Alla fine del Gorgia, Platone narra un grande mito escatologico: il mito del giudizio dei morti. Una volta ricevuto in eredità il dominio, Zeus, Plutone e Posidone se lo spartirono: a Posidone il regno del mare, a Zeus quello del cielo e a Plutone quello degli inferi. Vigeva all’ epoca presso gli dei una legge: non appena morto, l’ uomo giusto andava a vivere nelle Isole dei Beati, in un’ oasi di felicità e pace, mentre quello ingiusto nel ” carcere dell’ espiazione “, il Tartaro. A quei tempi però i giudici erano vivi e giudicavano gli uomini ancora vivi, nel giorno stesso in cui dovevano morire: proprio per questo le sentenze erano mal date. Quindi Plutone e i custodi delle Isole dei Beati andarono dal sommo Zeus per protestare che nei loro regni, quello dei dannati e quello dei beati, continuavano ad arrivare persone che non meritavano di finire lì. Zeus allora capì che il motivo degli errori consisteva in questo: dal momento che gli uomini venivano giudicati quand’ erano ancora vivi, i giudici finivano per lasciarsi influenzare dall’ aspetto fisico e assegnavano il soggiorno nelle Isole Beate a persone ingiuste ma dal bell’ aspetto, mentre invece spedivano negli inferi persone di brutt’ aspetto, ma giuste; oppure premiavano gente ricca ( lasciandosi anche influenzare da testimoni ), ma ingiusta e punivano gente povera, ma giusta. I giudici stessi non potevano giudicare in modo corretto in quanto rivestiti anche loro di corpi. Zeus si propose quindi di far cessare tutto ciò; decise che occorreva innanzitutto togliere agli uomini la possibilità di prevedere la propria morte ( visto che all’ epoca la prevedevano ) e assegnò quest’ incarico a Prometeo; poi decretò che fossero giudicati privi di corpi, ossia da morti, e che gli stessi giudici giudicassero da morti, senza i corpi, per poter così guardare direttamente all’ anima e per non farsi poi influenzare dai testimoni o dai parenti dei defunti. Poi Zeus elesse due giudici che svolgessero queste mansioni: due asiatici, Minosse e Radamante, e uno europeo, Eaco. Una volta morti gli uomini, o meglio, le loro anime, si sarebbero trovate su un prato pronte ad essere giudicate e dopo il giudizio sarebbero partite o per le Isole Beate, nel caso fossero stati giusti in vita, o per il Tartaro, nel caso avessero condotta una vita ingiusta. A Radamante sarebbe spettato giudicare gli uomini asiatici a Eaco quelli europei, mentre invece Minosse sarebbe stato ” arbitro supremo “, pronto ad intervenire qualora gli altri due si fossero trovati in difficoltà . Che significato ha questo mito escatologico ? Innanzitutto chiarisce come la morte non sia altro che lo scioglimento dell’ anima dal corpo. Poi spiega come sia il corpo sia l’ anima, anche dopo la morte, conservino le caratteristiche avute in vita: se uno aveva i capelli lunghi in vita, li avrà così anche il suo cadavere, e così via. Lo stesso vale per l’ anima: mantiene le sue caratteristiche costituzionali e le affezioni che l’ uomo le ha procurato, mediante il suo modo di comportarsi. Il mito poi aiuta a comprendere come il giudizio degli ” arbitri ” non guardi in faccia a nessuno: uno può anche essere stato re, ma se si è comportato male finirà lo stesso nel Tartaro. Tuttavia, spiega Platone, non tutto il male viene per nuocere: l’ essere punite per le anime è vantaggioso perchò soffrire è l’ unico modo per purificare l’ anima e per liberarsi dall’ ingiustizia. Platone, poi, ne approfitta per dire che il Tartaro è pieno zeppo di anime di tiranni, di re e di potenti, ossia di coloro che per via del potere a disposizione commettono le colpe più gravi. Tuttavia ci sono stati, secondo Platone, anche politici onesti, come per esempio Aristide. Alle Isole dei Beati ci vanno soprattutto i filosofi, ma non tutti, solo quelli che in vita hanno ottemperato a ciò che competeva loro senza disperdersi in vane faccende di vita. Il messaggio conclusivo che Platone vuole trasmettere è che ” se qualcuno commette qualche ingiustizia, lo si deve punire e proprio questo è il bene che viene secondo, dopo l’ essere giusto, ossia il diventare giusto e scontare la pena subendo il castigo “.
- Filosofia