Vita e opere Con l’altro grande maestro dell’ermeneutica fìlosofica novecentesca, Hans Georg Gadamer, Paul Ricoeur, per la sua costante opera intellettuale e per la sua intensa attività di magistero e di dialogo che si estende ormai su scala planetaria e che ò stata unanimemente riconosciuta nelle sedi più autorevoli della comunità culturale, scientifica e fìlosofica internazionale (come testimoniano anche il premio Hegel di Stoccarda nel 1985 e il premio Balzan per la filosofia conferitogli nel 1999), può essere considerato uno dei testimoni e dei protagonisti più sensibili della coscienza filosofica del Novecento. Testimone prezioso non solo per il valore intrinseco della sua multiforme opera, ma anche per il suo collocarsi in un ideale crocevia delle molteplici e più vitali tendenze della ricerca filosofica odierna, ” tendenze che raramente si sono incontrate e che spesso hanno preferito seguire percorsi talora paralleli, ma reciprocamente ignorantisi ” (D. Jervolino, “Ricoeur. L’amore diffìcile”). Da questa prospettiva, nella storia della filosofia del Novecento l’originale snodarsi del cammino riflessivo di Ricoeur dalla fenomenologia all’ermeneutica e dalla metafìsica alla morale rappresenta una rilevante e significativa eccezione: ” egli può contemporaneamente essere riconosciuto come un autorevole filosofo ‘continentale’ ed essere accettato dagli ‘analitici’ come un interlocutore interno alla loro problematica “. Nell’epoca di pensiero post-hegeliano, lo stile riflessivo della filosofia deliberatamente frammentario praticato da Ricoeur ò uno ” stile di mediazione incompleta tra mediazioni rivali ” (P. Ricoeur, “Per un’autobiografia intellettuale”); questo stile, al quale Ricoeur si ò mantenuto fedele nel corso di tutto il suo fecondo itinerario filosofico, costituisce di fatto un ampio tentativo di mediazione tra le esigenze epistemologiche della fenomenologia, delle scienze umane a base strutturale, e di taluni esiti delle filosofie analitiche da una parte – e l’ermeneutica nei suoi risvolti ontologici ed esistenzialistici dall’altra. Lo stesso Ricoeur, in una delle sue ultime opere, “La nature et la rògle” del 1998 (“La natura e la regola. Alle radici del pensiero”), ha precisato la sua personale posizione filosofica scrivendo: ” Ritengo di appartenere a una delle correnti della filosofia europea che si lascia essa stessa caratterizzare da una certa diversità di etichette: filosofia riflessiva, filosofia fenomenologica, filosofia ermeneutica. Riguardo al primo termine – riflessiva -, l’accento ò posto sul movimento attraverso il quale la mente umana tenta di recuperare la propria capacità di agire, di pensare, di sentire, capacità in qualche modo nascosta, perduta, nei saperi, nelle pratiche, nei sentimenti che l’esteriorizzano rispetto a se stessa. Jean Nabert ò il maestro emblematico di questo primo ramo della corrente comune. Il secondo termine – fenomenologica – designa l’ambizione di andare alle ‘cose stesse’, cioò alla manifestazione di ciò che si mostra all’esperienza, priva di tutte le costruzioni ereditate dalla storia culturale, filosofica, teologica; quest’intento, diversamente dalla corrente riflessiva, porta a mettere l’accento sulla dimensione intenzionale della vita teorica, pratica, estetica, ecc. e a definire ogni tipo di coscienza come ‘coscienza di… ‘. Husseri rimane l’eroe eponimo di questa corrente di pensiero. Riguardo al terzo termine – ermeneutica – ereditato dal metodo interpretativo applicato in un primo tempo ai testi religiosi (esegesi), ai testi letterari classici (filologia) e ai testi giuridici (diritto), l’accento ò posto sulla pluralità delle interpretazioni legate a ciò che si può chiamare la lettura dell’esperienza umana. Sotto questa terza forma la filosofia mette in questione la pretesa di ogni altra filosofia di essere priva di presupposti. I maestri di questa terza tendenza si chiamano Dilthey, Heidegger, Gadamer “. Paul Ricoeur ò nato a Valence il 27 febbraio 1913. Dopo aver compiuto gli studi di filosofia a Rennes, dove consegue durante l’anno accademico 1933 -1934 la “maitrise” con una dissertazione dedicata al “Problòme de Dieu chez Lachelier et Lagneau”, esponenti della filosofia riflessiva francese, si trasferisce a Parigi per continuare gli studi e nel 1935 consegue l’ agrègation, che gli consente l’insegnamento nei licei in varie sedi di provincia. Nel 1948 succede a Jean Hyppolite nella cattedra di Storia della filosofìa a Strasburgo, nel 1950 ottiene il “Doctorat d’ètat” con “Le volontaire et l’involontaire” e la traduzione in francese di “Ideen I” di Husserl, mentre nel 1957 viene chiamato alla Sorbona ad occupare la cattedra di Filosofia generale come successore di R. Bayer. Amico di Emmanuel Mounier, partecipa attivamente al movimento personalista anche come uno dei fondatori e collaboratori della rivista Esprit. Discepolo di Gabriel Marcel, durante la prigionia in Germania studia Jaspers e Husserl. Protagonista della vita intellettuale parigina degli anni ’60, insegna Filosofia a Nanterre dal 1966 al 1970, Università della quale ò stato anche rettore. Nel 1974 assume la direzione della “Revue de mètaphysique et de morale” e fonda il “Centre de recherches phènomènologiques et hermèneutiques”. Dopo aver insegnato per trè anni a Lovanio, termina la sua carriera di docente universitario nel 1980. Successivamente ha insegnato in modo stabile dal 1980 al 1990 alla Divinity School dell’Università di Chicago. Legato all’Italia da intensi rapporti intellettuali stabiliti con gli studiosi della sua opera filosofica ed ermeneutica, ha partecipato ai colloqui filosofici organizzati a Roma da Enrico Castelli e alle attività culturali dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli. Fra le sue opere principali ricordiamo: “Karl Jaspers et la philosophie de l’existence” (1947, in collaborazione con M. Dufrenne); “Gabriel Marcel et Karl Jaspers. Philosophie du mystòre et philosophie du paradoxe” (1948); “Philosophie de la volante 1. Le volontaire et l’involontaire” (1950); “Historie et vèritè” (1955); “Philosophie de la volente 2. Finitude et culpabilitè, I. L’homme faillible, II. La symbolique du mal” (I960); “De l’interprètation. Essai sur Freud” (1965); “Le conflit des interprètations. Essais d’hermèneutique” (1969); “La mètapbore vive” (1975); “La sèmantique de l’action” (1977); “Temps et rècit, I-II-III” (1983-1985); “Du texte a l’action. Essais d’hermèneutique” (1986); “A fòcole de la phènomènologie” (1986); “Lectures on Ideology and Utopia” (1986); “Le mal. Un dèfi a la phi losophie et a la thèologie” (1986); “Soi-mème comme un autre” (1990); “Lectures 1. Autour du politique, 2. La contrèe des philosophes, 3. Aux frontiòres de la philosophie” (1991-1992-1994); “La critìque et la conviction” (1995); “Le fusto” (1995); “Rèflexion fatte. Autobiographie intellectuelle” (1995). La filosofia della volontà Alle tematiche dell’ermeneutica contemporanea Ricoeur, dopo una prima formazione esistenzialista (di stampo jaspersiano), si ò progressivamente accostato già a partire dagli anni Cinquanta, nel suo primo periodo speculativo relativo