Tra il 1922 e il 1925, in seguito alla fine della crisi internazionale, l’Italia poté espandersi economicamente grazie alla politica liberista attuata dal Governo. Si favorì, infatti, l’accumulazione del profitto attraverso la riduzione delle imposte, venne abolito il monopolio sulle assicurazioni sulla vita, il servizio telefonico fu privatizzato e si riuscì a tagliare la spesa pubblica.
Nel 1925, invece, ci fu un ritorno al protezionismo. Si favorirono, cioè, le esportazioni a danno delle importazioni con la conseguente applicazione delle tariffe doganali. Il protezionismo di questo periodo riguardò soprattutto il grano. L’Italia non ne produceva abbastanza ed era costretta ad importarlo. Per far sì che il Paese fosse autosufficiente, Mussolini diede inizio alla “battaglia del grano”: ne incentivò, cioè, la produzione, modernizzando l’agricoltura, aumentando i terreni coltivabili e dando premi agli agricoltori che ne producevano di più. Nel 1926 il Fascismo volle intervenire nelle questioni che riguardavano capitale e lavoro per il bene dello Stato. Nacque, così, il corporativismo che ebbe la sua massima espressione con la pubblicazione della Carta del lavoro del 1927.
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