Riassunto
I due pellegrini, procedendo sempre nell’antipurgatorio, lasciano la
schiera delle anime negligenti, una delle quali, mostrando vivacemente la sua meraviglia nell’accorgersi che Dante è vivo, fa
volgere il Poeta, che rallenta il suo passo. Virgilio lo invita a non perdere di vista la propria meta, consacrando ad essa
tutte le energie. Intanto lungo la costa del monte avanza, cantando il salmo «Miserere», un gruppo di anime, che notano subito
l’ombra proiettata dal corpo di Dante: due di esse, come messaggeri, si accostano ai poeti per chiedere spiegazioni intorno
alla loro condizione e infine tutta la schiera si lancia verso di loro in una corsa sanza freno. Sono coloro che furono uccisi
con la violenza e che si pentirono solo all’ultimo istante di vita: ora chiedono preghiere per affrettare la purificazione.
Nella seconda parte del canto tre di queste anime narrano come avvenne la loro morte: Jacopo del Cassero fu ucciso dai sicari
di Azzo VIII d’Este, signore di Ferrara, del quale era stato fiero avversario; il ghibellino Bonconte da Montefeltro scomparve
durante la battaglia di Campaldino e le potenze infernali, non avendo potuto impadronirsi della sua anima, si vendicarono sul
suo corpo, suscitandogli contro le forze della natura, che trascinarono il cadavere di Bonconte nell’Arno, dove fu coperto dai
detriti del fiume; Pia dei Tolomei fu fatta uccidere dal marito.
Introduzione critca
Vari sono i punti
prospettici dai quali la considerazione critica del canto può prendere avvio, puntualizzando l’esortazione moraleggiante di
Virgilio (il cui richiamo alla necessità di non indugiare nel cammino amplia quello del canto precedente, costituendo un nesso
di collegamento), il rapporto psicologico fra Dante e la schiera dei morti violentemente che invocano preghiere (rapporto di
particolare intensità che si prolunga nell’inizio del canto sesto), il frangersi -di tale incontro in tre figure, che
esemplificano – attraverso la loro personale esperienza – la passata vicenda terrena e la presente disposizione spirituale dei
loro compagni di penitenza. Ed è l’analisi del rapporto fra il mondo del peccato e quello della conversione, che per queste
anime, pentitesi in punto di morte, si identifica con il mondo del purgatorio, che centralizza l’attenzione della critica,
della quale una parte sottolinea il progressivo perdersi – nella speranza dell’ascesa definitiva – della presenza della vita
terrena, e un’altra la persistenza di un ricordo angoscioso di violenze: concorre a mantenere questa incertezza di giudizio il
linguaggio stesso, che, dopo il primo concitato colloquiò fra Dante e le anime, assume un ritmo narrativo, in cui però il tono
sospeso e distaccato della rievocazione si mescola alla notazione realistica e cruda. La soluzione è dà cercarsi stella
prospettiva particolare dell’antipurgatorio, dove si aggirano anime la cui vita spirituale é ancora all’inizio, il cui
atteggiamento “é come quello della creatura umana in generale, spogliata dì una vivida tradizione, o come quella di ogni
bambino o ragazzo che non ha ancora trovato sé stesso nel mondo” (Fergusson) : esse, passando in un solo istante dal male al
bene (peccatori infina all’ultima ora), non esperimentarono neppure un breve periodo di conversione, non ricordano, nella loro
esistenza, nessuna tormentosa scelta di fronte al peccato, nessun dolce momento. trascorso nella preghiera, né possiedono uno
spirito fortificatosi nella drammatica visione del mondo della dannazione. Per loro esiste solo la sacralità della morte, anche
se essa è arrivata dall’agguato dei sicari, dalla violenza dei nemici, dalla perfidia di un marito: la storia, raccontata tre
volte, è sempre la stessa, resa drammaticamente esplicita ed esaltante la maestà della morte. Il tema della morte é l’elemento