al progetto fenomenologico giovanile di un’antropologia filosofica che costituisce la “Philosophie de la volante”- inerente l’analisi eidetica, fenomenologica e dialettica delle strutture fondamentali del rapporto tra volontario e involontario e la descrizione di quella figura “storica” esemplare che ò la volontà cattiva, l’interpretazione della funzione del linguaggio mitico-simbolico, il tema del corpo proprio, l’analisi del tema della libertà colpevole e la riflessione filosofico-etica, ermeneutica ed ontologica sul problema della simbolica del male attraverso la specificità del linguaggio della confessione della colpa intesa come emergenza misteriosamente responsabile della finitudine, della fallibilità e della fragilità affettiva dell’uomo -, che comprende nel primo volume “Le volontaire et l’involontaire” del 1950 (“Filosofìa della volontà 1. Il volontario e l’involontario”), nel secondo “Finitude et culpabilitè” del 1960 (lo stesso anno del capolavoro di Gadamer, “Verità e metodo”), in due tomi: “L’homme faillible” e “La symbolique du mal” (“Finitudine e colpa”, in un unico volume). L’uscita di “Finitude et culpabilitè” a distanza di dieci anni da “Le volontaire et l’involontaire” rappresenta un momento importante della successiva evoluzione del pensiero fìlosofico di Ricoeur. Infatti, egli, pur dichiarando ancora di voler delineare una ‘antropologia essenziale’, tuttavia assume come filo conduttore della ricerca il concetto di fallibilità dell’uomo, e precisamente la possibilità di compiere il male, dapprima, e la colpa compiuta, poi. In tal modo l’approccio fenomenologico ò abbandonato per intraprendere la via ermeneutica: il carattere oscuro ed opaco della colpa, infatti, fa sì che non si possa accedere direttamente ad una ‘empirica della volontà ‘, ma si debba ricorrere all’aiuto di una mitica concreta, cioò ò necessario il ricorso al linguaggio mitico e simbolico che da sempre ha narrato la colpa. “Le symbole donne a penser” ò la quasi intraducibile formula che Ricoeur usa per esprimere una via mediana tra logos e mythos, una via che unisce l’ascolto della ricchezza simbolica con il comprendere, con una riflessione cioò che ne promuova il senso, ed in un simile tentativo si congiungeranno l’immediatezza del simbolo con la mediazione del pensiero. La svolta ermeneutica” della seconda parte della “Philosophie de la volante” (“L’homme Faillible” e “La symbolique du mal”) traduce la consapevolezza più matura di Ricoeur circa l’insufficienza del metodo riflessivo per una effettiva comprensione del soggetto. La riflessione fa appello all’interpretazione, l’empirica della volontà si realizza concretamente come meditazione dei simboli e dei miti nei quali si esprime l’esperienza della colpa. L’approccio al simbolo, peraltro, rimanda a sua volta alla riflessione. Il simbolo non ò solo alla fine del cammino della riflessione filosofica; per la reciprocità del rapporto fra riflessione e interpretazione, il simbolo suscita, promuove, alimenta la riflessione: il cogito, ormai, come io penso, io voglio, io sono, si muove nella pienezza, nella “grazia” del linguaggio. Senonchè, il dominio dell’interpretazione non ò la terra serena nella quale il senso viene donato, ma la terra accidentata e violenta nella quale il senso viene messo in questione, le certezze apparenti vengono contestate, le illusioni smascherate e le ermeneutiche rivali si affrontano in una lotta senza fine. Ciò che viene pensato attraverso la mediazione della simbolica del male e della sua interpretazione ò la condizione umana nella sua costituzione paradossale e antinomica: cioò la fragilità affettiva, la costitutiva sproporzione e l’essere con- flittuale dell’uomo. Ricoeuer scrive che ” il conflitto appartiene alla costituzione più originaria dell’uomo; l’oggetto ò sintesi, l’io ò conflitto; la dualità umana si supera intenzionalmente nella sintesi dell’oggetto e s’interiorizza affettivamente nel conflitto della soggettività ” (“Finitudine e colpa”). Nel suo incompiuto e poi abbandonato grand project filosofìco giovanile, Ricoeur va alla ricerca di una “filosofia della soggettività ” e di una “filosofia della Trascendenza” che convergano in una filosofia radicale “senza assoluto”, cioò di ” una filosofia dei limiti dell’uomo “. La filosofia non ò la voce dell’essere, ma l’ermeneutica della vita, vita di esseri umani di carne e ossa, esseri di desiderio e di parola, plurali e fragili, capaci di agire e di patire, di inter-agire e di com-patire. Nello spazio della vita e del linguaggio una filosofia senza assoluto congiunge la disciplina del discorso sensato con la capacità di ascolto e di decifrazione delle tracce molteplici e pluriformi dell’alterità che essa ritrova incessantemente nel cuore inquieto del sè. La condizione umana si rivela essenzialmente come condizione ermeneutica coestensivamente itinerante poichè sia l’ homo viator che l’ homo ermeneuticus richiedono inderogabilmente una mòta ricca di senso, pertanto la stessa ragione filosofica non può essere superata in un discorso speculativo che sia ” specchio della sensatezza senza residui dell’essere “. Tuttavia, se la filosofia ò radicalmente ermeneutica, quest’ultima ò impegnata in un movimento che dal testo, paradigma della condizione carnale e finita dell’uomo, porta verso ciò che ò oltre il testo: l’azione, l’esistenza, l’ipseità , in una parola, ò al di fuori di ogni retorica vitalistica, la vita nel suo significato pienamente umano. Il discorso filosofico fenomenologico-ermeneutico del primo Ricoeur della “Filosofìa della Volontà ” complica un rapporto costante con la “non filosofia” (“non-philosophiò”). La filosofia non ò mai un inizio assoluto, ma ò sempre un dubbio, un’interrogazione, su un sapere nel quale e a partire dal quale essa si interroga e su cui dubita: per questo la filosofia ò riflessione. La riflessione fa appello all’interpretazione: ponendo se stessa, la riflessione comprende la propria impotenza a superare l’astrazione vana e vuota dell'”io penso” e la necessità di recuperare se stessa decifrando i propri segni perduti nel mondo della cultura. Tra riflessione, ermeneutica e libertà e tra ricerca del senso, filosofia generale della creatività umana interpretabile attraverso la mediazione simbolica del linguaggio e questione del soggetto intesa come ” messa in questione del soggetto ” c’ò un’intima correlazione che indica la direzione nella quale si muove la “via lunga” della fenomenologia ermeneutica di Ricoeur. Fenomenologia ed ermeneutica Allievo sia di Marcel che di Husserl, formatosi “a l’ècole de la phènomènologie”, Ricoeur ha tentato costruttivamente di compiere ” l’innesto dell’ermeneutica sulla fenomenologia “, innesto considerato come una possibile risposta anche all’interrogativo posto sul destino della fenomenologia e sul percorso successivo dell’ermeneutica post- heideggeriana. Ricoeur ò consapevole che su questa strada ò già stato preceduto da Heidegger, la cui prima opera rilevante “Essere e tempo” segnava fin dal 1927 la torsione in senso ermeneutico del pensiero fenomenologico e il passaggio dal piano delle pazienti analisi