Petronio - Studentville

Petronio

[T2]La vita[/T]

Gli antichi non ci hanno tramandato

alcuna notizia intorno all’autore del Satyricon. Anzi, per trovare qualcuno che parli dell’opera e faccia il nome del suo

autore, bisogna aspettare Terenziano Mauro, un metricologo del II o del III secolo.
Di fatto, i manoscritti che ci hanno

conservato il Satyricon e che risalgono, almeno i più antichi, al IX secolo, attribuiscono l’opera a un Caio Petronius Arbiter.

Di più la tradizione antica non ci ha voluto dire. Di un certo C.Petronio, però, ci parla diffusamente, senza per altro fare

esplicito cenno a lui come all’autore del Satyricon e neppure come a uno scrittore, Tacito. Infatti, trattando nei suoi Annali

(XVI,18-19) degli ultimi avvenimenti relativi alla congiura ordita da Pisone contro Nerone (66 d.C.), lo storico cita anche lui

delineando un profilo di un cortigiano colto, raffinato e pieno d’inventiva, dai costumi davvero singolari e bizzarri: dedicava

il giorno al sonno e di notte si occupava dei suoi affari e si dava ai piaceri della vita. Ciononostante non veniva stimato un

gaudente o uno scialacquatore, bensì un raffinato e un aristocratico. Nel suo modo di comportarsi e di esprimersi, era

estremamente disinvolto e quanto più mostrava questa sorta di disprezzo verso tutto e tutti, tanto più riusciva simpatico.

Tuttavia quando era stato chiamato ad assumere responsabilità politiche, prima come proconsole in Bitinia e poi come console,

si era rivelato energico ed era stato all’altezza dei suoi compiti. Dopo la parentesi politica era ritornato alla vita di

sempre (difficile stabilire se se conducesse veramente la vita di un vizioso o se egli, piuttosto, non cercasse in tutti i modi

di farla parere tale).
Proprio per la sua fama di raffinato era stato ammesso alla corte di Nerone. Lì, col suo innato

talento era presto diventato un vero e proprio maestro di eleganza “un arbitro di buon gusto”(elegantiae arbiter): nulla Nerone

considerava piacevole e dolce nella ricchezza, se non fosse stato approvato da Petronio. Però, proprio il suo crescente

prestigio gli nocque. Secondo Tacito, infatti, il prefetto del Pretorio Tigellino divenne invidioso del suo successo e del

favore che godeva presso l’imperatore. Per sbarazzarsene stuzzicò la crudeltà di Nerone: insinuò nell’imperatore il sospetto

che egli, in quanto amico di Flavio Scevino, uno dei principali esponenti della congiura pisoniana, non poteva non essere

implicato nella trama. Tigellino provvide poi a corrompere uno schiavo che fungesse da testimone, fece arrestare parte della

schiavitù e tolse all’accusato ogni possibilità di difendersi. Petronio nel frattempo era in viaggio con l’imperatore in

Campania. A Cuma ricevette l’ordine di fermarsi e di considerarsi agli arresti, in attesa di conoscere le decisioni di Nerone

circa il suo tradimento. Petronio però non volle aspettare la sentenza dell’imperatore. Egli non sopportò il protrarsi del

timore o della speranza e decise di darsi alla morte, ma senza fretta. Con stile e con signorilità, quasi si trattasse dell’

ennesimo capriccio, si incise le vene, poi le fasciò e le aprì di nuovo. Implicitamente deridendo le pose eroiche care ai

filosofi stoici, anziché discutere sull’immortalità dell’anima o uscir fuori in sublimi massime filosofiche, preferì ascoltare

canzonette e poesie scherzose.
Inoltre, come se fosse un giorno qualsiasi , da buon padrone, amministrò la giustizia

domestica, premiando alcuni servi e punendone altri. Le ultime ore le passò a banchetto, concedendosi persino qualche dormita

in modo tale che la morte sembrasse casuale. Nel testamento, inoltre, invece di aggiungere qualche clausola a favore di Nerone,

di Tigellino o di qualche altro personaggio, come erano soliti fare la maggior parte dei morenti per attirarsi la simpatia ed

evitare così la confisca dell’intera eredità, come postuma vendetta e ultima beffa, provvide a mettere per iscritto il racconto

delle dissolutezze di Nerone elencando i nomi delle amanti e degli amanti implicati. Finito di scrivere il tutto lo sigillò e

lo fece spedire a Nerone. Quindi ruppe l’anello con il suo sigillo personale per impedire che potesse essere usato per

danneggiare altre persone (l’anello infatti poteva servire alla falsificazione di documenti epistolari e così compromettere

altre persone con l’accusa di complicità).

[T2]Il Satyricon[/T]

[P]Il titolo (forma e significato)[/P]

La

parola satyricon è il genitivo plurale (neutro) del aggettivo greco satyrikòs, formato da due grecismi: Satyri(i Satiri,

personaggi del mito e del folklore greco) più il suffisso di derivazione greca –icus (-ikos), lo stesso che serve alla

formazione di titoli come Georgicon (neutri plurali:”Le Georgiche”ovvero “poema dei contadini”). Implica un sottinteso libri da

cui il genitivo dipende: dunque Satyricon (libri) significa “(libri) di cose relative ai Satiri”. Perciò non sarebbe corretto

dire “il Satirycon”si dovrebbe meglio dire “le (storie) Satiriche”, come diciamo “le (poesie) Georgiche”. Come titolo originale

alcuni editori moderni preferiscono il nominativo Satyrica (per analogia con le Bucolica, e soprattutto con vari titoli greci

di opere narrative). Trattandosi di parola greca, il titolo va scritto con la –y-, e rinvia ai Satiri, divinità minori del

seguito di Bacco delle quali nell’opera non si fa cenno, ma che simboleggiano il carattere lascivo e sconveniente del

contenuto, e che, attraverso il riferimento al dramma satirico greco, suggeriscono l’idea di una modalità letteraria estrosa e

parodistica. Il titolo, con un curioso gioco di parole che corrisponderebbe al carattere ambiguo e arguto dell’opera stessa,

allude anche a satura: parola latina che in età imperiale veniva connessa col greco sàtyros e veniva dunque scritta anche nelle

forme satyra e satira.

