Per Leopardi le ragioni storiche della tragedia propria dell'età in cui egli vive risiedono nel conflitto fra natura e ragione o civiltà: si tratta del conflitto esaminato proprio da Rousseau.
Quando nel 1828, a Pisa in una fase della sua vita più serena, ritorna a dedicarsi totalmente alla poesia, la sua sensibilità non è però cambiata e la sua visione della vita continua ad essere improntata a un deciso pessimismo intellettuale. Nasce così la seconda grande stagione della sua poesia, quella che i posteri hanno poi definito de "i grandi idilli".
Fra questi, in particolare, "A Silvia", "La quiete dopo la tempesta", "Il passero solitario".
Nel ricordo delle cose passate sa che queste sono lontane e morte, che la vita è dolore, che la sua adolescenza è stata tutta pianto o speranze deluse. Silvia è morta e non ha conosciuto le gioie umili e semplici della giovinezza e dell'amore. E, con la sua morte, il Leopardi vede scomparire le sue speranze giovanili, cadere miseramente tutto quel mondo di sogni.
Nel crollo egli perde in apparenza molto più di Silvia: "i diletti, l'amor, l'opra, gli eventi" indicano un mondo ricco di varie gioie che egli sperava di poter raggiungere nel futuro.
"La quiete dopo la tempesta" dà un senso gioioso di festa, ma solo perché il solo conforto che la natura offre all'uomo è la cessazione momentanea della sofferenza.
Nel "Passero solitario" il tema è la solitudine che accomuna il passero che canta sulla "torre antica" sfuggendo ai suoi compagni, e il poeta, estraneo a ogni compagnia e noncurante dei piaceri.
Ma il "solingo uccellin" alla fine della sua vita non dovrà pentirsi di essere vissuto come la natura gli imponeva; il poeta, invece, giunto alla vecchiaia, si pentirà, ma invano, di aver sprecato in tal modo la giovinezza.
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- Giacomo Leopardi
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