della vita della coscienza a quello delle ardite costruzioni ontologiche, destinate a riproporre alla filosofia del Novecento l’immane compito di una ripetizione del problema dell’essere e della sua comprensione. Nel saggio introduttivo “Esistenza e ermeneutica” del 1965 che apre “Il conflitto delle interpretazioni” del 1969, una tra le opere non solo cronologicamente centrali della sua biografia intellettuale ma anche tra le più note, nella quale la curvatura “ermeneutica” del suo pensiero raggiunge il proprio culmine, Ricoeur, per fondare l’ermeneutica nella fenomenologia, contrappone, con un’immagine resasi ormai famosa, la ” via corta ” dell’ontologia della comprensione di Heidegger, che si colloca immediatamente ” sul piano di una ontologia dell’essere finito, per ritrovarvi il comprendere non più come un modo di conoscenza, ma come un modo d’essere ” e nella quale l’ermeneutica diventa una provincia dell’Analitica del Dasein, alla “via lunga” dell’interpretazione, cioò un itinerario più tortuoso e faticoso della filosofia ermeneutica che passa attraverso le scienze umane (linguistica, psicanalisi, critica dell’ideologia), un itinerario che attraversa nei diversi livelli – semantico, riflessivo ed esistenziale – l’universo dei segni e il conflitto delle ermeneutiche rivali prima di giungere, risalendo da Heidegger alla fenomenologia dell’ultimo Husserl reinterpretata in termini heideggeriani, alla ” terra promessa ” dell’ontologia della comprensione: una terra promessa per una filosofia che ” comincia col linguaggio e con la riflessione “, in cui il ” soggetto che parla e riflette “, come Mosò, ” può soltanto scorgerla prima di morire “. Ponendosi di fronte alle esigenze di questa ontologia della comprensione, Ricoeur mostra come l’apporto della fenomenologia alla reimpostazione del problema ermeneutico nella sua dimensione ontologica sia duplice: 1) se si guarda all’ultimo Husserl (quello della Krisis) ò possibile constatare che da una parte, la critica dell'”oggettivismo” concerne il problema ermeneutico non soltanto indirettamente, dal momento che contesta la pretesa dell’espistemologia delle scienze naturali di fornire alle scienze umane il solo modello metodologico valido, ma anche direttamente, dal momento che mette in questione il tentativo di Dilthey di fornire alle Geisteswissenschaften un metodo oggettivo quanto quello delle scienze naturali. D’altra parte, l’ultima fenomenologia di Husserl articola la sua critica dell’oggettivismo su di una problematica positiva che spiana la via ad una ontologia della comprensione: questa nuova problematica ha per tema la Lebensweit, il “mondo della vita”, cioò uno strato dell’esperienza anteriore al rapporto soggetto-oggetto, che ha fornito a tutte le varietà del neo-kantismo il loro tema conduttore; 2) per Ricoeur non si tratta soltanto di integrare epistemologicamente la radicalità dell’ ermeneutica heideggeriana; ma anche di effettuare una completa ricognizione fenomenologica del linguaggio e del mondo della vita, che Heidegger aveva escluso perseguendo un passaggio immediato dalla comprensione alla ontologia. In generale, la “via corta” heideggeriana, secondo Ricoeur, “non apre a” un’epistemologia dell’interpretazione e a una semantica dei linguaggi della comprensione, che riflettano sulle forme linguistiche dell’esegesi, e sul comprendere storico, psicanalitico, antropologico. Pertanto, il tema autoriflessivo, che mostra come il soggetto dell’interpretazione non sia il cogito all’origine del senso, ma sia già da sempre un essere-interpretato e un’apertura sul mondo, deve essere completato da un’analisi epistemologica e semantica dell’interpretazione. à, dunque, meglio partire dalle forme derivate della comprensione e mostrare in esse i segni della loro derivazione: ciò presuppone ed implica che si prendano le mosse dal piano stesso in cui si esercita la comprensione, cioò dal piano del linguaggio. à in quanto avviene continuamente nel linguaggio e nel movimento della riflessione la via ardua dell’interpretazione da seguire per ricercare un’ontologia della comprensione come modo di essere, evitando però due possibili fraintendimenti: il primo consisterebbe nel considerare la prospettiva indicata da Ricoeur un semplice rilancio del progetto fenomenologico e una rottura netta con Heidegger e con la sua eredità ; il secondo consisterebbe nel non istituire il nesso ermeneutica-epistemologia o su un piano trascendentalistico, o su un piano enciclopedico, poichè in entrambi i casi la spiegazione prevarrebbe sulla comprensione. Sostituire alla “via corta” heideggeriana dell’Analitica del Dasein la “via lunga” ricoeuriana che prende Ravvio attraverso le diverse forme di analisi del linguaggio significa non soltanto conservare costantemente il contatto con tutte le discipline che cercano di praticare l’interpretazione in modo metodico, ma anche resistere ” alla tentazione di separare la verità , propria della comprensione, dal metodo, messo in pratica dalle discipline nate dall’esegesi ” (” Il conflitto delle interpretazioni”) ed affrontare la lettura dell’esistenza umana ” sulla base dell’elucidazione semantica del concetto di interpretazione, comune a tutte le discipline ermeneutiche “. Lâ arco ermeneutico La “via lunga” per costituire un’ermeneutica ontologica per Ricoeur passa anche attraverso il metodo, l’epistemologia e il confronto con le discipline dell’interpretazione, cioò attraverso la riflessione sulle valenze logiche ed epistemologiche dello spiegare e del comprendere. L’obiettivo perseguito dal filosofo francese ò quello di compiere il tentativo di mediare l’alternativa ed affermare – dopo Dilthey e parallelamente a Gadamer – la complementarità tra spiegare e comprendere. In Gadamer, secondo Ricoeur, il problema di una epistemologia ermeneutica non viene eluso, tuttavia la coppia verità e metodo dev’essere sottoposta ad una lettura in termini meno antitetici, altrimenti rimane insoluto il problema dell’istanza critica, ovvero il rapporto della spiegazione con la comprensione. Ricoeur dice: ” ciò contro cui mi oppongo, se volete, ò un’ontologia separata che abbia rotto il dialogo con le scienze umane. Ecco, ò questo che mi ha colpito in Gadamer. Tra verità e metodo secondo me bisogna cercare un cammino perchè la filosofia ò sempre morta tutte le volte che ha interrotto il suo dialogo con le scienze “. Ricoeur non condivide la tensione tra verità e/o metodo che lo stesso titolo della maggiore opera gadameriana Verità e metodo esplicitamente evince, poichè in esso i due momenti (quello veritativo della comprensione e quello metodico della spiegazione) sembrano essere alternativi e contrapposti: ” il problema allora ò quello di sapere fino a che punto l’opera meriti di intitolarsi Verità e metodo, o se non dovrebbe piuttosto essere intitolata Verità o metodo ” (“Dal testo all’azione”). Nella prospettiva ricoeuriana la soluzione di tale alternativa, che costituisce “l’aporia centrale dell’ermeneutica”, passa attraverso la discussione critica dei trè principali campi dove il rapporto tra spiegazione e comprensione viene oggi dibattuto: la teoria del testo, quella delazione e quella della storia. Dalla correlazione e dal gioco di rinvii che si determina tra testo, azione e storia può scaturire l’idea di una dialettica spiegare/comprendere, cioò la costruzione della teoria dell’arco ermeneutico” in cui lo “spiegare di più” aiuta a “comprendere meglio” e da cui nasce il circolo dell’interpretazione, che Ricoeur esplicita a partire dai saggi degli anni ’70 (cfr. P. Ricoeur, Che cos’ò un testo? ). Nel ricomporre il gioco alternato e la dialettica spiegare/comprendere, per la quale spiegare e comprendere non si riassumono in un “rapporto di esclusione”, ma nel processo di interpretazione dei testi, ove la dimensione epistemologica e quella ontologica possono articolarsi in un intreccio nuovo e fecondo, la conclusione a cui perviene Ricoeur ò duplice: a) sul piano epistemologico non ci sono due metodi, l’uno esplicativo e l’altro comprensivo. ” A rigore, solo la spiegazione ò metodica. La comprensione ò piuttosto il momento non metodico che, nelle scienze dell’interpretazione, si compone con il momento metodico della spiegazione. A sua volta, la spiegazione svolge analiticamente la comprensione “, della quale costituisce sia la “mediazione obbligata” che l’istanza critica, nella prospettiva dello “spiegare per meglio comprendere”. In questa direzione diventa allora possibile situare ” la spiegazione e la comprensione a due stadi diversi di un unico arco ermeneutico dal cui rapporto dialettico emerge il carattere paradigmatico dell’interpretazione, che racchiude il “senso” immanente del testo e che da origine al “circolo ermeneutico- inteso come “struttura insuperabile della conoscenza applicata alle cose umane “; sul piano ontologico, vi ò un problema più fondamentale sulle condizioni della dialettica spiegare/comprendere. ” Se la filosofia si preoccupa del “comprendere” ò perchè esso testimonia, nel cuore dell’epistemologia, un’appartenenza del nostro essere all’essere che precede ogni costituzione in forma di oggetto, ogni opposizione di un oggetto ad un soggetto “. Il termine “comprensione”, nella sua costitutiva densità , designa nel contempo ” il polo non metodico, dialetticamente opposto al polo della spiegazione in ogni scienza interpretativa, l’indizio non più metodologico ma propriamente veritativo della relazione ontologica di appartenenza del nostro essere agli esseri e all’Essere “. Nel saggio “Logica ermeneutica? ” del 1981, Ricoeur, proponendo fra l’altro una rilettura antimetodica dell’ermeneutica fìlosofìca di Verità e metodo di Gadamer, afferma non soltanto che la filosofìa ermeneutica ” non ò un’antiepistemologia, ma una riflessione sulle condizioni ia non epistemologiche della epistemologia “, ma ribadisce esplicitamente il presupposto esistenzialistico della complementarità tra epistemologia e ermeneutica allorquando sostiene che ” comprensione e spiegazione non si oppongono come due metodi. In senso stretto, solo la spiegazione ò metodica. La comprensione ò il momento non metodico che precede, accompagna e circonda la spiegazione. In questo senso, la comprensione include la spiegazione. Di rimando, la spiegazione sviluppa analitica mente la comprensione “. In Ricoeur non c’ò posto per l’aut-aut del metodo e della verità : il luogo privilegiato della loro articolazione ò il testo. L’ermeneutica si definisce operativamente come lavoro dell’interpretazione testuale, che ha nel testo il punto focale, e testo ò qualsiasi discorso/issato dalla scrittura che nel contempo lo rende irriducibile e non assimilabile direttamente alle modalità discorsive del dialogo ed autonomo semanticamente dall’intenzione soggettiva dell’autore; esso si realizza nella complessa relazione-mediazione con l’atto della lettura, che a sua volta appare un atto concreto nel quale si completa l’autonomia dell’opera e si dischiude il destino aperto del testo (del “mondo” del testo, che Gadamer chiama la “cosa” del testo): grazie alla scrittura, il “mondo” del testo può far esplodere il mondo dell’autore, mentre ò nel cuore stesso della lettura che, indefinitamente, spiegazione e comprensione si oppongono e si conciliano integrandosi. Il fine della lettura non ò tanto quello di recuperare l’intenzione presunta dell’autore quanto quello di mettersi in ascolto del testo, confrontarsi con esso in una sorta di dialogo a distanza che ci invita a comprendere meglio il senso veicolato dal testo stesso. L’autore del testo parla attraverso il testo ma questo, per molti aspetti, se ne libera; chi resta a parlare ò il testo, che ci trasporta nel suo mondo e ci orienta nella sua direzione in virtù della dinamica dello spiegare e del comprendere, cioò dell’interpretare: ” spiegare ò liberare la struttura, cioò le relazioni interne di dipendenza che costituiscono la statica del testo; interpretare ò intraprendere il cammino di pensiero indicato dal testo, mettersi in marcia verso l’oriente del testo ” (“Dal testo all’azione”). Ciò che ò vero delle condizioni psicologiche lo ò anche delle condizioni sociologiche della produzione del testo. Ad un’opera (letteraria o d’arte) in generale ò essenziale tanto la capacità di trascendere le proprie condizioni psicologiche di produzione quanto la capacità di aprirsi a una serie illimitata di letture, anch’esse situate in differenti contesti psicologici e socio-culturali. D’altra parte, alla liberazione del testo dall’autore corrisponde un analogo processo di autonomizzazione rispetto al lettore. ” In breve, sia dal punto di vista psicologico che sociologico, il testo deve potersi decontestualizzare in modo da lasciarsi ricontestualizzare in una nuova situazione: precisamente questo costituisce l’atto di lettura “. L’affrancamento dall’autore trova la propria complementarità sul versante di colui che riceve il testo (fruitore). A differenza della situazione dialogica nella quale si ha “il faccia a faccia” determinato dall’esperienza del discorso, ” il discorso scritto fa nascere un pubblico che si estende virtualmente a chiunque sappia leggere “. La liberazione della cosa scritta dalla condizione dialogica del discorso comporta il fatto che il rapporto tra scrivere e leggere non ò più un caso particolare del rapporto tra parlare e ascoltare. L’autonomia del testo produce una “conseguenza ermeneutica” importante, la distanziazione: essa non soltanto ò costitutiva del fenomeno del testo come scrittura ma ò anche la condizione dell’interpretazione. Allontanandosi dallo strutturalismo e dalle posizioni dell’ermeneutica romantica secondo Ricoeur, l’approccio corretto al testo si fonda sulla distanziazione creata per mezzo della scrittura e sulla oggettivazione prodotta per mezzo della struttura dell’opera: il compito ermeneutico pertanto va ricercato nella nozione di mondo del testo che soltanto conferisce il senso profondo dell’opera. L’opera letteraria, nella sua originale dimensione referenziale, attraverso la finzione e la poesia ci distacca dalla realtà quotidiana della vita e ci dischiude la possibilità di intrattenere con la stessa realtà un rapporto diverso, che raggiunge il mondo non più solamente al livello degli