[P]Riassunto[/P]

Si pensa che la storia abbia avuto inizio a Marsiglia dove Encolpio, il

personaggio narrante, in seguito ad una pestilenza, viene scelto come capro espiatorio dalla cittadinanza. Inizia a vagabondare

toccando diversa città dell’Italia meridionale (destinazione ultima, forse, l’Egitto, culla di ogni sapere e di ogni rinascita

spirituale). Encolpio è incorso nell’ira di Priapo (come Ulisse in quella di Poseidone e i troiani in quella di Giunone) forse

a causa del fatto che egli assomigliava molto, nell’aspetto esteriore, alla divinità, ma niente affatto nel carattere: Priapo è

protettore delle greggi e dei giardini, dio della fertilità e nemico dei ladri, Encolpio è abbastanza colto ma costretto a

rubare. Priapo si vendica nella sfera sessuale, dove contrappone ad Encolpio figure femminili possessive che lo sottopongono a

rituali erotici, disturbando i suoi amori con la presenza del terzo incomodo, e, infine, rendendolo impotente e facendolo

cadere nelle mani di megere che lo seviziano con la scusa di restituirgli l’antico vigore.
Quando inizia il testo sono già

avvenute parecchie cose: Encolpio è sfuggito alla giustizia, ha ucciso un uomo e ha rubato delle monete d’oro. In prigione ha

conosciuto Gitone, bellissimo ragazzo di cui si è innamorato e col quale è fuggito, ma si è trovato ben presto implicato in

rapporti triangolari e quadrangolari, prima con Trifena (cortigiana), poi con Lica (ricco mercante e marinaio) e sua moglie

Edile. Si è poi unito alla coppia Ascilto, un giovane spregiudicato, al quale Encolpio nasconde il suo legame con Gitone. In

una città greca della Campania, forse Pozzuoli, i tre profanano un tempio di Priapo, smarrendo una tunica nella quale erano

state cucite delle monete d’oro e a questo punto inizia il testo superstite. Encolpio discute con Agamennone, un professore di

retorica, sulle cause della corruzione dell’eloquenza: Encolpio da la colpa ai maestri che rincitrulliscono i ragazzi facendoli

declamare su argomenti irreali, il maestro scarica la colpa sui genitori, che per ambizione di vedere presto i propri figli in

carriera vogliono programmi di studio abbreviati e facili; nel frattempo Ascilto scappa per raggiungere in locanda Gitone.

Encolpio lo segue ma entrambi si perdono ritrovandosi in un lupanare (casa di prostituzione). Raggiunta finalmente la locanda

vi è una lite per contendersi Gitone che si conclude con una rappacificazione. Encolpio e Ascilto si recano al mercato per

vendere il mantello che avevano rubato; qui incontrano un contadino con la tunica che avevano smarrito, che si dichiara

proprietario del mantello: vi è uno scambio della refurtiva che evita un’azione giudiziaria. Tornati all’albergo sono raggiunti

da Quartilla, sacerdotessa di Priapo, che li accusa di averle provocato un attacco di febbre terzana profanando la cerimonia in

onore del dio: per espiare il gesto sono sottoposti a torture erotiche in albergo e a casa di Quartilla. Il terzo giorno

accettano un invito a cena procuratogli da Agamennone: ha inizio l’episodio della cena di Trimalchione (il più lungo e integro

del romanzo).
Trimalchione è un liberto di origini asiatiche che è riuscito ad accumulare un’immensa fortuna. Dopo una sua

prima apparizione alle terme, vi è il suo ingresso nella sala da pranzo, preparato dalla descrizione della casa e dei suoi

accessori. Nella casa tutto deve filare a tempo, tranne il proprietario che si presente in ritardo e impegnato in una partita

di un gioco. Ogni evento, accompagnato da musica e canto, può diventare il pretesto per una serie di battute. Lo sfarzo

raggiunge i limiti dell’immaginabile: cibi che raffigurano i segni dello zodiaco, un cinghiale arrostito dal cui ventre esce

uno stormo di tordi, un maiale cotto che ha per viscere salsicce,… Lo stupore di Encolpio, ingenuo e impreparato, continua a

crescere. Perfino l’etichetta di un vino centenario può diventare pretesto per considerazioni sulla brevità della vita:

Trimalchione si fa portare uno scheletro umano d’argento col quale gioca facendo qualche riflessione sulla pochezza dell’uomo.