« terreno » presente nel canto ed esprime una conquista che ha a suo fondamento un dono della Grazia, ma un dono che non
diventa efficiente se non per un’accettazione attiva della creatura umana. II Poeta ha voluto fermare in loro per sempre il
momento in cui la creatura si apre alla Grazia, arrestando ogni ricordo del passato all’istante in cui rifluisce in essa, con
lo scorrere di nuovi sentimenti, la vita spirituale, in cui inizia la riscoperta di se stessa al di sopra di ogni odio, laddove
le anime dei dannati – per sempre immobilizzate nella loro tragedia terrena – vedevano la propria storia irrigidita nell’atto
del peccato, trasformata in cosa, non in principio vitale, per cui la dimensione umana, ancora presente in Jacopo, Bonconte,
Pia, serve ad intensificare il desiderio della espiazione. L’innestarsi del sovrannaturale non provoca in loro uno smemorante
abbandono, ma li aiuta a determinare con suprema limpidezza lo svolgersi della loro esistenza, che ha trovato il suo motivo di
essere solo nell’attimo in cui è stata stroncata: Manfredi si preoccupa ancora di far sapere al mondo la verità intorno alla
sua morte (vadi a mia bella figlia… e dichi il vero a lei, s’altro si dice), mentre l’atteggiamento di queste tre anime
rappresenta, rispetto a quello, un più fiducioso abbandono al tempo – al tempo della Provvidenza – che farà durare lungo tutte
le balze del monte del purgatorio l’istante in cui hanno avvertito, attraverso la violenza subita, la presenza del
sovrannaturale: esse non fuggono «dall’incubo e dallo strazio della loro fine», come afferma l’Apollonio, essendo
quell’incubo e quello strazio indissolubilmente legati alla loro salvezza. Ma l’attenta psicologia di Dante, che presuppone
tutta l’esperienza del dolce stil novo nelle sue direttrici fondamentali – lo studio approfondito dei moti dell’animo umano e
la capacità di spiritualizzare quanto é fatto oggetto dì quell’analisi – non nasconde in una indistinta sospensione
l’umanissimo reagire di queste creature di fronte all’innaturale, distruzione del legame anima-corpo, rivelando anzi, in un
mesto, triplice decrescendo, la loro lotta, il loro affanno, il loro abbandono, in un bisogno di dare sfogo ad un ricordo,
sotto certi aspetti, ancora doloroso. Con molta chiarezza il Sacchetto afferma che “mentre nell’Inferno l’umanità tende
all’imbestiamento, e nel Paradiso alla trasfigurazione, nel Purgatorio essa vive nella compresenza del peccato e insieme del
riscatto. Solo nel Purgatorio le anime, come sulla terra, soffrono e godono, alternano turbamenti e nostalgie a speranze ed
elevazioni; espiano e pregano, nell’attesa trepida della liberazione. Solo nel Purgatorio il loro dramma – che è il dramma
della colpa – non si esaspera, come nell’Inferno, nella tragedia della dannazione; non si dissolve, come nel Paradiso, nella
quiete immutabile della beatitudine; ma si consuma, pateticamente, in un’ombra di pianto, attraverso di cui si compie il
processo consolatore della purificazione”. Ancora una volta Dante riesce ad innalzare sul piano della poesia i fatti di cronaca
del suo tempo, fissando in una ricchissima gamma di accenti, in cui il tono dominante è quello singolarissimo della malinconia,
i due momenti essenziali dell’anima cristiana, il peccato e la redenzione, e “perciò, più che nel realismo dell’Inferno o
nella metafisica del Paradiso, il tono più segreto ed autentico della poesia di Dante è, forse, nel Purgatorio, dove la
particolare situazione delle anime che patiscono il castigo nella luce della salvezza dà una naturale tensione all’arco del
canto» (Sacchetto).
- 200 e 300
- Riassunto e Critica Purgatorio
- Dante
- Letteratura Italiana - 200 e 300