oggetti manipolabili, ma al livello che Husserl designava con l’espressione di Lebenswelt e Heidegger con quella di essere-nel-mondo. “Essere-nel-mondo” heideggerianamente designa il modo di essere dell’uomo, che costitutivamente ò gettato a vivere nel mondo. La stessa comprensione diviene così una struttura dell’essere-nel-mondo poiche ” il momento del “comprendere” risponde dialetticamente all’essere in situazione come progetto dei possibili più propri entro le situazioni stesse in cui ci troviamo “. In effetti, ” ciò che c’ò da interpretare in un testo, ò una proposizione di mondo di un mondo tale da essere abitato in modo da progettarvi uno dei miei possibili più propri “. Il mondo del testo non ò quello del linguaggio quotidiano, ma ò il prodotto della finzione. ” Grazie alla finzione, alla poesia si aprono nella realtà quotidiana nuove possibilità di essere-nel-mondo. Finzione e poesia mirano all’essere, non più sotto la modalità dell’essere-dato, ma sotto la modalità del poter-essere. Con ciò stesso la realtà quotidiana subisce una metamorfosi in favore di ciò che si potrebbe chiamare variazione immaginativa che la letteratura opera sul reale “. Il testo diviene così il medium attraverso cui noi comprendiamo noi stessi in quanto esso vive attraverso l’entrata in scena della soggettività del lettore. La distanziazione creata dalla scrittura consente l’appropriazione del testo alla situazione presente del lettore: ” essa ò comprensione in virtù della distanza, comprensione a distanza “. Di conseguenza, l’appropriazione ò dialetticamente legata alle oggettivazioni strutturali dell’opera, in quanto il testo non risponde all’autore ma al senso, che consente a sua volta l’appropriazione del “mondo dell’opera” Ciò di cui io mi approprio ò una “proposizione del mondo”: ” essa non ò dietro al testo, quasi fosse un intenzione nascosta, ma davanti al testo, come ciò che l’opera dispiega scopre rivela “. Esporsi al testo significa ricevere dal testo “un io più vasto” in quanto con la lettura e la comprensione del testo si viene introdotti nelle variazioni immaginative dell’ego che il testo stesso dispiega. Comprendere, dunque ò comprendersi davanti al testo: comprendersi, per il lettore, significa comprendersi davanti al testo e ricevere da esso le condizioni di emergenza di un sè altro dall’io e che suscita la lettura. Per Ricoeur il valore espresso dal modello del testo (della sua scrittura lettura ed interpretazione) presenta un significato paradigmatico coestensibile all’azione umana e sociale sensata: poichè il testo, in quanto discorso, presuppone l’agire (il discorso stesso ò una forma di azione) e l’azione, polimorfa e molteplice come i discorsi degli uomini, può essere considerata essa stessa come un quasi-testo da leggere, spiegare e interpretare Al pari del processo di oggettivazione in cui avviene la fissazione del discorso tramite la scrittura anche certe azioni imprimono il loro segno sul tempo, lasciano una traccia, che nel tempo sociale da luogo a degli effetti duraturi, a delle configurazioni persistenti che si vanno ad inscrivere m quei documenti dell’azione umana in cui si deposita la memoria storica. Memoria che ò. archivio di senso, da ri-leggere e interpretare, . mondo da aprire e da scoprire per potersi ricomprendere dentro alle sue proposte di senso. Un’azione sensata può travalicare i confini attuali del suo accadere come evento e presentare una dimensione di importanza che supera la pertinenza relativa alla sua situazione iniziale, sviluppando così significati che possono essere ripresi, riattualizzati e ricontestualizzati in situazioni sociali e comunicative diverse da quelle in cui l’azione si ò prodotta, per cui ” la sua importanza consiste nella sua pertinenza duratura e, in alcuni casi, nella sua pertinenza onnitemporale “. Il contenuto di senso veicolato e significato dall’evento azione si rivolge a una serie indefinita di possibili lettori, così come il testo offerto alla lettura resta a disposizione di chiunque sappia leggere. Se rapportata alla logica dell’interpretazione testuale, anche l’azione umana si presenta come un campo di costruzioni possibili che produce una significazione caratterizzata da una plurivocità specifica legata alla ” relazione tra le dimensioni intenzionali e motivazionali ” dell’azione stessa. In altre parole, come conclude Ricoeur, ” come un testo, così l’azione umana ò un’opera aperta, il cui significato ò “in sospeso”. à perchè essa “apre” delle nuove referenze e ne riceve una pertinenza nuova che anche gli atti umani sono in attesa di nuove interpretazioni che decidono del loro significato. Tutti gli eventi e tutti gli atti significativi sono, in questo modo, aperti a questa sorta di interpretazione pratica grazie alla prassi presente. L’azione umana, anch’essa, ò aperta a chiunque sappia leggere “. Dall’ermeneutica del testo si passa così all’ermeneutica dell’azione, nella direzione di una prassi rischiarata da quel “comprendersi davanti al testo” nel quale l’io si riconosce come Sè. Ricoeur ò dunque consapevole che la propria ermeneutica non dimentica mai che tra l’atto di dire (e di leggere) e l’agire effettivo il legame mimetico non ò mai del tutto spezzato poichè fra le cose dette ci sono le esperienze di uomini che agiscono e che soffrono, e che gli stessi discorsi sono a loro volta azioni. Dalla psicanalisi allâermeneutica del sè Nel secondo periodo speculativo, quello relativo agli ultimi trent’anni del Novecento, l’itinerario e l’impegno fìlosofico-ermeneutico ed ontologico di Ricoeur ò contraddistinto da trè fasi principali. La prima degli anni Sessanta ò costituita da un serrato confronto con la psicanalisi e le scienze umane, da un’analisi del conflitto delle ermeneutiche rivali e da una riflessione critica con la linguistica anglosassone e con la cultura filosofica e semiologica francese egemonizzata dallo strutturalismo e dalla lettura âstrutturalisticaâ di Freud, Nietzsche e Marx: questa fase ò esemplata in âDell’interpretazione. Saggio su Freudâ (1965) e in âIl conflitto delle interpretazioniâ (1969). La seconda degli anni Settanta-Ottanta, durante la quale Ricoeur, dopo aver concluso la sua carriera accademica in Francia, ò stato significativamente presente nella cultura filosofica nordamericana, svolgendo un ruolo particolarmente importante di âmediatoreâ fra due mondi culturali e filosofici reciprocamente distanti e diversi come quello âcontinentaleâ e quello angloamericano. Durante questo periodo, assistiamo ad un ampliarsi dell’orizzonte dell’ermeneutica ricoeuriana; la trilogia di âTempo e racconto, I-II. La configurazione nel racconto di finzione – III. Il tempo raccontatoâ; âDal testo allâazioneâ del 1986, che dall’interpretazione dei simboli e dal confronto con i protagonisti (Gadamer ed Habermas) del dibattito che ha contrapposto ermeneutica e critica delle ideologie passa ad affrontare i temi della teoria del testo, della metafora, del racconto, e all’interno della quale si registra la permanenza della questione del soggetto nella tematica della creatività del linguaggio, della temporalità , del testo come