Successivamente, quando Trimalchione si assenta, Encolpio e Ascilto si abbandonano alla conversazione con alcuni convitati

riguardo alla politica, alla vita e alla morte. Gli interventi dei convitati si intonano al basso o bassissimo grado sociale di

questi liberti arricchiti, vincolati nei loro giudizi solo al parametro della ricchezza. La cena riprende con colpi di scena

gastronomici come una portata con al centro un Priapo (tema-guida del romanzo) carico di frutti e focacce che diffondono un

profumo esotico. A questo punto Nicerote e poi Trimalchione narrano favole di magia: un caso di licantropia e una storia di

streghe. La cena si avvia alla conclusione e Trimalchione è dominato dal solo pensiero della morte: legge il proprio testamento

e discute con Abinna (un marmista) il progetto della sua faraonica tomba. Dopo un bagno ristoratore e un primo tentativo di

fuga di Encolpio, Ascilto e Gitone il banchetto riprende. Trimalchione e la moglie Fortunata litigano a causa dell’eccessivo

interessamento del primo verso uno schiavetto. Trimalchione rievoca la sua brillante carriera, ma consapevole che ogni vita

termina con la morte, mima la sua distendendosi in abiti funebri, accompagnato da suonatori di corno, ma il suono dei corni

viola il silenzio della notte e i pompieri, allarmati, piombano in casa: Encolpio e Ascilto fuggono e raggiungono la locanda.

A questo punto la narrazione torna ad essere frammentaria. Abbandonato da Gitone che segue Ascilto, Encolpio si trasferisce

in una locanda in riva al mare. In una pinacoteca conosce un vecchio poeta, Eumolpo, col quale scambia severe e pessimistiche

considerazioni sull’arte contemporanea (è la brama di denaro che ostacola lo studio). Vedendo Encolpio assorto nella

contemplazione di un quadro raffigurante la caduta di Troia, Eumolpo gli illustra il soggetto con una lunga poesia (ricca di

echi Virgiliani) che i presenti non gradiscono e i due sono costretti a fuggire sotto una pioggia di sassi. Gitone torna alla

locanda, vi è un’accanita zuffa, durante la quale arriva Ascilto, che non trovando Gitone se ne va, uscendo definitivamente

dalla storia: il suo posto di terzo incomodo è preso da Eumolpo. I tre si imbarcano, ma si accorgono troppo tardi di essere

capitati sulla nave di Lica, il quale medita vendetta su Encolpio, e che ospita Trifena, la quale rivuole Gitone. Encolpio e

Ascilto si travestono da schiavi figgitivi (rasati e col marchio della colpa sulla fronte), ma vengono scoperti: ha inizio una

lite che culmina con la pace. Eumolpo inizia a raccontare la novella della matrona di Efeso (una vedova era tanto addolorata da

voler morire di fame nel sepolcro del marito; un soldato che, lì vicino faceva la guardia a dei corpi crocifissi, cerca di

consolarla e ci riesce così bene che ella per più volte gli si concede, e quando uno dei corpi viene trafugato, per evitare al

soldato la sicura condanna, mette sulla croce il corpo del marito), ma una tempesta si abbatte sulla nave: Lica muore, Trifena

scompare su una scialuppa, Encolpio e Gitone portano via Eumolpo dalla sua cabina dove era intento a comporre versi e si

mettono in salvo sulla spiaggia di Bruzio. Cremato il cadavere di Lica , salendo su un monte si accorgono di essere a Crotone,

un tempo città colta e fiorente, ora divenuta un mortorio, dove l’unica occupazione è quella di irretire vecchi senza figli per

impadronirsi dell’eredità. Eumolpo, intravedendo la possibilità di far soldi, decide di fingersi un ricco africano malato che

ha perso i suoi bagagli in un naufragio. Si avviano verso la città ed Eumolpo impartisce lezioni sulla poesia epica, che

vorrebbe fatta di mito e fantasia (come in Virgilio) e non di realtà storica (come in Lucano), e recita un poema epico sulla

guerra civile fra Cesare e Pompeo. A Crotone Encolpio è irretito da una bella matrona che ama prendere l’iniziativa in

tutto. Nel ruolo di schiavo del ricco africano Encolpio ha preso il nome di Polieno (nome col quale nell’Odissea le sirene

invocano e tentano di sedurre Ulisse) mentre la matrona si chiama Circe. Quest’ultima manda in avanscoperta l’ancella Criside,

e poi si getta tra le braccia di Polieno, che la farebbe sua se Priapo non gli togliesse la virilità. Encolpio cerca di

rifarsi con Gitone ma fallisce nuovamente. Encolpio sembra aver recuperato la sua virtù grazie alla magia di una vecchia

megera, Proseleno, ma alla riprova con Circe fallisce. Picchiato dai servi della matrona Encolpio si rifugia nella sua stanza e

impreca contro quella parte del suo corpo che lo ha tradito (come Ulisse litiga col proprio cuore e Edipo maledice i propri

occhi). Si sottopone ai riti di un’altra strega, Enotea, ma nel frattempo assalito da tre oche, ne uccide una che viene poi a

sapere essere sacra a Priapo. I riti riprendono e le torture ricordano quelle di Quartilla. Riesce a fuggire ma deve

fronteggiare le avances di Criside. Infine Encolpio recupera la sua virilità appellandosi ad un dio più potente di Priapo,

Mercurio (protettore dei ladri). Eumolpo si ammala gravemente e fa testamento, stabilendo che gli eredi, per godere delle sue

ricchezze, dovranno cibarsi delle sue carni, e qui, per noi, la storia si arresta. Non sappiamo se Eumolpo sia malato, morto, o

faccia finta di esserlo, sta di fatto che i pretendenti sono pronti a farsi cannibali.

[P]Modelli[/P]

Il titolo,

Satyricon, o nei manoscritti anche Saturae, non deve far pensare ad un intento di satira moralistica. Esso si limita a

ricondurre l’opera entro un preciso genere letterario, quello delle Saturae Menippeae (genere letterario inventato da Menippo e

introdotto nella cultura romana da Varrone nel I secolo a.C.), caratterizzato da un continuo ed equilibrato alternarsi di parti

in prosa e parti in poesia. Un esempio di satira menippea è l’Apokolokyntosis di Seneca. Delle satire menippea però il

Satirycon ha soltanto la struttura mista di prosa e di versi, l’estrema libertà nella scelta e nella distribuzione degli

argomenti, e il suo carattere comico; inoltre manca ogni intenzione moraleggiante e ogni interesse filosofico e didascalico,

che sono propri di tutta la tradizione satirica. Per il resto il Satyricon è un vero e proprio romanzo.

