Secondo Arthur Schopenahuer (1788-1860) la realtà è mossa da una volontà cieca che spinge gli uomini ad una lotta continua e distruttiva per soddisfare i propri interessi vitali. Il dolore rappresenta l’esito di questa lotta e, al contempo, lo stato in cui si può diventare consapevoli della volontà che lo ha prodotto. Il dolore, in questo contesto, è uno stato positivo perché consente all’uomo di ripugnare la volontà, approdare alla contemplazione distaccata dell’idealità del mondo e raggiungere la “nolontà”, ovvero l’annullamento della volontà. Il piacere (o il benessere), invece, è uno stato negativo perché è conforme alla volontà e asseconda la forza cieca che porta l’uomo, ripetutamente e senza soluzione, al dolore. Il piacere spinge l’esistenza umana verso la sofferenza, in quanto legato alla ricerca della soddisfazione del benessere e della volontà naturale, mentre il dolore porta ad una possibile liberazione, in quanto successivo alla ricerca del piacere e, quindi, più vicino alla consapevolezza razionale e alle esperienze liberatorie di tipo estetico, morale oppure ascetico.
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