paradigma dell’azione sensata e del compimento dell’interpretazione dei testi nell’ermeneutica dell’azione. La terza degli anni Novanta ò pervasivamente caratterizzata da un’alta lezione di filosofia che spazia dall’ermeneutica del sè alla filosofia pratica, dalla storia della filosofia alla religione, dalla filosofìa politica alla filosofia del diritto e della giustizia, dall’etica all’estetica, dai problemi di attualità alla ricostruzione autobiografica, lezione che si ò concretizzata soprattutto in alcune tra le sue ultime opere, tra le quali in particolare spicca âSè come un altroâ (1990), che senz’altro esprime la summa ermeneutica e teoretica del discorso filosofico di Ricoeur. Nella svolta ermeneutica, di Ricoeur, che ha inizio negli anni Sessanta, il confronto con la psicanalisi e il passaggio attraverso Freud, a cui egli ha dedicato il volume âDe l’interprètationâ del 1965 e i saggi contenuti in âe conflit des interprètationsâ del 1969, ò stato di importanza decisiva. â Per chi ò cresciuto alla scuola della fenomenologia, della filosofìa esistenzialista, del rinnovamento degli hegeliani e delle ricerche di tendenza linguistica, l’incontro con la psicanalisi costituisce uno choc considerevole. Quello che viene affrontato e messo in discussione infatti, non ò l’uno o l’altro tema della riflessione filosofìca, ma l’insieme del progetto filosofico stesso. Il filosofo contemporaneo incontra Freud nello stesso campo di interessi di Nietzsche e Marx; tutt’e trè stanno davanti a lui come i protagonisti del sospetto, i penetratori degli infingimenti. Nasce con loro un problema nuovo, quello della menzogna della coscienza e della coscienza come menzogna â (âII conflitto delle interpretazioniâ). La lettura ricoeuriana di Freud ò nel contempo critica e filosofìca, mentre esclude volutamente sia la competenza dell’analista e l’esperienza diretta dell’analisi sia la considerazione delle scuole post-freudiane. Secondo Ricoeur, l’opera scritta da Freud fa sì che la psicanalisi non solo appartenga al movimento della cultura contemporanea, ma interpretando tale cultura, la modifichi radicalmente: dandole uno strumento di riflessione, la segna durevolmente. â La psicanalisi ò un movimento della cultura, perchè l’intòrpretazione che essa da dell’uomo verte principalmente e direttamente sulla cultura nel suo insieme; con essa l’interpretazione diventa un momento della cultura; essa cambia il mondo interpretandolo â. Con Freud la psicanalisi si eleva al livello di una vera e propria ermeneutica della cultura nella quale viene ricondotto in scena il conflitto fra tradizione e critica. La psicanalisi ò strettamente legata all’ermeneutica, in quanto interpretazione dei sogni e della cultura; essa lavora sul linguaggio e sui simboli. Per i motivi intrinseci alle conclusioni cui perviene, il discorso della psicanalisi diventa uno dei luoghi privilegiati del conflitto delle interpretazioni che prende forma sotto i tratti di una archeologia della coscienza opposta ad una teleologia del senso: questi motivi rendono la psicanalisi più adatta all’integrazione reciproca di filosofìa riflessiva ed esercizio ermeneutico concreto. Il filosofo formatosi alla scuola di Cartesio sa che le cose sono dubbie e ambigue, cioò non sono così come esse appaiono; ma non dubita che la coscienza non sia tale quale appare a se stessa: in essa, senso e coscienza del senso coincidono. Dopo Marx e Nietzsche, con Freud siamo entrati nel dubbio sulla coscienza: la coscienza ò sempre anche falsa coscienza e in quanto tale richiede un lavoro interpretativo capace di comprendere il senso latente-patente, nascosto-mostrato, simulato-manifestato. A partire dai maestri dell’ermeneutica del sospetto, la comprensione ò una ermeneutica: cercare il senso, ormai, non significa più compilare la coscienza del senso, ma decifrare le sue espressioni. Traducendo l’attenzione per il problema ermeneutico in un’originale riflessione sul modello interpretativo proposto dalla psicanalisi, Ricoeur muove dall’idea di un “contraccolpo” della psicanalisi sulla filosofia, consistente nella de-costruzione del Cogito e delle pseudo-evidenze della coscienza: lo studio della psicanalisi risponde nelle intenzioni di Ricoeur alla necessità di esplorare criticamente i limiti della filosofia della coscienza. Freud, agli occhi di Ricoeur, insegnandoci a dubitare della coscienza, ha sollevato un dubbio radicale sulle certezze di Cartesio e poi di Husserl facendo balenare l’idea che la coscienza immediata e la certezza di sè celino in realtà una falsa coscienza. In un certo senso, dunque, Freud. avrebbe prodotto la “crisi” della filosofia del Cogito ed avrebbe stimolato l’avvento di una nuova filosofia dell’uomo e del soggetto in grado di fare della coscienza non più un dato bensì un compito. Come dice lo stesso Ricoeur nel âSaggio su Freudâ, nella metapsicologia freudiana â la coscienza cessa di essere ciò che ò meglio conosciuto per diventare essa stessa problematica; vi ò dâora innanzi una questione della coscienza, del divenir cosciente, al posto della cosiddetta evidenza della coscienza â. Seguendo Freud nel difficile compito dell’interpretazione psicanalitica dei sogni e dei sintomi neurotici e analizzando la topografia della coscienza, che pone, al di sotto del consapevole, l’inconscio e il preconscio, Ricoeur rileva una certa tensione tra lâenergetica e l’ermeneutica nella lettura freudiana della psiche. Di fatto, il problema epistemologico del freudismo ò appunto quello di situare correttamente nella struttura decorso psicanalitico il rapporto tra energetica ed ermeneutica che fanno a prima vista vista dell’opera di Freud un discorso misto e ambiguo. Freud può essere letto sia da un l’unto di vista genetico-energetico, ossia il punto di vista dellâ economia delle forze psichiche in gioco, sia da un punto di vista ermeneutico, ossia dal punto di vista della scoperta del senso delle espressioni psichiche. Ricoeur propone di considerare ambedue le dimensioni del discorso poichè ritiene che in Freud lâenergetica passa attraverso una ermeneutica, e l’ermeneutica scopre una energetica, e che portarla possibilità del desiderio si annuncia entro e mediante un processo di simbolizzazione e di una ermeneutica del simbolo stesso. Il desiderio ò nellâuomo un quid insuperabile sia a livello conoscitivo sia pratico: la psicanalisi stessa non supera questo livello conoscitivo, perchè, in quanto interpretazione, ò la conoscenza indiretta, tramite i sintomi che decifra, di ciò che, nella rappresentazione, non passa nella rappresentazione. Nella lettura fìlosofica ricoeuriana di Freud, la psicanalisi si presenta nella e per la riflessione come unâarcheologia del soggetto. Come interpretazione archeologica dell’uomo, la psicanalisi ò il primo passo che si impone alla riflessione per superare il vuoto e l’astrazione della prima verità , che ò lâ âio pensoâ, âio sonoâ. Essa, come archeologia del soggetto, testimonia che il conoscere non ò mai staccato dalla vita, ma che si radica sempre nell’esistenza concreta, intesa come desiderio e sforzo. Ma, concedendo credibilità alla psicanalisi, la