Quibus blanditiis C. Papirius nuper influebat in auris contionis, cum ferret legem de tribunis plebis
reficiendis! Dissuasimus nos; sed nihil de me, de Scipione dicam libentius. Quanta illi, di immortales, fuit gravitas, quanta
in oratione maiestas! ut facile ducem populi Romani, non comitem diceres. Sed adfuistis, et est in manibus oratio. Itaque lex
popularis suffragiis populi repudiata est. Atque, ut ad me redeam, meministis, Q. Maximo, fratre Scipionis, et L. Mancino
consulibus, quam popularis lex de sacerdotiis C. Licini Crassi videbatur! cooptatio enim collegiorum ad populi beneficium
transferebatur; atque is primus instituit in forum versus agere cum populo. Tamen illius vendibilem orationem religio deorum
immortalium nobis defendentibus facile vincebat. Atque id actum est praetore me quinquennio ante quam consul sum factus; ita re
magis quam summa auctoritate causa illa defensa est.
Versione tradotta
Con che lusinghe cercava Gaio Papirio di
insinuarsi nelle orecchie del popolo riunito in assemblea, quando presentava la legge sulla rielezione dei tribuni della plebe.
L'ho combattuto io; ma nessuna parola su me; parlerò più volentieri di Scipione. Quanta fu allora, dèi immortali, la sua
dignità! quanta la sua maestà nel discorso che tenne! Come senza fatica l'avresti detto capo del popolo romano, non
compagno! Ma tu eri presente, ed è nelle mani di tutti il discorso. Quindi la legge ispirata dai popolari fu dal suffragio del
popolo respinta. E per tornare a me, tu ricordi quanto, al tempo dei consoli Quinto Massimo, fratello di Scipione, e Lucio
Mancino, sembrava popolare la legge sui sacerdozi di Gaio Licinio Crasso.
La scelta dei colleghi, la quale spettava ai
membri dei vari collegi sacerdotali, egli cercava di trasferirla al popolo, e per primo, prese l'iniziativa di rivolgersi
verso il foro per sottomettere un progetto di legge all'assemblea dei popolo. Tuttavia la religione degli dèi immortali con
la nostra difesa facilmente vinse quella sua orazione fatta per piacere a molti. E questo avvenne che io ero pretore, cinque
anni prima che fossi fatto console; e così quella causa fu difesa più dalla sua stessa bontà che dalla mia
autorevolezza.
- De Amicitia
- De Amicitia di Cicerone
- Cicerone