Il Satyricon è

una narrazione di vicende liberamente inventate, ambientate in un quadro “realistico” di vita quotidiana contemporanea. Queste

caratteristiche sono proprie del romanzo: riferendoci al Satyricon parleremo quindi di “romanzo antico”. Ma “romanzo” è una

parola moderna, e gli antichi non avevano un nome proprio per indicare opere di questo tipo forse perchè erano considerate un

puro mezzo di intrattenimento, immeritevole di essere oggetto di seria riflessione teorica da parte dei critici. I Greci, per

indicarle, usavano espressioni come: storia, mito, racconto, azione drammatica; i Latini usavano il termine fabula per

designare ogni tipo di racconto, anche teatrale, dalla tragedia alla commedia, dal mimo alla farsa. Per quanto possa sembrare

strano il Satyricon rientra in tutti questi generi e in molti altri, gli antichi stessi non sapevano come

inquadrarlo.

Più precisamente si presenta come una bizzarra parodia letteraria del romanzo greco(genere molto diffuso

nella letteratura popolare dell’età ellenistico-romana). Da questo riprende, deformandoli se non deridendoli, i temi e i

motivi. Il romanzo greco, nella sua forma canonica, narrava le peripezie di una coppia di innamorati che soltanto dopo aver

affrontato ogni sorta di avventure, riuscivano a ricongiungersi e a vivere insieme. Nel Satyricon, in luogo della coppia di

giovani virtuosi e di buona famiglia, abbiamo la coppia omosessuale di Encolpio (curioso di tutto e a suo modo elegante e

raffinato) e Gìtone (adolescente capriccioso e lascivo), personaggi amorali e pronti a ogni furfanteria. L’amore di Encolpio e

Gìtone ha impeto e una notevole tenacia, ma la coppia si apre al”triangolo” erotico omosessuale con Ascilto, ed altri rapporti

omo-eterosessuali cui i personaggi sono prontamente disponibili per piacere, paura o per interesse. Ricorrono poi altre scene

caratteristiche del romanzo greco come il naufragio o il tentativo di suicidio, più volte ripetuto o mimato.

Diverse

volte Encolpio sembra rivivere le esperienze di Ulisse. Le peripezie dei personaggi sono a volte guidate da una divinità che

impone un travaglio di purificazione a un personaggio da cui si sente offesa: come Ulisse perseguitato da Poseidone, Encolpio

appare perseguitato da una divinità minore, Priapo(dio rustico della virilità che lo punisce con una ridicola e persistente

impotenza); quando, impotente, rivolge una requisitoria contro il proprio membro inerte, si paragona a Ulisse che apostrofa il

proprio cuore abbattuto per esortarlo a fermezza; Gìtone che si nasconde sotto il letto della locanda per non farsi trovare da

Ascilto è reso simile agli eroi greci che per decisione di Ulisse si nascondono al Ciclope stando sotto il ventre degli arieti;

la nave di Lica vista come un “antro del Ciclope”da cui non si può fuggire; l’inevitabile incontro tra Circe(una ricca dama che

sotto l’apparenza cela le voglie di una donna di strada) ed Encolpio/Polieno; Encolpio, quando si vede abbandonato da Gìtone,

va a lamentarsi sulla riva del mare come Achille privato della schiava-amante Briseide. Viene ripreso inoltre il grande tema

del viaggio: gli eroi di questo romanzo latino percorrono luoghi dell’Italia.

Per quanto riguarda poi altri episodi,

Petronio si rifà al carattere comico delle satire: nella Cena di Trimalchione dove, nella descrizione del comportamento a

tavola e nella rappresentazione realistica del costume, prende a modello le satire “gastronomiche”di Orazio. Altro tema di

Orazio è quello della caccia alle eredità, e più in generale, comuni alla satira, sono le conversazioni in viaggio e le

discussioni di teoria letteraria.

In altre parti agisce il modello del Simposio di Platone come ad esempio: l’arrivo

ritardato di Abinna ubriaco nella Cena riprende quello di Alcibiade ubriaco nel dialogo di Platone.

Il grande rilievo

dato in Petronio al sesso e a ogni forma di avventura erotica, rinvia alla novellistica spinta e ridanciana della fabula

Milesia. Questo tipo di novella traeva il nome da Aristide di Mileto che nel I secolo a.C. aveva redatto la raccolta Milesiakà

(“Storie milesie”), tradotta in latino da Sisenna e divenuta un libro di lettura popolare per il pubblico romano. Novelle di

questo genere vogliono trasmettere un’idea del tutto disincantata e amorale dell’eros, e all’interno del Satyricon vengono

raccontate dal personaggio più spregiudicato e amorale: il poeta Eumolpo, che con esse distrae e diverte i suoi compagni. Sono

le novelle del ragazzo di Pergamo e della matrona di Efeso che insegnano che in questioni di sesso tutti sono corruttibili.

