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Pietro Bembo

Pietro Bembo e la trattatistica del Cinquecento: le prose della volgar lingua.

PETRO BEMBO. Pietro Bembo (1470-1547) nacque e Venezia e riempì con la propria personalità la vita culturale della prima metà del Cinquecento. Soggiornò nelle corti di Ferrara e Urbino, a Roma fu segretario di Leone X e venne nominato cardinale da Paolo III. Ebbe una vasta cultura umanistca e compose opere in latino e in volgare. Come poeta inaugurò il fenomeno del petrarchismo, che coinvolse tutta la lirica del secolo.

PIETRO BEMBO E LA QUESTIONE DELLA LINGUA. Nella questione della lingua largamente dibattuta nel ‘500, Pietro Bembo esercitò un’influenza totale co la sua opere Prose della volgar lingua. Il dibattito sulla lingua letteraria da usare sorse dalla necessità di uniformare il volgare italiano, contaminato da idiotismi regonali, all’ideale di perfezione, di eleganza e di armonia letteraria. Pertanto, come per il latino fu modello di perfezione il latino di Cicerone, anche per il volgare occorreva fissare come modello quello che aveva maggiori requisiti di perfezione. Il Bembo affrontò la questione nel dialogo Prose della volgar lingua, in 3 libri, che immagino tenuto nel 1502 in casa del fratello Carlo, con la artecipazione di Giuliano de Medici, Federico Fregoso ed Ercole Strozzi.

PROSE DELLA VOLGAR LINGUA: RIASSUNTO. Nel primo libro si sostene la superiorità del fiorentino illustre, cioè quello di Petrarca e Boccaccio. Gli altr due libri trattano questioni di stile, di metrica e di grammatica, dunque possiamo definire questa parte come la prima grammatica italiana. Tuttavia, non sembra che Bembo volesse fossilizzare la lngua del Petrarca e del Boccaccio e imporla agli altri come modello esclusivo e perpetuo. Una volta stablita la superiorità del volgare fiorentino, egli voleva indicare ai letteratu del suo tempo il criterio selettivo, il senso della disciplina, del decoro, del rigore artistco con i quali i due scrttori avevano ripulito il proprio volgare. Il crterio di imitazione di Petrarca per la poesia e di Boccaccio per la prosa va dunque inteso in senso lato: l’imitazione è aperta all’inventiva e all’estro dei poeti autentici. Così hanno fatto Ariosto e Tasso, che hanno saputo utilizzare e ripulire la lngua letteraria. I letterati del ‘500 ntesero la teoria di Bembo in senso stretto, costringendo poeti e prosatori ad un’imitazione pedisequa e passiva della lingua del Petrarca e del Boccacco, concependola come qualcosa di immobile e fisso. Viene così alzata quella barriera tra lingua scritta e lingua parlata che sarà abbattuta poi nel Romanticismo da Manzoni. Anche se interpretata male, la proposta di Bembo ebbe il merito di adeguare la lingua letteraria all’ideale di perfezione che era l’aspirazione più profonda del Rinascimento. Ebbe inoltre un merito maggiore: quello di aver creato una lingua unitaria, da Nord a Sud, liberata da elementi municipali e regionali. La teoria del Bembo finì per imporsi sulle altre, e sarà fatta propria dall’Accademia della Crusca, sorta a Firenze tra l 1528 e il 1583, sorta con lo scopo di separare la “farina dalla crusca”, cioè la lingua letteraria dagli idiotismi.

PIETRO BEMBO: GLI ASOLANI. Bembo scrisse anche un trattato di contenuto amoroso in 3 libri, dedicato a Lucreazia Borga, duchessa di Ferrara, intitolato gli Asolani (1505), cioè “dialoghi tenuti nel castello di Asolo. Nella corte di Asolo 3 gentiluomini (Perottino, Gismondo e Lavinello) e 3 gentildonne (Berenice, Sabinetta e Lisa) discutono sull’amore, riconoscendo alla fine che l’amore perfetto è quello platonico, puro e spirituale, che consiste nella contemplazione pura della bellezza.

 

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