Era ormai l’ora (l’ultima della sera) che fa tornare un senso di nostalgia nel cuore
dei naviganti e ne riempie l’animo di commozione ricordando il giorno nel quale hanno detto addio alle persone care;
era
l’ora che fa sentire più struggente l’amore al pellegrino che ha appena abbandonato la sua terra, mentre ode il suono lontano
d’una campana che sembra piangere il giorno che muore,
quando io cominciai a non udire più la voce di Sordello e il canto
dei principi e cominciai a fissare una delle anime che, levatasi in piedi, chiedeva con un cenno della mano che tutte
l’ascoltassero.
Essa congiunse ed elevò al cielo le mani, rivolgendo lo sguardo intento verso l’oriente,
nell’atteggiamento di chi dice a Dio: “Nient’altro mi preme”.
Dalle sue labbra l’inno «Te lucis ante» uscì con tale
devota e modulata dolcezza, che mi rapì in estasi; poi tutte le altre anime dolcemente e con devozione la seguirono cantando
tutto l’inno, tenendo gli occhi fissi alle sfere celesti.
O lettore, qui aguzza bene gli occhi della tua intelligenza a ciò
che veramente voglio sìgnificare, poiché il velo (che copre il senso nascosto di quanto ora segue) è così sottile che
certamente non ti costerà fatica il penetrarlo esattamente.
Finito il canto, io vidi quella nobile schiera di anime guardare
intensamente verso l’alto, pallide ed umili, come chi aspetta qualcosa;
e vidi uscire dall’alto del cielo e scendere in
basso due angeli, ciascuno con una spada fiammeggiante, tronca e priva della punta.
Erano verdi come foglioline appena
spuntate le vesti che essi portavano fluenti, percosse e agitate dal vento delle verdi ali.
Uno degli angeli venne a posarsi
poco più in alto di noi, l’altro invece scese sulla sponda opposta (della valletta), in modo che le anime furono racchiuse tra
loro due.
Scorgevo distintamente la loro testa bionda; ma nel fulgore del volto l’occhio si smarriva, come ogni facoltà
sensitiva si confonde di fronte a un oggetto superiore alle sue capacità,
«Vengono entrambi dal cielo Empireo, dove sta
Maria» disse Sordello «per far la guardia alla valle, a causa del serpente che verrà da un momento all’altro.»
Perciò io,
che non sapevo da che parte (sarebbe venuto il serpente), mi guardai intorno, e tutto gelido per la paura, mi strinsi al fianco
del mio fidato maestro.
Poi Sordello soggiunse: « Ora scendiamo nella valle in mezzo alle grandi ombre, e parleremo ad esse:
sarà loro assai gradito vedervi».
Credo di esser disceso soltanto di tre passi. e mi trovai in basso, e vidi un’ombra che
guardava con insistenza verso di me, come se mi volesse riconoscere.
In quel momento l’aria già si faceva buia, ma non
tanto che a breve distanza non lasciasse scorgere chiaramente ciò che prima rendeva invìsibile.
Egli si portò verso di me, e
io andai verso di lui: o nobile giudice Nino, quanta gioia provai quando vidi che non eri tra i dannati!
Nessuna affettuosa
espressione di saluto fu risparmiata fra noi; poi egli chiese: « Da quanto tempo sei giunto nell’antipurgatorio attraverso
l’oceano? »
« Oh! » gli risposi, « sono giunto questa mattina attraverso l’inferno, e sono ancora vivo, sebbene, facendo
questo viaggio, io cerchi di guadagnare la vita eterna».
All’udire la mia risposta, Sordello e Nino si ritrassero come chi
è colto da improvviso smarrimento.
Sordello si volse a Virgilio e Nino Visconti a uno che stava seduto lì accanto, gridando:
« Su, Corrado! vieni a vedere quale mirabile cosa Dio volle per grazia speciale ».
Poi, rivolto a me, disse: « Per quella
particolare gratitudine che tu devi a Dio che tiene così occulte le ragioni ultime del suo operare, che non esiste possibilità
per l’uomo di giungere mai a comprenderle.
quando ritornerai sulla terra, di’ a Giovanna che preghi per me il cielo dove
vengono esaudite le invocazioni delle anime innocenti.