ripetizione fìlosofica del freudismo si conclude allora in una filosofia della riflessione? Ricoeur stesso riconosce che il concetto di archeologia del soggetto ò estremamente astratto fino a quando non lo si pone in un rapporto di opposizione dialettica con il concetto complementare di âteleologia del soggettoâ: â solo il soggetto che ha un âtelosâ ha una âarchòâ â (Dellâ interpretazione. Saggio su Freudâ). Nella loro reciproca dialettica, che permette una duplice lettura della psiche, l’archeologia del soggetto si manifesta in un movimento analitico e regressivo verso l’inconscio (inteso come ordine dellâ arcaico e del primordiale); mentre la teleologia del soggetto si esprime. con un movimento sintetico e progressivo verso lo spirito (inteso come ordine del dover-essere futuro). Lâarcheologia del soggetto trova il suo modello nell’interpretazione psicanalitica della cultura e si propone di spiegare le figure successive con quelle anteriori. Il suo presupposto ò che l’uomo sia l’essere destinato a rimanere preda della sua infanzia. La teleologia del soggetto trova il suo modello nella âFenomenologia dello spiritoâ di Hegel e si propone di spiegare le figure anteriori con quelle posteriori. Il suo presupposto ò la coscienza come compito, ossia come verità assicurata solamente alla fine del processo. Nella dialettica fra procedura archeologica e procedura teleologica si costituisce il terreno filosofico più propizio perchè emerga la complementarità tra due ermeneutiche altrimenti tra loro irriducibili e contrapposte applicata alle formazioni mitico-poietiche della cultura: un’ermeneutica amplificatrice o recuperatrice, attenta al sovrappiù di senso, incluso nel simbolo, che la riflessione ha il compito di liberare nello stesso tempo in cui essa deve arricchirsene elevandola alla pienezza significante e un’ermeneutica demistificatrice che si inscrive in una tradizione facile da identificare, quella di un’ermeneutica del sospetto sulle tracce di Marx, Nietzsche e Freud. Il primo tipo ò un’ermeneutica che non soltanto mira alla costruzione del senso, invita all’ascolto e pone così le basi per una comprensione dei segni attraverso i quali il sacro può manifestarsi, ma a cui spetta cogliere il significato dei simboli e preparare la strada alla rivelazione di un senso che può rinnovare totalmente l’esistenza dell’uomo. Il secondo tipo, sempre attuale, ò un’ermeneutica che ha il compito di denunciare gl’inganni e di abbattere gl’idoli per consentire all’uomo di vedere âpiù a fondo in se stesso. Metafora, tempo e racconto II fenomeno della innovazione semantica legata a operazioni di sintesi che creano nuove entità del discorso, ovvero la produzione di un senso nuovo attraverso le procedure creative del linguaggio polisemico e attraverso il potere creativo e lo schematismo dell’immaginazione produttrice e il confronto con le fondamentali problematiche del tempo, della storia e della funzione narrativa e mimetica del racconto, costituiscono il centro di gravita della riflessione ermeneutico- filosofica svolta da Ricoeur nelle due âopere gemelleâ âLa metafora vivaâ (1975) e âTempo e raccontoâ (1983-1985), pubblicate l’una dopo l’altra ma concepite insieme. La teoria ricoeuriana della metafora elaborata – a partire da Aristotele oltre Aristotele- lungo un percorso che originalmente dall’antica retorica, attraverso le semiotica e la semantica moderne, perviene all’ermeneutica, si configura come una teoria filosofica rivolta prevalentemente a rivalutare il senso, il significato e la funzione ermeneutica ed ontologica della metafora viva al livello del discorso e non della semplice denominazione. à attraverso la metafora, quale manifestazione e luogo di produzione del linguaggio creativo e veritativo, che noi uomini facciamo l’esperienza della metamorfosi del linguaggio e della metamorfosi della realtà . Secondo Ricoeur, la necessaria revisione e critica della tradizione retorica della metafora sposta il problema della metafora da una semantica della parola ad una semantica del discorso. Per una lunghissima storia che inizia con i sofisti greci e si dispiega, attraverso Aristotele, Cicerone e Quintiliano, per giungere a morire negli ultimi trattati di retorica del XIX secolo, la metafora ò stata classificata schematicamente nelle sei seguenti proposizioni: 1) la metafora ò un âtropoâ, ossia una figura di discorso che riguarda la denominazione; 2) la metafora ò un’estensione della denominazione realizzata mediante una deviazione del senso letterale delle parole; 3) la ragione di tale deviazione si trova, per la metafora, nella somiglianza; 4) la funzione della somiglianza ò di fondare la sostituzione del senso figurato al senso letterale di una parola che avrebbe potuto essere utilizzata nello stesso luogo; 5) il significato sostituito non comporta quindi nessuna innovazione semantica; 6) poichè non comporta alcuna innovazione, la metafora non fornisce alcuna informazione sulla realtà : per tale ragione essa può essere annoverata tra le funzioni emozionali del discorso. Per Ricoeur, la â scintilla di senso â costituiva della metafora viva, cioò l’enunciato metaforico, vero e proprio â poema in miniatura â, non ò più da considerarsi un ornamento stilistico, un nome improprio, una sostituzione lessicale motivata dalla somiglianza, ma ò una â predicazione bizzarra â, un’ â attribuzione impertinente â: non ò un fenomeno di parola, una â denominazione deviante â, ma un evento testuale e discorsivo che, carico di una potenzialità di ri-figurare la realtà e insieme capace di scoprire dimensioni ontologiche nascoste dell’esperienza umana e di trasformare la nostra visione del mondo, produce, attraverso lo slancio dell’immaginazione, una nuova pertinenza concettuale, nella quale un senso nuovo viene creato proiettando una nuova comprensione del mondo. La âverità metaforicaâ, sospendendo la âreferenzaâ ordinaria per attivare quella secondaria, “divisa”, “spezzata”, contribuisce, come dice Ricoeur, a una ridescrizione del reale e, più generalmente, del nostro essere-al-mondo, in virtù della corrispondenza fra un vedere-come sul piano del linguaggio e un essere-come sul piano ontologico: essa ò la verità di un mondo ridescritto e riconfigurato che ha di mira â l’essere non più secondo le modalità dell’esser-dato, bensì secondo quelle del poter essere â (âDal testo all’azioneâ). In continuità e parallelamente con la riflessione iniziata nella Metafora viva relativa ad una teoria frammentaria della creatività del linguaggio, la riflessione sul rapporto fra temporalità , storia e funzione narrativa del racconto viene svolta da Ricoeur nell’imponente trittico di Tempo e racconto, dando così concretezza al disegno della âvia lungaâ dell’ermeneutica tra fenomenologia, epistemologia ed ontologia prospettata negli anni Sessanta. Il tempo ò il tema filosofico che regola dall’inizio alla fine Tempo e racconto, come sottolinea l’ordine dei termini nel titolo. La problematica della funzione narrativa del racconto come luogo in cui il tempo diviene tempo umano ò invece affrontata in due sezioni distinte: l’una incentrata