Dopo che fummo oltre il limitare della porta, che l’amore degli uomini
indirizzato male (malo amor: usato per il male dei prossimo o per i falsi beni) fa aprire raramente, perché (tale amore) fa
apparire come buona una via sbagliata, mi accorsi dal suono che essa si richiudeva; e se io mi fossi voltato verso di lei,
quale scusa sarebbe stata sufficiente per giustificare tale mio errore?
Noi salivamo attraverso la roccia tagliata da un
sentiero, che si protendeva ora a destra ora a sinistra, così come fa l’onda che ora fugge ed ora si avvicina alla riva.
Il
mio accompagnatore cominciò a dire: «Qui è necessario usare un po’ di accortezza, accostandoci ora da una parte, ora
dall’altra alle rientranze del sentiero (al lato che si parte: per evitare le sporgenze)».
Questo procedere rese corti i
nostri passi, tanto che il disco diminuito (scemo: perché sono già passati quattro giorni dal plenilunio) della luna era giunto
nuovamente all’orizzonte per tramontare,
prima che noi uscissimo fuori di quel sentiero (cruna: stretto come una cruna
d’ago): ma quando ci fummo liberati di quelle difficoltà e ci trovammo in luogo aperto, in alto, dove il monte si restringe in
dentro formando un ripiano, essendo io stanco ed ambedue incerti sulla direzione da prendere, sostammo in un luogo piano privo
di gente più che non sia una strada tracciata attraverso un deserto.
(Questo ripiano) dalla sponda esterna confinante con il
vuoto, fino all’inizio dell’alta montagna che continua a salire, misurerebbe tre volte il corpo umano (cioè da cinque a sei
metri);
e per quanto la mia vista poteva spaziare, sia a destra che a sinistra, la cornice mi sembrava sempre della stessa
larghezza.
I nostri piedi ancora non si erano mossi lassù, quando io mi accorsi che quella fascia inferiore della parete che
era meno ripida (dritto di salita aveva manco: affinché potesse essere vista anche dai superbi che camminano curvi), era di
marmo candido ed ornato di sculture così perfette, che non solo Policleto, ma anche la natura lì si vedrebbe
superata.
L’arcangelo Gabriele che scese sulla terra per annunciare la decisione divina della pace da molti anni chiesta
dagli uomini con infinite lagrime, decisione che aperse il cielo (all’umanità) dopo un così lungo divieto (da quando Adamo ed
Eva erano stati cacciati dal paradiso terrestre),
Ma si sarebbe giurato che egli dicesse: « Ave! », perché lì era pure
rappresentata Maria che aperse agli uomini l’amore divino;
e c’erano realmente impresse (o perché veramente scritte, o
perché sembrava, dal movimento delle labbra, che le stesse pronunciando) queste parole: «Ecco l’ancella del Signore », proprio
come la figura del suggello si imprime nella cera.
« Non guardare e meditare solo una rappresentazione » disse il dolce
maestro, che mi teneva dalla parte del cuore (cioè alla sinistra).
Perciò io mossi gli occhi, e dietro a Maria vidi, dalla
parte in cui si trovava Virgilio, colui che mi guidava, un’altra storia intagliata nella roccia; per cui io passai oltre
Virgilio, e mi avvicinai, affinché quella raffigurazione fosse tutta spiegata davanti ai miei occhi.
Lì, sempre nel marmo,
era intagliato il carro con i buoi, che tiravano l’arca santa, quell’arca per cui si teme di fare qualcosa che non ci sia
stata ordinata.
Davanti all’arca appariva della gente; e tutta quanta, divisa in sette schiere, (cantando) faceva dire ai
miei due sensi (udito e vista), all’uno « No » (se si affidava al senso dell’udito), all’altro « Si, canta » (se si affidava
a quello della vista).
Allo stesso modo gli occhi ed il naso si fecero discordi nel rispondere l’uno di si (gli occhi) e
l’altro di no (il naso) rispetto al fumo dell’incenso che vi era rappresentato.
Nel bassorilievo Davide, umile salmista,
stava davanti all’arca santa, con la veste rialzata mentre danzava, e in quel gesto era nello stesso tempo più e meno di un
re.
In faccia a Davide (di contra: dall’altra parte della scultura), rappresentata ad una finestra di un gran palazzo,
Micol (figlia di Saul e prima moglie di Davide) guardava stupefatta come fa di solito una donna sprezzante e
insofferente.
lo mi mossi dal luogo dove mi trovavo, per guardare da vicino un’altra storia, che al di là della figura di
Micol mi attraeva con il suo bianco.
