Riassunto
Dopo essere entrati nel
purgatorio propriamente detto, Dante e Virgilio iniziano una dura salita attraverso un sentiero stretto e ripido, che li
conduce infine su un ripiano deserto, dove la parete del monte appare di marmo bianco, adorno di artistici bassorilievi. Sono
rappresentati esempi di umiltà, che le anime dei superbi, i penitenti di questa prima cornice o girone, devono meditare prima
di quelli di superbia punita, che appariranno scolpiti sul pavimento. La prima scultura presenta l’arcangelo Gabriele che
annuncia la nascita di Cristo alla Vergine, la quale sembra rispondere con le stesse parole del testo evangelico: «Ecce ancilla
Dei». Il secondo esempio ricorda un episodio biblico, il trasporto dell’arca santa ordinato, da Davide, che precede la solenne
processione cantando e ballando in segno di umile gioia. L’ultima scena è tratta dal mondo romano e riprende una leggenda
molto diffusa nel Medioevo, l’incontro di Traiano e della vedova che invoca da lui giustizia contro gli uccisori del figlio
prima che egli parta per la guerra: alla fine l’imperatore, riconoscendo giusta questa richiesta, accontenta la donna. Mentre
Dante è ancora intento ad osservare queste opere, create direttamente dalla mano di Dio, avanza verso di loro una schiera di
anime oppresse da pesanti massi: sono coloro che in vita si abbandonarono alla superbia, contro la quale il Poeta prorompe in
una fiera invettiva.
Introduzione critica
Nella triade dei canti dedicati ai superbi il decimo è stato
trascurato dalla critica, che lo ha considerato, quasi unanimemente, il più debole quanto all’ispirazione poetica e il più
povero quanto a motivi umani, anche se non privo, qua e là, di alcune scoperte espressive (specialmente nel tono aspro e
tormentato di molti versi della parte finale), che rivelano il Poeta duramente impegnato di fronte alla sua materia, alla
ricerca di una nuova situazione spirituale e poetica che gli permetta di esprimere con la congruenza necessaria il passaggio
dal purgatorio dell’attesa a quello della pena. Un largo filone esegetico, la cui posizione fu pienamente consacrata dal
Croce, ha ridotto il fulcro del canto alla parte centrale dedicata agli esempi, spiegandolo come altissima esaltazione
dell’arte, al di là di ogni altra preoccupazione (“l’effetto – secondo il Croce – piuttosto che di una mortificazione e
compunzione per le cose ritratte, è di ammirazione per l’arte trionfatrice, che sopr’esse si dispiega”): interpretazione non
priva di fascino, ma certamente avulsa dalla più genuina significazione di quei versi. Altrettanto interessante, anche se di
limitato approfondimento, può essere una ricerca che esperimenta i significati storico-allegorici dei tre esempi, derivati dal
mondo giudaico-cristiano e da quello pagano, e creanti una simmetria suggestiva, “nella quale le due civiltà si appalesano
ancora una volta concordemente dirette a portare ciascuna nel mondo la sua parte di redenzione” (Sacchetto), cosicché “noi
potremmo comprendere anche più persuasivamente perché la figura di Traiano, augusta incarnazione delle virtù dell’aquila,
venga qui singolarmente ricordata sul candido marmo della prima cornice, poco lontano da Maria, augusta annunciazione delle
virtù della croce”: Ma è in una direzione psicologica-stilistica che la lettura del canto potrebbe offrire indicazioni e
apporti interessanti, liberandolo da un giudizio negativo forse non sufficientemente motivato, e recuperandolo al gruppo di
quei canti nei quali è più avvertibile, perché non sempre perfettamente realizzato, lo sforzo di esprimere e far vivere uno
stato di ascesi, la cui ampiezza e la cui profondità, tuttavia, non impediscono l’indagine analitica dei fatti e degli stati
d’animo momentanei. Il preludio polifonico della seconda terzina vuole sottolineare l’importanza e la particolarità del
canto, che segna una nuova esperienza spirituale – l’inizio vero del pellegrinaggio dopo la riconquista della libertà e, in
particolare, il momento ineffabile e solenne in cui il Poeta avverte il godimento di questa liberazione – e che propone come
suo motivo propulsore l’esaltazione dell’umiltà. In tal modo i tre famosi esempi scolpiti nel marmo, l’esortazione agli
uomini perché ricordino chi sono e qual è il loro vero fine, la lunga e lenta teoria dei superbi trovano unità poetica in
questo centro ideale, ed è unità di pensiero, che determina via via le immagini. Benché ogni terzina consegni un significato
chiaramente allegorico (e sotto questo punto di vista il canto appare strettamente unito a quello precedente),
l’interpretazione dantesca non rinuncia affatto al valore emotivo delle immagini scelte, potenziandole anzi e arricchendole di
intimità con una trama sapiente di parole tematiche dal “muoversi” del sentiero lungo il quale i due pellegrini salgono, che
suscita subito l’idea della loro debolezza e del bisogno dell’aiuto divino, al loro atteggiamento di creature finalmente
“libere” e “aperte”, che dispone subito alla gioia e alla speranza; dalla improvvisa apparizione del piano solingo, che pare
soverchiare con una fissa staticità la vita dello spirito dopo lo sforzo della salita, al visibile parlare dei bassorilievi
marmorei, sui quali l’interesse di Dante si concentra, diventando immediatamente vivo e operante attraverso l’azione di Dio,
lo fabbro loro; dalla visione di Maria, che ad aprir l’alto amor volse la chiave, al tormento dei penitenti oppressi dai
macigni, dove il penoso viluppo delle anime e dei massi viene inasprito da certe parole e suoni di plastica evidenza
(rannicchia, disviticchia, picchia), in “una linea di poesia verticale che dal cielo scende a precipizio sulla terra, come in
un crescendo drammatico” (Sacchetto). Il canto si struttura appunto in una precisa contrapposizione di note drammatiche alla
materia elegiaca, risolvendo le allusioni simboliche in un sapiente chiaroscuro di motivi, come ad avvertire che la letizia e
la speranza del Poeta, lungi dall’essere già una tranquilla effusione del sentimento, comportano in fondo uno stato di
contrasto, un senso visibile della fatica e dell’asprezza che attendono l’uomo quando egli si dispone alla chiamata della
Grazia, creando nella memoria del lettore l’immagine più sensibilmente spontanea di questa singolare poesia. Il momento lirico
culminante di questa contrappuntata orchestrazione emerge non tanto negli esempi, anche se in ognuno di essi viene fissata
attraverso figurazioni di suprema essenzialità una forte tensione spirituale, quanto nell’incontro con i primi penitenti del
purgatorio. Ora al tono elegiaco e patetico dell’antipurgatorio, che aveva toccato lo spirito di Dante, senza penetrare in
esso, si sostituisce uno stato drammatico, al quale il Poeta aderisce perfettamente attraverso una più intensa commozione
morale. Lo spirito, non più immobilizzato nell’attesa, sviluppa ora tutte le sue forze potenziali, in una dimensione interiore
meditata e sofferta: l’umano e il divino (come Dio vuol che ‘l debito si paghi) si dispongono e si dialetizzano nell’intimo
di queste anime, che espiano e ricordano un peccato terreno per attingere una vita ultraterrena, continuando, nella loro lunga
schiera, su un piano ancora più concorde e unitario, quella coralità di rappresentazione iniziata già sulla spiaggia del
purgatorio con l’arrivo del vasello snelletto e leggiero.
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- Letteratura Italiana - 200 e 300