Bellum Iugurthinum, Paragrafo 94 - Studentville

Bellum Iugurthinum, Paragrafo 94

Sed ubi ex praecepto tempus visum paratis compositisque omnibus ad locum pergit. Ceterum illi qui

escensuri erant praedocti ab duce arma ornatumque mutauerant: capite atque pedibus nudis uti prospectus nisusque per saxa

facilius foret; super terga gladii et scuta verum ea Numidica ex coriis ponderis gratia simul et offensa quo leuius streperent.

Igitur praegrediens Ligus saxa et si quae uetustate radices eminebant laqueis vinciebat quibus alleuati milites facilius

escenderent interdum timidos insolentia itineris leuare manu; ubi paulo asperior ascensus erat singulos prae se inermos mittere

deinde ipse cum illorum armis sequi; quae dubia nisui videbantur potissimus temptare ac saepius eadem ascendens descendensque

dein statim digrediens ceteris audaciam addere. Igitur diu multumque fatigati tandem in castellum perveniunt desertum ab ea

parte quod omnes sicut aliis diebus aduersum hostis aderant. Marius ubi ex nuntiis quae Ligus egerat cognovit quamquam toto die

intentos proelio Numidas habuerat tum vero cohortatus milites et ipse extra vineas egressus testudine acta succedere et simul

hostem tormentis sagittariisque et funditoribus eminus terrere. At Numidae saepe antea vineis Romanorum subuersis item incensis

non castelli moenibus sese tutabantur sed pro muro dies noctisque agitare male dicere Romanis ac Mario vecordiam obiectare

militibus nostris Iugurthae servitium minari secundis rebus feroces esse. Interim omnibus Romanis hostibusque proelio intentis

magna utrimque vi pro gloria atque imperio his illis pro salute certantibus repente a tergo signa canere; ac primo mulieres et

pueri qui visum processerant fugere deinde uti quisque muro proximus erat postremo cuncti armati inermesque. Quod ubi accidit

eo acrius Romani instare fundere ac plerosque tantummodo sauciare dein super occisorum corpora uadere auidi gloriae certantes

murum petere neque quemquam omnium praeda morari. Sic forte correcta Mari temeritas gloriam ex culpa invenit.

Versione tradotta

Il Ligure,

quando ritenne giunta l'ora stabilita, dopo aver
preordinato e disposto tutto, si dirige sul posto. Quelli che

dovevano
compiere la scalata, seguendo le istruzioni della guida, avevano cambiato
armi e tenuta: avevano

la testa e i piedi nudi per vedere meglio e per
arrampicarsi più agevolmente sui sassi. Sulla schiena portavano spade

e
scudi, ma quelli numidici, di cuoio, perché più leggeri e meno rumorosi in
caso di urto. Il Ligure

procedeva per primo e fissava delle corde alle
rocce e a vecchie radici sporgenti, perché i soldati, aggrappandovisi,

salissero più facilmente. Talvolta sorreggeva con le mani quelli che erano
spaventati dal percorso

insolito, e dove la salita presentava maggiori
difficoltà, li mandava avanti ad uno ad uno senza armi, e poi li

seguiva
con il loro equipaggiamento. Era il primo a saggiare gli appigli che non
gli sembravano sicuri;

salendo e scendendo più volte per lo stesso tratto,
e poi facendosi subito da parte, infondeva coraggio agli altri.

Alla
fine, dopo una lunga ed estenuante fatica, raggiungono la fortezza, che da
quel lato era sguarnita,

perché tutti, come gli altri giorni, erano
rivolti dalla parte del nemico. Mario, quando seppe dai messi ciò che il

Ligure aveva compiuto, benché avesse tenuto impegnati i Numidi tutto il
giorno a combattere, in quel

momento cominciò a incitare i soldati, e
saltato fuori dalle vinee lui stesso, li fece avanzare in formazione di

testuggine, mentre da lontano disturbava i nemici con le macchine da
guerra, con gli arcieri e con i

frombolieri. Ma i Numidi, che già più
volte avevano rovesciato e incendiato le vinee dei Romani, non rimanevano

al riparo delle mura della fortezza, ma stavano giorno e notte davanti
alla cinta, insultando i Romani,

rinfacciando a Mario la sua insensatezza
e promettendo minacciosamente ai nostri soldati la schiavitù sotto

Giugurta: infatti il successo li aveva resi insolenti. Ora, mentre
tutti, Romani e nemici, erano presi dal

combattimento e lottavano con
grande accanimento da entrambe le parti, gli uni per la gloria e il
dominio,

gli altri per la salvezza, d'improvviso, alle loro spalle,
suonarono le trombe. Per primi fuggirono donne e bambini,

che s'erano
fatti avanti per assistere alla battaglia, poi i più vicini alle mura,
infine tutti, armati e

disarmati. Dopo di ciò i Romani li incalzano
ancor più violentemente, li travolgono, i più li feriscono senza

finirli;
avanzano poi sui corpi dei caduti e, assetati di gloria, fanno a gara
nello scalare il muro, senza

che nessuno si fermi a far preda. Così la
temerarietà di Mario, aiutata dalla fortuna, trasse motivo di gloria da un

errore.

  • Letteratura Latina
  • Par. 90-114
  • Sallustio

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