sulla configurazione, cioò sulle operazioni narrative operanti all’interno stesso del linguaggio (linguaggio ordinario, storia, finzione) nella forma della costruzione dell’intreccio dell’azione e dei personaggi; l’altra sulla rifìgurazione, ovvero sulla trasformazione dell’esperienza viva del tempo mediante il racconto: rifigurazione che viene situata da Ricoeur al livello di un ampio confronto tra una aporetica della temporalità – che attraverso le analisi di Agostino, Aristotele, Husseri, Kant e Heidegger, fa emergere lo scarto tra il âtempo vissutoâ e il tempo fisico-cosmico che appare non attraversabile speculativamente e mostra che la temporalità non si lascia dire nel discorso diretto di una fenomenologia, ma richiede il discorso indiretto della narrazione – e una poetica della narratività , la quale, se ricollocata entro una ermeneutica della coscienza storica della storicità dell’esistenza, può dar voce – attraverso la mediazione aperta svolta dalla narrazione (nelle sue varie forme: racconto storico e racconto di finzione) e dalla mutevolezza dell’identità narrativa (quale capacità umana di narrarsi) – all’esperienza esistenziale della temporalità (nella sua dialettica di passato, presente e futuro). L’idea direttrice generale, secondo Ricoeur, ò che nel racconto il tempo viene organizzato, parimenti, solo l’esperienza temporale permette al racconto di divenire significativo: il racconto porta a compimento la sua corsa soltanto nell’esperienza del lettore, del quale esso ârifìguraâ l’esperienza temporale. Secondo questa ipotesi, il tempo ò in qualche modo il referente del racconto, mentre la funzione del racconto ò di articolare il tempo in modo da conferire ad esso la forma di un’esperienza umana. Come dice Ricoeur: â la posta in gioco ultima e dell’identità strutturale della funzione narrativa e dell’esigenza di verità di ogni opera narrativa, sta nella natura temporale dell’esperienza umana. Il mondo dispiegato da qualsiasi lavoro narrativo ò sempre un mondo temporale. [… ] Il tempo diviene tempo umano nella misura in cui ò articolato in modo narrativo; per contro il racconto ò significativo nella misura in cui disegna i tratti dell’esperienza temporale â (âTempo e raccontoâ). Il problema che si pone ò quindi quello del passaggio dalla configurazione all’interno del testo del racconto, alla rifigurazione del mondo reale del lettore, fuori dal testo del racconto. Nell’affrontare questo problema all’ermeneutica spetta pertanto il compito d’indagare il complesso delle operazioni che consentono all’autore del racconto di presentare al lettore la sua “storia”, distinguendola dall’esperienza quotidiana, ma senza lacerare i fili che ad essa la connettono. Nei confronti della costruzione dell’intrigo narrativo, l’ermeneutica, nel circolo tra racconto e temporalità , ò dunque chiamata a svolgere una triplice âmimesisâ intesa in senso dinamico come un processo attivo di imitazione e rappresentazione dell’azione. Imitazione creatrice nel triplice senso: âmimesi come precomprensione dell’azione, in quanto l’azione umana ò già strutturata linguisticamente; mimesi come capacità dell’opera narrativa di configurare, di dare forma al mondo delle azioni umane- mimesi, infine, come capacità dei testi narrativi di alimentare una nuova prassi di ri-figurare l’azione. Il sè e lâalterità Una dimensione implicitamente ontologica orienta la complessa analisi della soggettività , dell’ermeneutica del sè e della dialettica del Medesimo e dell’Altro che Ricoeur ha svolto nella fase matura del suo itinerario fìlosofico con l’insieme degli studi che compongono la sua opera âSoi-mème comme un autreâ del 1990. Partendo dalla critica dell’immediatezza originaria della coscienza tipica delle filosofìe del soggetto di matrice cartesiana e riprendendo le nozioni di primato della mediazione riflessiva e di ermeneutica dell’io, già formulate nelle sue precedenti opere, e tentando di stabilire un rapporto tra la filosofia analitica del linguaggio e la fenomenologia ermeneutica Ricoeur afferma dapprima che il soggetto non ò un centro trasparente, autoponentesi e autofondantesi, ma ò un’identità che non può non porsi la domanda su quel sè che ciascuno ò nel rapporto costitutivo con l’altro; poi affronta il problema dello statuto del soggetto m primo luogo, nel riferimento ai processi linguistici di identificazione e di enunciazione e, in secondo luogo, stabilendo un confronto con la teoria dell’agire sociale e con la riflessione di tipo etico. Alla base dell’argomentazione di Ricoeur sta la distinzione tra due significati contrapposti dell’identià : identità come idem che rinvia alla continuità del medesimo (mèmetè) e alla definizione sociale dell’individuo, da un lato; identità come ipse, riferita alla singolarità personale imprevedibile, dall’altro Oltre a considerare la dialettica complementare che si stabilisce e si intreccia tra identità – idem e identità – ipse, Ricoeur interpreta la dimensione ipse dell’identità anche come dialettica del sè e dell’altro: il Sè dell’uomo ò altro da se stesso, ò alterila. Questa alterità la filosofia non riesce a denominare in modo univoco: essa ò il corpo l’altro uomo, la voce della coscienza. Trè prospettive filosofiche attraversano in Sè come un altro la fatica ermeneutica dell’ultimo Ricoeur, che egli stesso ha così sintetizzato: â nella prima, viene ricercato per il se uno statuto che sfugga alle alternanze della esaltazione e della decadenza che affettano le filosofie del soggetto alla prima persona: dire sè non ò dire io. Ritenuto il riflessivo di tutte le persone grammaticali – come nell’espressione: la cura di sè – il sè postula la deviazione attraverso analisi che portino ad articolare in modo diverso la questione chi? Chi ò il parlante del discorso? Chi ò l’agente o il paziente dell’azione? Chi ò il personaggio del racconto? A chi viene imputata l’azione posta sotto l’egida dei predicati-buono” od “obbligatorio”? [Queste sono] indagini essenzialmente improntate alla cosiddetta filosofia analitica, con la quale l’ermeneutica del sè entra in un dibattito molto serrato. Seconda prospettiva: Y identità suggerita dal termine “mòme” va scompo- sta m due principali significazioni: l’identità -idem di cose che permangono immutate nel tempo, e l’identità -ipse di colui che mantiene se stesso soltanto sul modo di una promessa mantenuta. Infine (terza prospettiva), l’antica dialettica del Medesimo e dell’altro deve essere rinnovata se l’altro da sè si dice in molti modi- il “come” dell’espressione “sè come un altro” può significare, allora, un legame più stretto rispetto a qualsiasi comparazione: sè in quanto altro â. L’ermeneutica del sè, configurata nell’opera Sè come un altro, nelle sue intenzioni si presenta come una filosofia pratica che non ha ambizione di fondazione ultima ma alla quale ânon fa difetto nò la sicurezza nò la confidenza generata dall’attestazione di sè come un altroâ. Con quest’opera, di alto rilievo filosofico, Ricoeur si ò riconosciuto di appartenere pienamente a quella che Jean Greisch ha definito l’età ermeneutica della ragione.
- 1900
- Filosofia - 1900