[T2]L’arte di Petronio[/P]

Molti critici hanno individuato uno degli elementi più interessanti e più

coinvolgenti della tecnica narrativa di Petronio nella costante parodia cui egli assoggetta tutto ciò che gli capita sott’

occhio. L’intera costruzione narrativa poggia insomma sulla parodia dei canoni e dei modi del romanzo erotico greco ed è

indubbio che accanto alla semplice parodia letteraria, si collochi una acuta parodia di carattere etico-sociale. La parodia dei

costumi, individuali e sociali, della sua età, infatti, permette al narratore di rappresentare gli elementi più vistosi e

sconcertanti dell’epoca, con le sue bassezze, le sue meschine furberie, le sue pretese umanitari, i suoi esibizionismi senza

stile e il suo totale rovesciamento di valori. Tuttavia quest’innata tendenza alla parodia non si risolve mai in satira.

Petronio non satireggia nulla perché per istinto e per libera scelta, non prova o si sforza di non provare quella

partecipazione morale e sociale che altri suoi contemporanei, ad esempio Seneca, mostrano di possedere. Petronio è distaccato e

lontano dalle oscenità e dalle turpitudini che descrive; inoltre non si propone affatto né di condannare né di correggere tanta

oscenità e tante turpitudini. Insomma, nel superiore disprezzo per tutti e per tutto, tipico dell’uomo quale ce lo descrive

Tacito, Petronio si limita a descrivere il male che vede, con finezza e amaro sorriso, a niente di più: egli non è affatto un

moralista. Petronio non si attiene alla norma della morale ma semmai a quella del buon gusto. “Il suo impegno consiste nel suo

“realismo”, nell’immediatezza rappresentativa, nel suo aderire agli “stili” e ai “tipi” dei personaggi, dei ceti e degli

ambienti che lui raffigura”(A.Salvatore).
Il suo “realismo” è soprattutto un modo di trasferire sulle pagine ciò che vede e

ciò che sente con una lingua e uno stile che toccano tutte le gamme espressive e che rendono unico nella tradizione letteraria

antica quest’opera.

[P]Realismo[/P]

Il Satyricon rappresenta il vertice più alto del realismo letterario antico:

è una rappresentazione viva e diretta di ambienti sociali umili, marginali e anche sordidi, e di un complesso di comportamenti

che si collocano nella sfera più bassamente materiale della vita (sesso, cibo, denaro,…).

[P]L’eros petroniano[/P]

Petronio da un grande rilievo all’eros: il Satyricon si distingue dal romanzo ellenistico, castigato, ma anticipa toni

e contenuti che si sono affermati solo nella cultura più recente. Nell’opera il sesso è distorto e perverso, oscilla tra

voyerismo (Encolpio e Quartilla spiano Gitone e una giovinetta), sadismo e pratiche oscene di ogni tipo. Il realismo di

Petronio è davvero sconvolgente, il suo coinvolgimento però resta sempre molto scarso. Il suo stile è elegante e ironico. Sullo

sfondo aleggia sempre lo spettro dell’impotenza, di vera gioia amorosa non ce n’è: l’autore è convinto che l’amore non rende

felici, o perlomeno non attraverso il veicolo della perversione.

[T2]Il mondo di Petronio[/T]

La realtà è fatta

di credulità, malizia, sensualità incontrollata, avidità, slealtà, intrigo e bassezze di ogni tipo. Quando si creano delle

tensioni psicologiche e sentimentali tra i personaggi che minacciano di diventare serie, c’è una via di fuga: si guardano negli

occhi, si leggono dentro e scoppiano in una risata liberatoria, come se Petronio volesse dirci che in un mondo che non riesce a

conservare i suoi valori, in un mondo degradato come quello in cui vive, non c’è vera possibilità di fuga ma solo di

consapevolezza.
I luoghi non sono propriamente descritti dall’autore, sono vissuti dai personaggi, sono rappresentati

attraverso le loro parole e le loro azioni: soprattutto attraverso le parole del personaggio-narratore Encolpio. Petronio

guarda con superiore distacco intellettuale e ironia al mondo che descrive e ai personaggi, ma la scelta di condurre la

rappresentazione dall’interno ottiene un eccezionale effetto di immediatezza nello sguardo sulla realtà: oggetti, ambiente e

personaggi sono visti in “atto”, e descritti con le parole autentiche della lingua dell’uso contemporanea.

[T2]Seneca e

Petronio agli antipodi[/T]

Secondo la versione tacitiana, Petronio passava il giorno dormendo e riservava la notte agli

affari e ai piaceri; Seneca aveva parole di fuoco contro chi scambiava la notte per il giorno, egli in questo caso parlava di

“antipodi”: “come coloro che vivono dalla parte opposta della terra sperimentano una condizione astronomica opposta alla

nostra, così questi sepolti vivi vivono una vita opposta a quella che natura vorrebbe; credono di banchettare ma celebrano il

loro funerale; sono vivi ma la loro carne è morta; questa non-vita notturna è madre di tutti i vizi e ha alla radice una

coscienza sporca che non può far altro che rifuggire la luce”: con queste parole Seneca si riferiva a uomini come

Petronio.
Il Satyricon tratta, se pur con somma ironia, di tutti quei vizi e comportamenti contrari alla natura che le

Epistulae morales condannano. Seneca difende la fedeltà coniugale, condanna il lusso e l’ostentazione, ha orrore dei giochi

gladiatori ed è convinto che spettacoli come il mimo rendano l’uomo più avido e ambizioso, disprezza i cacciatori di eredità,

deride gli effeminati, giudica inutile l’astrologia, vede nell’attaccamento al denaro la ragione principale della decadenza

attuale, chiama “felicità mascherata” quella di chi vive solo di ostentazione e di apparenze, contrappone la modesta stanza da

bagno del grande Scipione l’Africano al lusso smodato dei bagni dei liberti (quella dei liberti era diventata una classe

sociale in continua e preoccupante ascesa politica ed economica).
Non è da escludere che dietro la figura di Trimalchione

vi fosse Nerone stesso, con le sue manie letterarie, la passione per il teatro e la teatralità, la fissazione per l’astronomia,

la compiaciuta ostentazione, ma è più probabile che la critica all’imperatore sia più nascosta, diluita tra i vari personaggi:

