GIOVANNI PASCOLI E D’ANNUNZIO: POETICHE A CONFRONTO
Sul finire dell’Ottocento e per buona parte del Novecento, lo sviluppo industriale (derivante dalla seconda rivoluzione industriale), causò una sempre maggiore massificazione delle strutture sociali e della cultura, il che, unito alla diffusione dei processi produttivi basati principalmente sulla catena di montaggio, portarono ad una totale spersonalizzazione dell’individuo. La frenesia di una società in rapida e continua crescita costringe l’uomo a diventare succube del progresso, e, in particolare, riferendoci al ceto medio, ad abbandonare il proprio estro (anche creativo) in favore di un livellamento culturale che si associa al concetto di società di massa. Gli intellettuali (il più delle volte appartenenti al ceto medio), avvertono in misura maggiore questo cambiamento culturale, sentendosi essi stessi parte in causa e vittime dell’oppressione della società del tempo. Dando voce ad un sentimento di smarrimento e ostilità, essi danno vita, proprio in questo periodo, ad un movimento letterario chiamato Decadentismo.
L’intellettuale cerca una via di fuga dalla realtà, rifugiandosi spesso in “paradisi artificiali” creati con l’abuso di droghe e alcool, o in mondi esotici e lontani che consentivano loro di vivere un’illusione di libertà. Pascoli e D’Annunzio in Italia, scelgono come scappatoia, l’uno il ripiego su se stesso, l’altro il superamento del proprio io. Entrambi propongono una reazione al soffocante clima culturale e sociale presente in tale periodo, seppur diversa.
Il fanciullino di Pascoli rappresenta una dimensione intimistica dell’uomo, che si estranea dalla realtà prendendo contatto con la parte più pura di sé, quella che riusciva a guardare ancora con meraviglia il mondo circostante e che non era stata ancora contaminata dalle brutture della società.
Unico modo per conservare tale purezza e in un certo senso beatitudine, era per Pascoli, la costruzione di un nido che facesse da scudo al mondo e che tenesse il fanciullino sempre in contatto con se stesso.
Il superuomo di D’Annunzio, invece, incarna l’atteggiamento di reazione a quelle paure, tensioni, a quel logorio, causati da un ritmo di vita troppo intenso e mirato solo al soddisfacimento dei bisogni materiali.
Sebbene ad una prima analisi possa risultare contraddittorio la presentazione di un modello di onnipotenza opposto al senso di inettitudine che caratterizza l’intera corrente culturale, in realtà D’Annunzio vuole celare il senso di profondo disagio esistenziale proponendo una figura diametralmente opposta che rispecchi tutto ciò che un uomo dall’acuta sensibilità, dovrebbe o vorrebbe essere, per elevarsi e vincere l’appiattimento sociale.
Il superuomo è speculare rispetto al fanciullino: entrambi appartengono a contesti diversi (il primo al lusso cittadino, il secondo alla semplicità campestre); sono entrambi tesi a riprodurre un modello invertendone i termini fondamentali, l’uno esaltando l’attivismo e l’elevazione al di sopra della massa, l’altro professando quasi un solidarismo umanitario riconducibile a Leopardi (che spera in vano nell’unione degli uomini, nella fratellanza) e di ritorno al panorama idilliaco e innocente dell’infanzia.
Tuttavia, le due figure proposte dai due letterati, pur essendo diverse in molti aspetti, hanno in comune il tentativo di rifuggire la realtà troppo oppressiva, e di trasmettere un messaggio alla massa, che può trovare nel fanciullino la rassegnazione e il benessere derivante unicamente dalle piccole e umili cose; e può trovare nel superuomo un rapimento estetico in grado di riscattare la condizione frustrante nella quale versava il ceto medio – borghese nel periodo preso in considerazione.
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