Purgatorio: Parafrasi XI Canto - Studentville

Purgatorio: Parafrasi XI Canto

Parafrasi.

«Padre nostro, che stai nel cielo, non perché limitato da questo, ma per il maggiore amore che tu nutri per i cieli e gli

angeli (primi effetti di là su: le prime opere create dà Dio), il tuo nome e la tua potenza siano oggetto di lode da parte di

tutte le creature, così come è giusto rendere grazie al tuo amoroso spirito.
Ci sia concessa la pace del tuo regno, perché

noi con le nostre sole forze, per quanto ci adoperiamo, non possiamo pervenire ad essa, se non ci viene incontro.
Come i

tuoi angeli sottomettono a te la loro volontà, acclamandoti, così siano pronti a fare gli uomini della loro.
Donaci oggi la

grazia divina, senza la quale retrocede colui che più si sforza di procedere attraverso le difficoltà del mondo,
E come noi

perdoniamo a ciascun nostro nemico il male che abbiamo ricevuto, anche tu perdona a noi con misericordia, senza guardare i

nostri meriti insufficienti.
Non mettere alla prova la nostra forza che facilmente si abbatte, con le tentazioni del

demonio, ma liberala da lui che con tanta insistenza la spìnge (al male).
L’ultima parte della preghiera, o dolce Signore,

non è più fatta per noi, dal momento che essa per noi non è più necessaria, ma per coloro che abbiamo lasciato sulla

terra.»
Così quelle ombre innalzando una preghiera di buon augurio per sé e per gli uomini, procedevano sotto il peso dei

massi, peso simile a quello che talvolta ci opprime nell’incubo di un sogno, girando tutte intorno al monte lungo la prima

cornice, travagliate in modo diverso (disparmente: secondo la gravità del peccato) e sfinite, purificandosi delle brutture del

peccato.
Se nel purgatorio pregano sempre per noi, quali preghiere e quali opere si potrebbero fare nel mondo per le anime

penitenti da parte di coloro la cui volontà di suffragio nasce da un cuore in grazia di Dio?
E’ giusto aiutarle a

cancellare le macchie di peccato che hanno portato dal mondo, in modo che, purificate e prive di peccato, possano salire al

cielo.
« Possano la giustizia e la misericordia liberarvi presto dal peso, in modo che possiate iniziare il volo, che vi

innalzi dove desiderate, (in nome di questo augurio) indicateci da quale parte si giunge prima alla scala (che porta al secondo

girone); e se esistono più passaggi, mostrateci quello che sale meno ripido, perché questo che procede con me, a causa del peso

del corpo di cui è rivestito, è lento nel salire, di contro al suo desiderio.»
Le parole, che risposero a quanto aveva detto

la mia guida, non si capì da quale anima fossero pronunciate; ma si dìsse: « Seguiteci a destra lungo la parete, e troverete il

passaggio che può essere salito da un vivente.
E se io non fossi impedito dal masso che piega il mio capo superbo, per cui

sono costretto a tenere il viso abbassato,
guarderei costui, che è ancora vivo e non ha detto il proprio nome, per vedere se

lo conosco, e per ispirargli pietà di questo peso.
Io fui italiano e fui figlio di un grande toscano: mio padre fu Guglielmo

Aldobrandesco; non so se il suo nome sia mai arrivato alle vostre orecchie.
L’antichità della mia famiglia e le azioni

illustri dei miei antenati mi resero così superbo, che, non pensando che unica è la madre di tutti, la terra,
disprezzai a

tal punto il mio prossimo, che ciò fu causa della mia morte; e come essa avvenne, lo sanno i Senesi e a Campagnatico lo sa ogni

essere parlante.
Sono Omberto; e la superbia ha recato danno non solo a me, perché essa ha trascinato con sé nel male (in

vita e dopo la morte) tutti i miei consanguinei (consorti: nel significato medievale di membri di famiglie provenienti dallo

stesso ceppo).
Ed è necessario che io qui porti questo peso a causa della superbia, fin tanto che la giustizia divina abbia

ricevuto soddisfazione, qui tra i morti, dal momento che non l’ho fatto mentre ero vivo ». Per ascoltare abbassai il viso; e

una di quelle anime, non quella che parlava, si torse sotto il peso che le opprimeva, e mi vide e mi riconobbe e mi chiamò per

nome, tenendo faticosamente fissi gli occhi su di me che procedevo con loro tutto chinato.
« Oh! » gli dissi, « non sei

