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Persio

[T2]La vita[/T]

Aulo Persio Flacco (Volterra 34 – Roma 62 d.C.) nacque da famiglia agiata e

appartenente all’ordine equestre, ma rimase orfano di padre all’età di 6 anni e fu allevato con ogni cura dalla madre, Fulvia

Sisenna; fu lei a condurlo a Roma, all’età di 12-13 anni, ad educarsi presso le migliori scuole di grammatica e retorica: ebbe

come maestri Remmio Palèmane e Virginio Flavo, ma a segnarlo fu l’incontro col severo filosofo stoico Anneo Cornuto (liberto

della famiglia di Seneca e precettore anche di Lucano), che lo mise in contatto con gli ambienti dell’opposizione senatoria al

principato (Persio legò soprattutto con Tràsea Peto).
La conversione alla filosofia lo portò a condurre una vita austera e

appartata, nel culto degli studi e degli affetti familiari. Come detto, Persio fu amorevolmente circondato dalle cure della

madre, ma anche di altre quattro donne: una zia, una sorella, la cugina Arria minore, moglie di Tràsea Peto, e la figlia di

questa, Fannia. Le premure di costoro furono determinanti, almeno quanto la sua educazione filosofica, nella formazione della

sua personalità. Ebbe pochi amici: quelli dell’adolescenza, Calpurnio Statura, Lucano, Cesio Basso, ai quali più tardi si

aggiunsero soltanto Servilio Noniano e i già citati Tràsea Peto e Cornuto (per lui, Persio provò profondissima devozione). Fu

proprio Cornuto ad incoraggiarlo alla poesia.
La naturale introversione e delicatezza d’animo, nonché la riservatezza nella

quale aveva scelto di vivere, finirono per rendere Persio un isolato, estraneo alla realtà viva del suo tempo, al punto che

mostrò di non provare alcun interesse per il contemporaneo Seneca, stoico come lui e che pure (ma tardi) conobbe: tuttavia, è

difficile stabilire se a tale condizione egli sia pervenuto in seguito ad una scelta per così dire “estetica” ed etica, o se

non vi sia pervenuto anche attraverso un atteggiamento “politico” di rifiuto della realtà che lo circondava.
Persio morì a

soli 28 anni, per una grave malattia allo stomaco, in una villa lungo la via Appia. Lasciò in eredità al maestro Cornuto tutta

la sua biblioteca – compresa l’opera intera di Crisippo (700 volumi!) – nonché una grossa somma di denaro e 10 libbre d’argento

lavorato. Sappiamo che Cornuto trattenne per sé i libri, mentre consegnò il resto alla madre e alla sorella del poeta.

[T2]Le opere[/T]

Persio non pubblicò nulla in vita. L’amico Cesio Basso curò l’edizione del libro delle Satire,

dopo una revisione di Cornuto, che aveva sconsigliato la pubblicazione delle altre opere poetiche: una tragedia pretesta, un

libro di viaggi e un elogio ad Arria Maggiore, suocera di Trasea Peto, scritti che pertanto sono andati perduti. Le Satire sono

6 per un totale di 669 esametri dattilici, precedute da 14 versi coliambi, da alcuni ritenuti un prologo, da altri un epilogo,

in cui Persio si dichiara un dilettante e polemizza con i poeti esistenti.

[T2]Le Satire[/T]

Le satire di Persio

sono ispirate alla dottrina stoica e stigmatizzano i vizi dell’uomo: superstizione, ipocrisia, avarizia, ozio, schiavitù

delle passioni. Predomina il senso del dovere e della vita onesta e irreprensibile, di una rigida e severa morale che non

ammette deroghe. Pur debitore di Orazio nella scelta di molti temi, egli non ne conosce l’indulgenza e la cordialità umana,

chiudendosi invece in una visione di intransigente e spigoloso rigorismo. Più che un poeta, Persio appare un moralista

intollerante, con una visione pessimistica della società, che egli giudica da una posizione privilegiata e distaccata.

[P]Il contenuto delle Satire[/P]

Satira I: è un dialogo tra il poeta e un amico, in cui si biasima il malcostume

dei poetastri del tempo che ricorrono a qualsiasi mezzo pur di ottenere nelle pubbliche declamazioni applausi e ricchezze.

Satira II: in forma di epistola indirizzata all’amico Plozio Macrino per il suo compleanno, critica l’ipocrisia di

chi in segreto chiede favori materiali con sacrifici agli dei, che invece dovrebbero essere invocati con cuore puro e sincero

per migliorare se stessi.

Satira III: sviluppa il tema dell’educazione; il poeta esorta un giovane ricco e ozioso a

seguire lo studio della filosofia morale per vivere saggiamente.

Satira IV: è un breve dialogo sull’adagio socratico

“conosci te stesso”, in cui Socrate incita Alcibiade a prepararsi per la vita pubblica, deplorando il malcostume di giudicare i

difetti degli altri senza conoscere profondamente se stessi.

Satira V: è la più lunga (190 versi) ed è dedicata a

Cornuto di cui si rievoca affettuosamente la bontà e l’amicizia. Tratta, secondo i dettami stoici, il bene della vera

libertà, cioè quella dello spirito che si ottiene vivendo onestamente, con desideri moderati, in modo sobrio e sottraendosi in

tempo alle passioni.

Satira VI: epistola contro l’avarizia, diretta all’amico Cesio Basso, in cui il poeta

afferma la necessità di seguire il giusto mezzo tra prodigalità e avarizia.

[T2]La sperimentazione linguistica[/T]

Le Satire mettono in luce un’audace e accurata sperimentazione linguistica, frutto di una raffinatissima abilità

tecnica, in cui le parole assumono una molteplicità e ambiguità di significati. È uno stile volutamente aspro nella connessione

dei termini e dei concetti, denso di metafore, tese a riscoprire il valore primigenio dell’immagine, di traslati, di audaci

forme sintattiche e figure retoriche, che rendono a volte di difficile interpretazione il messaggio, tanto da risultare

ermetico fino a rasentare l’oscurità. La sua poesia assume per questo un’impronta del tutto personale, unica nel panorama

della letteratura latina, destinata a un pubblico ristretto e raffinato. Nonostante ciò, Persio ebbe molta fortuna già presso i

suoi contemporanei e, soprattutto nel Medioevo, fu molto ammirato per il rigore morale.

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