[T2]La vita[/T]
Gaio Plinio Cecilio Secondo, detto il Giovane nato a Como 61/62 , era figlio di una sorella di Plinio il
Vecchio; rimasto presto orfano di padre, fu adottato dallo zio materno del quale assunse il nome. Di ricchissima famiglia del
ceto equestre, studiò retorica a Roma con Quintiliano e con Nicete Sacerdote. A 19 anni esordì nella carriera forense e divenne
avvocato di successo; intraprese subito la carriera pubblica che fu rapida e fortunata. Fu nominato tribuno militare in Siria,
comandante di uno squadrone di cavalieri e questore. Nel 90 entrò nell’ordine senatorio. Divenne poi tribuno della plebe,
pretore, prefetto dell’erario militare e prefetto dell’erario di Saturno, console nel 100, anno in cui sostenne con
l’amico fraterno Tacito l’accusa contro il proconsole d’Asia Marco Prisco, reo di malversazione. Fu nominato legato
imperiale in Bitinia e morì durante l’esercizio di tale funzione o, forse, subito dopo il ritorno in Italia. Uomo
ricchissimo, intelligente, cordiale e simpatico, fu amico dei più importanti personaggi del mondo politico e letterario del suo
tempo.
Sono andate perdute le orazioni da avvocato e le poesie, di cui Plinio stesso fa orgogliosamente menzione; restano
il Panegyricus Traiano imperatore dictus (Panegirico a Traiano) e 10 libri di Epistulae.
[T2]Il Panegirico a Traiano
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Panegyricus. Considerato dai contemporanei – e ancor più da se stesso – un oratore di primo piano, P. pronunciò
(nell’anno 100) il “Panegyricus” ufficiale dell’imperatore Traiano, e questo “saggio”, di cui disponiamo, ci permette di
giudicare delle sue qualità nell’eloquenza ufficiale.
La sua frase è ampia, lunga e sinuosa; il pensiero aggrovigliato
e, per lo più, “banale”. Ma bisogna mitigare questa impressione sfavorevole, tenendo conto che il genere aveva le sue esigenze,
la prima delle quali era che l’allusione dovesse prevalere sulle affermazioni, perché era piuttosto pericoloso parlare
troppo e chiaro. Sotto questo rispetto, quindi, P. ci appare come un vero maestro: dalle sue parole emerge, ad es.,
un’immagine dell’imperatore che corrisponde esattamente al modo in cui Traiano desiderava proporsi agli occhi del suo
popolo. Insomma, con P., l’eloquenza diventa una specie di lavoro poetico, esattamente ciò che Platone, in passato, temeva
che potesse divenire: maestra di illusione e di menzogna (ma questo, come detto, è tratto comune dell’eloquenza del
tempo).
Il “panegirico”, comunque, risulta interessante oltre che per essere lunico esempio di oratoria romana nella I
età imperiale e il punto d’inizio di un genere effettivamente nuovo ed originale nella letteratura latina – quanto meno per
limportante auspicio, in esso contenuto, di un periodo di rinnovata e costruttiva collaborazione tra imperatore, senato e ceto
equestre (con qualche ingenuità, P. sembra rivendicare per sé una sorta di funzione “pedagogica” nei confronti del
Principe).
[T2]Le Epistulae [/T]
L’opera più importante e originale di Plinio sono i 10 libri delle Epistole.
I primi nove libri furono pubblicati dall’autore e comprendono 247 lettere di varia lunghezza inviate a familiari e amici.
Nella prima, a Setticio Claro, Plinio dichiara di aver riunito le lettere a caso, senza nessuna valutazione critica o di ordine
cronologico; ma è solo falsa modestia, perché esse sono evidentemente composte per la lettura e la pubblicazione se non
addirittura per i posteri come rivela l’accorta alternanza dei temi proposti, ordinati sul piano artistico con lo scopo di
evitare la monotonia, e la semplice ma sorvegliata eleganza della scrittura. Non hanno quindi l’immediatezza talora
drammatica delle lettere di Cicerone, cui pure Plinio intendeva fare riferimento. Le lettere offrono un quadro molto
particolareggiato della vita quotidiana di Roma, importante per gli storici e per gli archeologi: illustrano le occasioni e le
manifestazioni culturali, specie le declamazioni e recitazioni poetiche, magnificano le sue numerose ville, parlano della vita
familiare e delle amicizie, fanno cenno ai letterati più famosi, da Marziale a Silio Italico, da Svetonio a Tacito. Altre sono
semplici biglietti d’invito, di raccomandazione, di condoglianze, di affari. In alcune lettere Plinio dimostra notevoli
capacità descrittive come in quelle sulle fonti del Clitunno, sull’inondazione del Tevere o, come nella più famosa,
indirizzata a Tacito, in cui è descritta l’eruzione del Vesuvio del 79, che distrusse le città campane di Ercolano, Pompei,
Stabia e in cui morì Plinio il Vecchio. Il decimo libro fu pubblicato postumo, con la corrispondenza dell’autore, a quel
tempo governatore della Bitinia, a Traiano 79 lettere con 50 risposte dell’imperatore ai quesiti di natura fiscale,
politica e amministrativa postigli dal suo solerte quanto indeciso funzionario. A lettere su argomenti di importanza secondaria
si alternano altre su temi di grande rilievo, come la 96, che riguarda il problema del comportamento da tenersi nei processi
contro i cristiani; molto equilibrata è la risposta di Traiano lettera 97 che impone di non tener conto delle denunce
anonime e comunque di sospendere i processi contro i cristiani, qualora questi accettino di sacrificare all’imperatore.
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