Oderisi, il vanto di Gubbio e il vanto di quell’arte che a Parigi è chiamata illuminare (alluminar: miniare) ? »
« Fratello

», mi rispose « sono più belle le opere che dipinge il bolognese Franco: la gloria ora è tutta sua, e a me ne resta solo una

parte.
Certamente, mentre ero in vita, (nell’ammettere la superiorità di un altro) non sarei stato così generoso, a causa

del grande desiderio di eccellenza al quale il mio animo era tutto rivolto.
Qui si sconta la pena di questa superbia; e non

mi troverei neppure qui (sarei ancora nell’antipurgatorio), se non fosse che mi pentii, mentre (essendo in vita) potevo ancora

peccare.
Oh quanto è vana la gloria dell’umano valore! quanto poco tempo resta rigogliosa sulla cima del suo albero, se non

è seguita da un periodo di decadenza!
Cimabue credette di essere senza rivali nella pittura, ed ora è di Giotto tutta la

fama, cosicché la sua è oscurata:
così Guido Cavalcanti ha strappato a Guido Guinizelli il primato nell’uso della lingua

volgare; e forse è nato chi oscurerà la loro fama.
La gloria umana non è altro che un soffio di vento, che ora spira da una

parte ed ora spira dall’altra, e cambia nome ogni volta chi cambia direzione.
Quale fama più grande avrai, se muori

vecchio, di quella che avresti se fossi morto prima.di abbandonare il linguaggio dei bimbi (il pappo e il dindì rappresentano

la storpiatura infantile di « Pane » e « moneta »), prima che siano trascorsi mille anni? perché (mille anni) rispetto

all’eternità costituiscono un periodo di tempo più breve di un battito di ciglia rispetto al movimento del cielo che ruota più

lentamente degli altri (al cerchio che più tardi in cielo è torto: il cielo delle stelle fisse che impiega 360 secoli a

compiere la sua rivoluzione).
Colui che cammina a passi così brevi davanti a me, fece risuonare del suo nome tutta la

Toscana; ed ora a malapena è ricordato a Siena, della quale era signore quando venne distrutta la baldanza fiorentina, che a

quel tempo fu superba così come ora è avvilita.
La vostra fama è come il colore dell’erba, che appare e scompare, e viene

seccata dal sole ad opera del quale esce dalla terra ancora immatura.»
Ed io gli dissi: « Le tue veraci parole mi infondono

un sentimento di buona umiltà, e appianano il mio animo gonfio di grande superbia: ma chi è colui del quale ora stavi parlando?

»
« Quello » disse « è Provenzano Salvani; e si trova qui perché ebbe la superba presunzione di impadronirsi di tutta

Siena.
Così curvo ha camminato e cammina. senza riposo, dal momento in cui è morto: tale pena deve pagare chi nel mondo ha

troppo presunto di sé.»
Ed io: « Se l’anima che aspetta, prima di pentirsi l’ultimo istante di vita, resta qui sotto

(nell’antipurgatorio) e non può salire il monte se non l’aiuta la preghiera di un cuore in grazia di Dio, prima che sia

passato tanto tempo quanto visse, per quale motivo a Provenzano fu concesso di accedere (al purgatorio vero e proprio) ? »
«

Quando era nel momento più glorioso della sua vita » disse, « messo da parte ogni sentimento di vergogna, di sua spontanea

volontà si piantò sulla piazza del Campo di Siena (la più importante piazza della città); e lì, per liberare un suo amico dalla

pena che soffriva nelle prigioni di Carlo d’Angiò, si ridusse (a mendicare) tremando (per l’umiliazione) in ogni fibra.

Non ti dirò altre cose, e so che le mie parole sono oscure; ma passerà poco tempo, che i tuoi concittadini ti metteranno in

condizione di poter in terpretare le mie parole.
Questa azione gli evitò la sosta nel l’antipurgatorio (li tolse queí

confini).»

  • 200 e 300
  • Parafrasi Purgatorio
  • Dante
  • Letteratura Italiana - 200 e 300

Ti potrebbe interessare

Link copiato negli appunti