Non credo che sua madre mi ami più, dopo che passò a seconde nozze
(trasmutò le bianche bende: le vedove portavano veli bianchi su vesti nere), anche se accadrà che, infelice!, debba rimpiangere
il suo primitivo stato vedovile.
Dal suo esempio facilmente si comprende quanto poco duri in una donna il fuoco dell’amore,
se di continuo non sia tenuto acceso dalla vista o dalla presenza dell’amato.
L’insegna del biscione intorno alla quale i
Milanesi sogliono porre il campo in tempo di guerra, quando sarà scolpita sul suo sepolcro non lo renderà così bello, come
l’avrebbe reso il gallo di Gallura »
Così parlava Nino, avendo impresso sul volto, quel giusto sdegno che senza eccedere
gli ardeva nel cuore.
I miei occhi, avidi di novità, si volgevano con insistenza al cielo, sempre verso il polo dove le
stelle girano più lente, allo stesso modo che i raggi di una ruota (si muovono più lenti) nella parte più vicina
all’asse.
E la mia guida mi domandò: « Figliolo, che cosa quardi lassu? » Io gli risposi: « Guardo quelle tre piccole luci
che illuminano tutto quanto il polo antartico ».
Perciò egli replicò: « Le quattro stelle luminose che vedevi stamattina
sono già scese sotto l’orizzonte, e queste sono salite al loro posto ».
Mentre Virgilio parlava, ecco che Sordello lo
attirò a sé dicendo: «Vedi là il nostro avversario»; e indicò col dito il punto dove guardare.
Dal lato dove la valletta non
è chiusa da alcuna sponda, c’era un serpente, simile forse a quello che diede a Eva il frutto, causa di tante amarezze.
Il
serpe maligno veniva strisciando tra l’erba e i fiori, volgendo il capo ora a destra ora a sinistra, e leccandosi il dorso
come una bestia che si liscia (con la lingua il pelo).
Non riuscii a vedere, e perciò non posso dire, come spiccarono il
volo i due angeli; ma vidi bene l’uno e l’altro dopo che si furono mossi.
Al solo udire il rumore delle verdi ali che
fendevano l’aria, il serpente fuggì, e allora gli angeli si voltarono, ritornando con volo concorde in alto ai loro posti di
guardia.
L’anima che s’era accostata al giudice Nino, quando questi l’aveva chiamata durante tutto l’assalto (degli
angeli contro il serpente) non si era per nulla distolta dal guardarmi.
« Possa la grazia divina che ti è guida verso
l’alto, trovare nella tua libera volontà tanta corrispondenza, quanta ne occorre per salire fino alla vetta del monte smaltata
di verde »
cominciò a dire, « se hai notizie certe della Val di Magra (in Lunigiana) o dei paesì vicini, dimmele, poiché un
tempo io ero potente in quei luoghi.
Mi chiamai Corrado Malaspina; non sono Corrado Malaspina il vecchio, ma da lui sono
disceso: alla mia famiglia e alla sua potenza portai un amore che qui si purifica d’ogni scoria. »
« Oh! » gli dissi, « non
sono mai stato nei vostri paesi; ma vi può essere un luogo in tutta Europa dove essi non siano noti?
La fama che onora la
vostra casata, esalta i signori e gli abitanti di tutta la regione, in modo tale che viene conosciuta anche da chi non è ancora
passato per quei luoghi.
E vi giuro, così possa io salire fino alla vetta del monte, che la vostra nobile famiglia continua
a fregiarsi delle virtù della liberalità e della prodezza.
L’abitudine alla virtù e l’indole naturale la pongono in una
condizione così privilegiata, che, per quanto la cattiva guida del Papa e dell’Imperatore faccia deviare il mondo dalla retta
via, essa sola continua nella strada della perfezione e disprezza il male. »
Ed egli: « Ora va; il sole non tornerà sette
volte in quel tratto dell’eclittica che la costellazione dell’Ariete (con la quale il sole è ora in congiunzione) copre e
cavalca con tutte e quattro le zampe ripiegate (cioè non passeranno sette anni),
che questa gentile opinione (sulla mia
famiglia) ti sarà fissata nella mente con argomenti più persuasivi che non siano i discorsi della gente,
a meno che non si
arresti il corso dei decreti divini».
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