Haec tu mecum saepe his absentibus sed isdem audientibus haec ego tecum Milo: ‘Te quidem cum isto animo es satis laudare non possum; sed quo est ista magis divina virtus eo maiore a te dolore divellor. Nec vero si mihi eriperis reliqua est illa tamen ad consolandum querella ut eis irasci possim a quibus tantum volnus accepero. Non enim inimici mei te mihi eripient sed amicissimi; non male aliquando de me meriti sed semper optime.’ Nullum umquam iudices mihi tantum dolorem inuretis–etsi quis potest esse tantus? -sed ne hunc quidem ipsum ut obliviscar quanti me semper feceritis. Quae si vos cepit oblivio aut si in me aliquid offendistis cur non id meo capite potius luitur quam Milonis? Praeclare enim vixero si quid mihi acciderit prius quam hoc tantum mali videro.
Versione tradotta
Sono queste le parole che spesso mi dici, lontano dai nostri giudici; ma ecco ciò che ti rispondo, Milone, in loro presenza: "In verità non riesco a lodarti in modo adeguato al tuo coraggio, ma quanto più divina è codesta tua virtù, tanto più acuto è il dolore del distacco da te. Per di più, se a me sei strappato, non mi resta neppure quale forma di consolazione lo sfogo di potermela prendere con quanti mi avranno inferto una sì grande ferita, perché non saranno i miei nemici a portarti lontano da me, ma i miei amici migliori, non saranno persone che in qualche occasione m'hanno fatto del male, ma uomini che sempre m'hanno colmato di benefici". Voi, giudici, non potrete mai darmi un dolore altrettanto cocente (ma può esistere dolore più grande?), al punto di farmi dimenticare quale considerazione abbiate sempre avuta di me. Ma se ve ne siete dimenticati o se la mia condotta vi è sembrata criticabile, perché non se ne fa ricadere la pena sul mio capo anziché su quello di Milone? Sarò vissuto in maniera perfetta, se la morte mi colpirà prima di aver assistito a una sì grande sventura.
- Letteratura Latina
- Pro Milone di Cicerone
- Cicerone