Vi era raffigurato il grande fatto glorioso del principe romano, il quale con la sua
giustizia mosse papa Gregorio Magno alla sua grande vittoria (sulla morte e sull’inferno);
parlo dell’imperatore Traiano;
e vicino al freno del suo cavallo era raffigurata una povera vedova in atteggiamento di pianto e di dolore,
Lo spazio
intorno a Traiano sembrava affollato e pieno di cavalieri, mentre le aquile nere in campo d’oro visibilmente si muovevano al
vento sopra la gente accalcata.
La povera donna in mezzo a tanta e così importante gente sembrava dire: « Signore, fa
giustizia per mio figlio che è stato ucciso, per la qual cosa sono così addolorata ».
E l’imperatore le rispondeva: « Ora
aspetta finché io ritorni ». E la donna aggiungeva, come una persona nella quale il dolore incalza: « Mio signore, e se tu non
tornassi? » E l’imperatore: « Chi sarà al mio posto, porterà a termine la vendetta per te ». Ed ella: « Il bene compiuto dagli
altri che vantaggio ti darà’, se trascuri di compiere il tuo dovere?».
Per cui l’imperatore: « Confortati dunque; è giusto
che io assolva il mio dovere prima di muovermi alla guerra: la giustizia vuole (che io mi comporti così ) e la pietà mi
trattiene (dal partire prima di aver fatta giustizia)».
Dio per il quale nessuna cosa, è mai nuova (perché le contempla
dall’eternìtà) fu l’autore di queste sculture che sembrano parlare, con un procedimento artistico che sembra agli uomini
straordinario perché non si trova nelle opere umane.
Mentre io godevo nel guardare le raffigurazioni di atti di così grande
umiltà, che mi riuscivano care a vedersi perché erano opera diretta di Dio,
il poeta mormorava: «Ecco da sinistra, molte
anime, che però procedono lentamente: esse ci indicheranno la strada per raggiungere gli alti gironi ».
I miei occhi che
erano appagati nell’ammirare le sculture, s’affrettarono a volgersi verso Virgilio, per poter vedere ciò che di nuovo si
presentava, di cui sono sempre desiderosi.
Non voglio però, lettore, che tu ti distolga da ogni tuo buon proponimento
nell’udire come Dio ha voluto che si paghi il debito (contratto col peccato).
Tu non devi badare alla qualità della pena:
devi invece pensare a ciò che seguirà (la succession: cioè la beatitudine dopo questo periodo di punizione); devi pensare che
nella peggiore delle ipotesi, tale pena non può protrarsi oltre il giudizio universale
Io cominciai a dire: « Maestro,
quelli che io vedo muoversi verso di noi, non mi sembrano persone, e non so che cosa siano, tanto confusa è l’impressione che
riceve la mia vista ».
E Virgilio mi rispose: « La grave condizione della loro pena li piega a terra come fossero
rannicchiati, così che anche i miei occhi in un primo momento diedero luogo ad un contrastante giudizio (tencione: se cioè si
trattasse veramente di uomini o no).
Ma guarda fissamente verso quel punto, e con la vista sforzati di distinguere ciò che
cammina a fatica sotto quei massi: già puoi scorgere che ciascuno di loro (con le ginocchia) si percuote il petto.
O superbi
cristiani, poveri infelici, che, privi della capacità di ben discernere, avete fiducia solo nei vostri passi che (invece di
farvì avanzare) vi portano indietro, non v’accorgete che noi uomini siamo come bruchi destinati a mutare! nell’angelica
creatura (angelica farfalla: cioè l’anima, che partecipa della natura spirituale degli angeli), che deve volare fino alla
giustizia divina senza alcuna possibilità di riparo (sanza schermi: senza il sostegno di nessun bene umano)?
Di che
s’insuperbisce il vostro animo, dal momento che siete come insetti ancora imperfetti, così come bruchi in cui manchi la
completa formazione?
Come talvolta si vede, a sostegno del soffitto o del tetto, una figura che ad uso di mensola congiunge
le ginocchia al petto (piegata sotto quel grave carico), la quale fa nascere in chi la vede un vero dolore per un fatto in sé
non vero (del non ver, in quanto è solo rappresentato); così io, quando guardai meglio vidi quei penitenti così
piegati.
Tuttavia essi erano più o meno piegati a seconda che avessero un peso più o meno grave addosso; e colui che
nell’atteggiamento pareva più rassegnato, sembrava dire tra le lagrime: “Non ne posso più”.
- 200 e 300
- Parafrasi Purgatorio
- Dante
- Letteratura Italiana - 200 e 300