco barbara caerimonia de filio consulenti, idem affirmatum est a sacerdotibus, quod infuso super altaria mero tantum flammae
emicuisset, ut supergressa fastigium templi ad caelum usque ferretur, unique omnino Magno Alexandro apud easdem aras
sacrificanti simile provenisset ostentum. Atque etiam sequenti statim nocte videre risus est filium mortali specie ampliorem,
cum fulmine et sceptro exuviisque Iovis Optimi Maximi ac radiata corona, super laureatum currum, bis senis equis candore eximio
trahentibus. Infans adhuc, ut scriptum apud C. Drusum exstat, repositus vespere in cunas a nutricula loco plano, postera luce
non comparuit, diuque quaesitus tandem in altissima turri repertus est iacens contra solis exortum. Cum primum fari coepisset,
in avito suburbano obstrepentis forte ranas silere iussit, atque ex eo negantur ibi ranae coaxare. Ad quartum lapidem Campanae
viae in nemore prandenti ex inproviso aquila panem ei e manu rapuit et, cum altissime evolasset, rursus ex inproviso leniter
delapsa reddidit. Q. Catulus post dedicatum Capitolium duabus continuis noctibus somniavit: prima, Iovem Optimum Maximum e
praetextatis compluribus circum aram ludentibus unum secrevisse atque in eius sinum signum rei publicae quam manu gestaret
reposuisse; at insequenti, animadvertisse se in gremio Capitolini Iovis eundem puerum, quem cum detrahi iussisset, prohibitum
monitu dei, tanquam is ad tutelam rei publicae educaretur; ac die proximo obvium sibi Augustum, cum incognitum alias haberet,
non sine admiratione contuitus, simillimum dixit puero, de quo somniasset. Quidam prius somnium Catuli aliter exponunt, quasi
Iuppiter compluribus praetextatis tutorem a se poscentibus, unum ex eis demonstrasset, ad quem omnia desideria sua referrent,
eiusque osculum delibatum digitis ad os suum rettulisset. M. Cicero C. Caesarem in Capitolium prosecutus, somnium pristinae
noctis familiaribus forte narrabat: puerum facie liberali, demissum e caelo catena aurea, ad fores Capitoli constitisse eique
Iovem flagellum tradidisse; deinde repente Augusto viso, quem ignotum plerisque adhuc avunculus Caesar ad sacrificandum
acciverat, affirmavit ipsum esse, cuius imago secundum quietem sibi obversata sit. Sumenti virilem togam tunica lati clavi,
resuta ex utraque parte, ad pedes decidit. Fuerunt qui interpretarentur, non aliud significare, quam ut is ordo cuius insigne
id esset quandoque ei subiceretur. Apud Mundam Divus Iulius, castris locum capiens cum silvam caederet, arborem palmae repertam
conservari ut omen victoriae iussit; ex ea continuo enata suboles adeo in paucis diebus adolevit, ut non aequiperaret modo
matricem, verum et obtegeret frequentareturque columbarum nidis, quamvis id avium genus duram et asperam frondem maxime vitet.
Illo et praecipue ostento motum Caesarem ferunt, ne quem alium sibi succedere quam sororis nepotem vellet. In secessu
Apolloniae Theogenis mathematici pergulam comite Agrippa ascenderat; cum Agrippae, qui prior consulebat, magna et paene
incredibilia praedicerentur, reticere ipse genituram suam nec velle edere perseverabat, metu ac pudore ne minor inveniretur.
Qua tamen post multas adhortationes vix et cunctanter edita, exilivit Theogenes adoravitque eum. Tantam mox fiduciam fati
Augustus habuit, ut thema suum vulgaverit nummumque argenteum nota sideris Capricorni, quo natus est, percusserit.
Versione tradotta
E dal momento che siamo venuti sull'argomento, non sarà fuori proposito enumerare subito i presagi che, sia prima
della sua nascita, sia il giorno stesso in cui nacque, sia in seguito, fecero prevedere e rivelarono la sua futura grandezza e
la sua costante fortuna. Dal tempo remoto in cui un fulmine era caduto su una parte delle mura di Velitre, era stato
profetizzato che un giorno un cittadino di quella città si sarebbe impadronito del potere; per questo gli abitanti di Velitre,
fiduciosi nella promessa, e allora e in seguito combatterono spesso contro il popolo Romano, fin quasi alla loro rovina. Ben
più tardi apparve evidente che il prodigio aveva voluto fare riferimento alla potenza di Augusto. Giulio Marato conferma che
pochi mesi prima della sua nascita si verificò a Roma, in luogo pubblico, un prodigio per mezzo del quale si comunicava che la
natura stava per generare un re al popolo romano; il Senato, spaventato, decretò che non si dovesse allevare nessun fanciullo
nato in quell'anno; i senatori però che avevano le mogli gravide e che speravano si riferisse a loro la predizione, si
diedero da fare perché il decreto del Senato non fosse depositato al Tesoro. Nei libri delle «Avventure divine» di Asclepiade
di Mende leggo questo racconto. Atia, recatasi a mezzanotte ad una cerimonia solenne in onore di Apollo, fece collocare nel
tempio la sua lettiga e mentre le altre donne ritornavano a casa, si addormentò; tutto ad un tratto un serpente strisciò fino a
lei e subito dopo se ne andò; quando si svegliò Atia si purificò come se uscisse dalle braccia di suo marito. E da quel momento
portò sul corpo una macchia in forma di serpente che non poté più far sparire, tanto che dovette rinunciare per sempre ai bagni
pubblici. Augusto nacque nove mesi dopo e per questo fu considerato figlio di Apollo. Atia, inoltre, prima di partorire, sognò