Nerone poeta ed attore tragico fa pensare ad Eumolpo che canta la Caduta di Troia.
Il Satyricon è nutrito di idee senecane,

ma ribaltate: tutto ciò che Seneca disprezza, diventa comportamento normale e istintivo dei personaggi del romanzo. Seneca

raccomanda di evitare luoghi di perdizione come gli stabilimenti balneari: i personaggi petroniani ne sono attratti in maniera

irresistibile. Spesso i personaggi parlano utilizzando concetti di Seneca, ma si tratta di performances enfatiche che non

implicano alcun ravvedimento, ma solo un momentaneo e ironico contatto con quel mondo di valori che si sa che esistono ma dai

quali si fugge.

[T2]Il tempo e la morte[/T]

Seneca ride dei finti funerali, e riderebbe ancor più di Trimalchione

che ha un orologio ad acqua con a fianco un trombettiere che gli fa sapere via via quanto ha perso di vita; che durante il

banchetto fa comparire uno scheletro; che progetta una tomba faraonica per continuare a vivere anche dopo morto, al centro

della quale vi è un altro orologio che costringe chi lo guarda per sapere l’ora a leggere il suo nome; che ha saputo da un

astrologo quanti anni, mesi e giorni gli restano da vivere; e alla fine fa le prove del suo funerale. Anche Petronio ride del

suo personaggio che non è totalmente negativo, non privo di una certa grandezza: nel mimo della vita recita in modo così

divertente da farsi perdonare. Le trovate di Trimalchione durante il banchetto sono un esorcismo contro il tempo: al tempo

nessuno può fuggire, nemmeno lo stoico senecano, l’uomo è in balia del tempo e non c’è scampo da nessuna parte.

[T2]La

larva meccanica di Trimalchione[/T]

Ad un certo punto della cena Trimalchione si fa portare uno scheletro d’argento che

provoca stupore nei commensali: anche gli automi fanno parte delle meraviglie della sua cena. Si tratta di una marionetta che

anche gli antichi erano soliti usare per rappresentazioni di ogni tipo. Il fatto che la marionetta sia uno scheletro svela il

suo carattere morto e falso, la vanità del suo desiderio di imitare la vita. Per Platone essere una marionetta significa essere

manovrati dagli altri e privati della propria libertà: l’uomo in preda alle passioni si riduce ad un burattino. La marionetta

evoca di per sè l’assenza di vita e la sua catenatio (=struttura mobile) rispetta la fragilità e la dipendenza che

caratterizza la condizione dell’uomo nei confronti delle potenze che lo governano. Petronio da al suo scheletro il nome di

larva, che in latino significa “fantasma”: le larvae sono presenze inquietanti dei defunti, capaci di manifestarsi tra i vivi

nella forma di spiriti spaventosi e ostili. Col significato di “scheletro” ricorre anche in Seneca (Epistulae ad Lucilium) e

soprattutto nell’Apologia di Apuleio dove lo scheletro viene visto come il simulacro, privo di organi viventi, di un orribile

cadavere. Larva può indicare tanto il morto come lo spirito non placato che continua a frequentare gli uomini destando il loro

terrore, quanto il morto come scheletro, attraverso ciò che più a lungo dura del suo corpo defunto. Nell’antichità “fantasma” e

“scheletro” erano due forme di sopravvivenza dopo la morte e venivano percepite tra loro molto simili. La larva meccanica di

Trimalchione è capace di evocare differenti gradi di rappresentazione della morte e della precarietà umana: il carattere

“meccanico” della vita umana, la sua natura “scheletrica”, la proiezione “fantasmatica” del defunto; è un condensato di ciò che

l’immaginazione riesce a concepire riguardo alla mortalità dell’uomo.

[T2]Lo spazio[/T]

Anche la concezione dello

spazio è senza scampo: Eumolpo e i suoi compagni finiscono costantemente in qualche trappola, riescono ogni volta a fuggirne ma

per ricadere in qualche altra trappola. La struttura del romanzo intreccia ad un andamento lineare progressivo (da Marsiglia

all’Egitto?) un andamento circolare che riporta periodicamente sulla strada di Encolpio personaggi già incontrati e lasciati in

una sorta di ritorno indietro nel tempo, che assomiglia all’inutile andirivieni di un labirinto. L’immagine del labirinto

descrive l’apparente inutilità del continuo ritrovarsi in luoghi chiusi di Encolpio e del suo continuo evadere.
Non sappiamo

se questo viaggio approdasse (come Ulisse ad Itaca) a qualcosa di sensato, alla scoperta di una verità, è probabile che

approdasse ad una verità per ridere: questa rassegna di vizi e tipi umani non può essere completamente inutile e

insensata.

[T2]Trasmissione del romanzo[/T]

L’attuale Satyricon è costituito da un collage di frammenti di

diversa estensione e di varia provenienza, che costituiscono solo una piccola porzione dell’originale. Le parti conservate

sembra derivino dai libri XIV, XV e da uno o più libri successivi. Non sappiamo per quanti ulteriori libri l’opera procedesse,

nè se Petronio l’abbia portata a termine: un’ipotesi è che prevedesse 24 libri (come i poemi omerici). A causa del suo

contenuto non entrò mai tra i testi di uso scolastico.
Nel IX secolo era disponibile un manoscritto che conteneva alcuni

libri dell’opera (dal XIV in poi): ne furono derivate diverse selezioni di estratti e frammenti. Una selezione molto ristretta

e spezzettata (excerpta brevia) risale al IX secolo; una più ridotta rappresenta un florilegio (antologia) compilato nel XII

secolo che riporta quasi soltanto brevi sentenze e passi poetici; una molto più ampia risalente al XII secolo, era alla base

degli excerpta longa, il curatore dei quali, nel XIII secolo, unì i testi di quella sezione con i testi degli excerpta brevia e

del florilegio.
Nel 1650 Marino Statileo trovò, nella bibliotaca di Niccolò Cippico a Traù (cittadina sulla costa dalmata a

nord-ovest da Spalato), un manoscritto contenente il testo integrale della cena di Trimalchione. La cena era già stata scoperta

da Poggio Bracciolini in un codice di Colonia di cui nel 1423 egli si era fatto fare una copia; da questa copia fu copiato il

codice trovato a Traù, ma nessuno si occupò di questo testo fino al 1650.
Il carattere frammentario impedisce un’adeguata

comprensione delle situazioni e sussistono dubbi sul corretto ordinamento delle parti conservate (confrontando la parte

iniziale della cena del codice di Traù con gli excerpta longa si è notato che in questi ultimi ci sono stati piccoli tagli e

adattamenti).

[T2]Stile[/T]

Il romanzo come genere è per sua natura polifonico, cioè caratterizzato dalla

molteplicità come elemento distintivo: essa si manifesta a livello delle voci narranti, dei punti di vista della narrazione e

anche della molteplicità dei generi letterari che il romanzo come un raccoglitore può accogliere e inglobare al proprio

interno.
C’è poi da sottolineare la caratteristica della pluridiscorsività che si manifesta sia nella varietà dei punti di

vista che si incrociano nel romanzo, sia nella molteplicità di allusioni e riprese dei più svariati generi letterari.

Assumono grande importanza, infine, gli scarti di stile, la varietà di voci, riguardanti soprattutto i passaggi dalla prosa

al metro. Non è improbabile che il Satyricon sia stato concepito da Petronio per il teatro, per esser recitato. Proprio le

parti in poesia, ore enfatiche e pompose, ora ironiche o maliziose, creano l’espediente di commentare via via situazioni e

stati d’animo.

[T2]Linguaggio[/T]

Petronio usa parole e modi di dire mai attestati negli altri testi latini

conservati, i quali trattano a distanza di questi aspetti della vita, con un distacco che è intellettuale, morale e

linguistico: evitano locuzioni gergali d’uso quotidiano, o di particolari ceti e gruppi. Riesce a caratterizzare

individualmente i personaggi attraverso i loro diversi modi di parlare (tipici di determinati ambiti sociali).
I discorsi

di Trimalchione e dei liberti riproducono la lingua latina parlata dalla gente semplice e incolta, molto diversa dalle norme

della lingua scritta: è una lingua fatta di volgarismi, grecismi e sgrammaticature; in essa ritroviamo la cultura stessa dei

ceti medio-bassi, fatta di aneddoti e pettegolezzi, proverbi e credenze astrologiche, luoghi comuni e buon senso, la loro

mentalità, la psicologia, il carattere, le incoerenze, i salti logici e di umore. Ciascuno dei liberti contribuisce a comporre

il quadro di un ceto di persone venute dal nulla, il cui fondamentale criterio di giudizio è il denaro accumulato, che

significa: possibilità di assicurarsi i piaceri fondamentali del cibo e del sesso, ascesa sociale, possibilità di accostarsi ai

modelli di vita dei ceti superiori, nei cui confronti il complesso d’inferiorità è incancellabile. Trimalchione e i suoi amici

sono messi in ridicolo per l’esibizione di ricchezza (reale) e di cultura (inesistente), per il cattivo gusto, per il modo

grossolano di parlare e di pensare, per la superstizione primitiva. Persino Encolpio e i suoi amici, privi di soldi ma

raffinati nei comportamenti, nei rapporti sociali, nella cultura e nell’arte, provano ripugnanza nei confronti del mondo di

Trimalchione.

Ma tutto questo realismo si combina con un complesso di aspetti “irrealistici”. Il lettore ha la

sensazione che l’autore, più che costruire un’immagine verosimile e tipica del mondo reale, abbia voluto costruire un

capovolgimento comico del mondo letterario elevato costruito dalla letteratura ufficiale.
A dare la sensazione di fantasia

e letteratura contribuisce la scelta dei nomi: molti nomi sono greci e alludono ai caratteri dei personaggi. Eumolpo = ”in

grembo” Gitone = “il vicino” hanno un’allusione sessuale. Altri nomi sono ripresi dalla letteratura: Agamennone ha un aiutante

di nome Menelao, la donna che a Crotone ama Encolpio si chiama Circe, ed Encolpio stesso assume il nome di Polieno (=

“illustre”, epiteto omerico di Ulisse).
Se le scene della cena, della scuola di retorica e altre danno la rappresentazione

di un ambiente in chiave realistica, la trama è altamente improbabile. A Petronio non interessa costruire un intreccio

coerente, simile a quello delle vicende note all’esperienza quotidiana e tipiche della vita di un ambiente o di un’epoca; egli

sembra connettere episodi, che in sè possono anche essere realistici, ma inseriti in una trama narrativa avventurosa e

improbabile.