che i suoi visceri venivano portati alle stelle e si estendevano per tutta l'ampiezza della terra e del cielo. Dal canto suo
anche Ottavio, il padre di Augusto, sognò che dal ventre di Atia era nato un raggio di sole. Il giorno in cui Augusto nacque in
Senato si stavano prendendo decisioni a proposito della congiura di Catilina e Ottavio vi giunse in ritardo proprio a causa del
parto; quando P. Nigidio - il particolare è noto a tutti - fu informato della causa del ritardo e seppe anche l'ora in cui
era avvenuto il lieto evento, proclamò che era nato un padrone per l'universo intero. Più tardi Ottavio, mentre alla testa
delle sue truppe attraversava le solitudini della Tracia, consultò a proposito di suo figlio gli oracoli barbari in un bosco
consacrato a Bacco e i sacerdoti gli confermarono la stessa dichiarazione, perché il vino sparso sugli altari aveva fatto
crepitare la fiamma così in alto, che, superato il fastigio del tempio, era salita fino al cielo, prodigio che si era
verificato soltanto per Alessandro Magno, quando aveva fatto sacrifici su quegli stessi altari. Nella notte seguente, poi,
Ottavio ebbe l'impressione di vedere suo figlio, dotato di una grandezza sovrumana, che portava il fulmine, lo scettro e gli
attributi di Giove Ottimo Massimo, il capo cinto da una corona raggiante, su un carro coperto di lauro, trascinato da dodici
cavalli di abbagliante bianchezza. Quando era ancora fanciullo, ci racconta C. Druso, la sua nutrice lo aveva posto una sera
nella sua culla, sistemata al piano terreno; all'alba del giorno successivo, però, non lo si trovò più e dopo averlo cercato
a lungo, alla fine lo si scoprì sdraiato sulla parte più alta di una torre, con la faccia rivolta al sole che stava sorgendo.
Aveva appena cominciato a parlare quando, un giorno, nella casa suburbana della sua famiglia, infastidito dal gracidare delle
rane, ordinò loro di star zitte e dicono che le rane da allora non gracidarono più in quel luogo. Mentre pranzava in un bosco a
quattro miglia da Roma, lungo la via Campana, un'aquila venne improvvisamente a strappargli il pane dalla mano e, dopo
essere volata molto in alto, di nuovo improvvisamente discese dolcemente e glielo riportò. Q. Catulo, dopo la consacrazione del
Carnpidoglio, sognò per due notti di fila: nella prima vide Giove Ottimo Massimo scegliere un fanciullo, tra i molti che
giocavano attorno al suo altare indossando la pretesta, e deporgli tra le braccia l'immagine dello Stato che teneva nelle
sue mani; nella seconda scorse lo stesso fanciullo in grembo a Giove Capitolino e, avendo ordinato di toglierlo di lì, con un
gesto il dio glielo impedì facendogli sapere che lo allevava per proteggere lo Stato. Il giorno dopo, incontrando Augusto, che
per altro gli era sconosciuto, Catulo, non senza una certa ammirazione gli disse che assomigliava moltissimo al fanciullo che
aveva sognato. Altri danno una versione diversa del primo sogno di Catulo: a Giove sarebbe stato richiesto un tutore da molti
ragazzi che indossavano la pretesta ed egli ne avrebbe indicato uno al quale dovevano indirizzare tutte le loro domande e poi
avrebbe portato alle labbra le dita che quello gli porgeva da baciare. M. Cicerone, accompagnando C. Cesare al Campidoglio,
raccontava ai suoi amici il sogno della notte precedente: aveva visto un fanciullo dai lineamenti nobili discendere dal cielo
appeso ad una catena d'oro, arrestarsi davanti alle porte del Campidoglio dove Giove gli consegnava una frusta. Quando poi,
d'un tratto, vide Augusto che, ancora sconosciuto alla maggior parte, Cesare, lo zio, aveva fatto venire al sacrificio,
disse che era proprio lui il ragazzo che aveva visto apparire nel suo sogno. Quando indossò la toga virile, la tunica del suo
laticlavio, scucita da tutte e due le parti, cadde fino ai piedi. Non mancarono quelli che interpretarono il fatto in un solo
modo, e cioè che l'ordine, di cui il laticlavio era l'insegna, un giorno gli sarebbe stato sottomesso. Davanti a Munda,
spianando una foresta scelta da Cesare per impiantarvi l'accampamento, venne scoperta una palma e Cesare ordino di
rispettarla come un presagio di vittoria; subito dopo essa fece germogliare virgulti che in pochi giorni crebbero a tal punto
che non solo raggiunsero l'altezza della matrice, ma la coprirono e si riempirono di nidi di colombi, benché questo genere
di volatili evitino con ogni cura le foglie dure e rugose. Dicono che sia stato proprio questo prodigio ad indurre Cesare a non
volere altro successore che questo nipote di sua sorella. Durante il suo ritiro ad Apollonia Augusto era salito, insieme con
Agrippa, all'osservatorio dell'astrologo Teogene. Agrippa lo consultò per primo, ma quando Augusto vide che Teogene gli
faceva splendide previsioni, quasi incredibili, si rifiutò ostinatamente di fornirgli i dati relativi alla sua nascita, per il
timore e la vergogna di essere considerato di origini oscure. Quando finalmente, dopo molte preghiere, vi ebbe acconsentito,
pur esitando, Teogene si alzò dal suo seggio e lo adorò. In seguito Augusto ebbe tanta fiducia nei suoi destini che fece
pubblicare il suo oroscopo e coniare una moneta d'argento con il segno del Capricorno, sotto il quale era nato.
- Letteratura Latina
- Divus Augustus di Svetonio
- Svetonio