[T2]I protagonisti[/P]

I personaggi che rappresentano tipicamente importanti realtà sociali sono

Trimalchione, liberto arricchito, ed Eumolpo, intellettuale cinico e corrotto che vive ai margini della società, scontroso

perchè i suoi meriti non gli vengono riconosciuti, pronto ad ogni bassezza per ottenere compensi e piaceri. Questi grandi

personaggi realistici hanno un risvolto irreale: l’enormità dei loro eccessi li rende grotteschi e impossibili.
Per quanto

riguarda Encolpio, nonostante si confronti spesso con eroi omerici, è una figura totalmente antieroica: subisce continuamente

le situazioni, affronta con timore ogni novità, non assume quasi mai l’iniziativa, e se lo fa cade nel ridicolo, è privo di

ideali. Ma la sua accentuata ingenuità, il suo essere sempre impari alle situazioni, suscitano la simpatia del lettore. Anche

gli altri compagni che si accompagnano ad Encolpio sono esposti a frustrazioni.

[T2]Fortuna[/P]

Nel XVIII secolo

diventò di moda nelle corti e nei salotti colti di tutta Europa suscitando l’ironia del Parini. Nel secolo successivo trova

ammiratori illustri: in Francia troviamo Balzac e Flaubert; in Italia Manzoni; in Inghilterra Oscar Wilde (il protagonista del

ritratto di Doryan Gray è un emulo moderno del Petronio tacitiano). Nel Novecento vi è un rimando alla cena dello scrittore

americano Francis Scott Fitzgerald in Il grande Gatsby; Pierpaoli Pasolini progettava di fare un Satyricon moderno; in campo

cinematografico suscitò l’interesse di Federico Fellini.

[T2]Dibattiti letterari[/T]

Il carattere incerto di

Encolpio è dovuto, in qualche modo, al suo duplice ruolo di personaggio e di narratore: il personaggio potrebbe tradire la sua

coerenza per farsi portavoce dell’autore, in realtà nè le sue parole, nè quelle degli altri personaggi rivelano il pensiero

dell’autore. Spesso si è creduto di riconoscere la voce dell’autore dei dibattiti letterari di attualità. La declamazione sulla

nocività della formazione retorica, perchè troppo lontana dalla realtà della vita, è verosimilmente condivisa dall’autore, ma

Encolpio sta solo ripetendo luoghi comuni già noti nelle discussioni sulla decadenza della retorica, e forse Petronio vuole che

il lettore sorrida del loro carattere scontato. Anche la difesa di Agamennone del sistema formativo tradizionale può apparire

sensata: ma Petronio mette in bocca questo moralismo ad un maestro pronto a cedere alle pressioni dei genitori degli alunni,

dai quali è pagato.
La dura polemica di Eumolpo nei confronti del poema epico-storico di maniera lucanea, contiene motivi

condivisi largamente. Egli critica la troppa vicinanza alla storiografia, la mancanza di mitologia, l’eccesso di sententiae, e

gli contrappone lo stile classico di Virgilio e Orazio. Il richiamo alla necessità d’ispirazione grandiosa non può interpretare

il pensiero di Petronio, e comunque suona ridicolo in bocca ad un personaggio screditato, amorale, ipocrita, deriso per la

mania versificatoria.
Per quanto riguarda i componimenti poetici inseriti nel Satyricon: la “presa di Troia”, brano tragico

di maniera senecana, e il Bellum civile, esametro sulla guerra tra Cesare e Pompeo, di maniera lucanea, molti pensano che

Petronio volesse dare dei modelli di poesia conformi al suo gusto, ma non è possibile che abbia affidato ad un personaggio così

screditato il ruolo di portatore di valori esemplari di stile poetico. Petronio ha messo in bocca ad Eumolpo due carmi quali

può scrivere un poetastro come lui: essi sono scontati, convenzionali, conformi alla moda contemporanea per una poesia piena di

enfasi declamatoria che Eumolpo dice di contestare ma di cui è un ripetitore. Petronio prende in giro la faciloneria dei poeti

alla moda, per far vedere come è facile comporre versi d’effetto, prende in questo modo le distanze dagli stessi modelli:

Seneca tragico e Lucano.

[T2]Il significato del “Satyricon”[/T]

Il significato dell’opera è enigmatico e questo a

causa della sua frammentarietà che lascia aperto lo spazio alle interpretazioni più diverse. Può essere:
• una

rappresentazione divertita degli aspetti meno nobili del comportamento sociale;
• una denuncia di certe di certe

trasformazioni del costume e della mentalità (l’incontrollabile mobilità sociale, l’ascesa invadente dei nuovi ceti che

corrompe l’immagine estetica della società tradizionale);
• una denuncia del degrado che la cultura subisce nella sua

penetrazione presso i ceti finora da essa emarginati (l’eloquenza insegnata da maestri opportunisti, la poesia degradata in

esibizione da strada di poetastri, la cultura ridotta ad ostentazione ridicola da parte di ignoranti che vogliono darsi

tono).
Ma l’immagine di un Petronio tradizionalista mal si concilia con la novità d’impianto della sua stessa opera. Egli ha

costruito un’opera di alta qualità artistica e di grande forza dissacratoria, che sembra voler svuotare tutti i valori, morali

e letterari, accettati dalla tradizione, denunciandone l’inconsistenza di fronte ad un mondo caotico, anarchico, privo di

ordine, e guidato solo da pulsioni basse e materiali. Il Satyricon interpreta bene l’inquieto bisogno di strade nuove e di

nuovi compiti per la letteratura di fronte ad una realtà che si presenta incomprensibile a chi la vive e la giudica secondo i

parametri etici e politici del passato.
Petronio non vuole dare un giudizio morale, ma si diverte a proporre la società in

una libera costruzione artistica che vuole colpire il cattivo gusto e il ridicolo nei comportamenti sociali. É un’opera che può

dilettare tanto un pubblico generico di lettori comuni, quanto un pubblico colto.

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