Purgatorio: Parafrasi XX Canto - Studentville

Purgatorio: Parafrasi XX Canto

Parafrasi.

Un volere buono (quello di Dante che desiderava prolungare il colloquio) male combatte (mal pugna: è

costretto à cedere) contro un volere migliore (quello di Adriano V; cfr. canto XIX, 140-141) ; perciò per compiacerlo, contro

la mia volontà (‘l piacer mio) estrassi dall’acqua la spugna (del mio desiderio) non satura (cioè: interruppi il

colloquio).
Mi mossi; e con me si mosse la mia guida negli spazi non occupati dalle anime, camminando proprio rasente la

roccia, come si va sulle mura rasente ai merli,
perché gli spiriti, che versano a goccia a goccia dagli occhi (con le

lagrime) il male (l’avarizia) che occupa tutto il mondo, sono troppo vicini all’orlo dall’altra parte della cornice.
Sii

maledetta tu, antica lupa, che più di tutti gli altri vizi fai strage di anime per la tua fame infinitamente profonda !
O

cielo, al cui ruotare sembra si creda siano dovuti i mutamenti delle condizioni di quaggiù, quando verrà colui (il Veltro) per

opera del quale costei sia allontanata ?
Noi procedevamo a passi lenti e piccoli, ed io stavo attento (per scansarle) alle

anime, che udivo piangere ed emettere lamenti da muovere pietà;
e mi accadde di udire davanti a noi invocare piangendo <

Dolce Maria! », così come fa la donna presa dalle doglie del parto;
e continuare: < Tu fosti tanto povera; quanto si può

vedere da quell'umile stalla dove deponesti la santa creatura che portavi in seno ».
Successivamente udii dire: < O

eccellente Fabrizio, tu preferisti la virtù nella povertà piuttosto che possedere grande ricchezza con disonestà ».
Queste

parole mi erano piaciute a tal punto, che mi spinsi innanzi per conoscere quello spirito dal quale sembravano venire.
Esso

parlava ancora lodando la liberalità che usò San Nicola in favore di alcune fanciulle, per condurre la loro giovinezza a nozze

onorate.
E io dissi: "O anima che ricordi esempi così insigni di virtù, dimmi chi fosti e perché tu sola richiami alla

memoria azioni così degne di lode.
Il tuo parlare non sarà senza ricompensa, se è vero che io debbo tornare a completare il

breve viaggio di quella vita terrena che corre rapidamente verso il suo termine".
E. lo spirito mi rispose: "Ti dirò quanto

chiedi, non perché io attenda suffragi dalla terra, ma perché in te brilla così chiara la Grazia prima che tu sia morto.
Io

fui il capostipite di quella malvagia dinastia dei Capetingi, che copre di malefica ombra tutta la cristianità, tanto che

raramente da essa si coglie il buon frutto di qualche persona virtuosa.
Ma se Douai, Lille, Gand (Guanto) e Bruges

potessero, presto ne farebbero vendetta; ed io la chiedo a Dio che tutto giudica.
Sulla terra fui chiamato Ugo Capeto

(Ciappeffa dal francese Chapet) da me nacquero i Filippi e i Luigi dai quali la Francia è governata nei tempi più recenti

(cessata la dinastia dei Carolingi).
Io fui figlio d'un mercante di buoi di Parigi: quando si estinsero tutti i re

dell'antica dinastia dei Carolingi, tranne uno che vestì l'abito monacale,
mi trovai salda nelle mani la guida del governo

del regno, e (mi trovai) tanta potenza di recenti ricchezze, e tale moltitudine di fautori,
che la corona regale vacante fu

cinta sulla testa di mio figlio Roberto, dal quale ebbe inizio la discendenza dei re solennemente consacrati (di costor le

sacrale ossa).
Finché la grande dote della contea di Provenza non tolse alla mia discendenza ogni pudore di fronte al male,

essa valeva poco, ma neppure operava il male.
A questo punto la mia stirpe cominciò la sua rapina con la violenza e con

l'inganno: e poi, per fare ammenda (della prima rapina), si impadronì del Ponthieu, della Normandia e della

Guascogna.
Carlo I d'Angiò venne in Italia e, per fare ammenda, fece giustiziare Corradino di Svevia; e poi, sempre per

fare ammenda, fece risalire in cielo Tommaso d'Aquino.
Io vedo un tempo futuro, non molto lontano da oggi, in cui uscirà

fuori di Francia un altro Carlo, per fare meglio conoscere la malvagità sua e dei suoi.
Esce di Francia senza armi e solo

con la lancia (della menzogna e del tradimento) con la quale aveva combattuto Giuda, e spinge forte quell'arma nel ventre di

Firenze così da farlo scoppiare.
Da questa impresa non guadagnerà terre, ma peccato e vergogna, che per lui saranno tanto

più gravi, quanto più lieve egli riterrà tale danno.
Vedo l'altro Carlo, quello che già fu tratto prigioniero dalla sua

nave, vendere sua figlia e patteggiarla come fanno i corsari con schiave qualsiasi.
O avarizia, che altro di peggio puoi

farci, dal momento che hai asservito a te la mia discendenza, al punto tale che per te non si cura più dei propri figli ?

Affinché il male futuro e quello fatto nel passato appaiano meno gravi, ti dirò che vedo entrare in Anagni l'insegna dei

re di Francia, e vedo Cristo esser fatto prigionero nella persona del suo vicario.
Lo vedo deriso un'altra volta; vedo

offrirgli nuovamente l'aceto e il fiele, e lo vedo ucciso in mezzo a ladroni che continuano a vivere (vivi: i due responsabili

dell'oltraggio).
Vedo il nuovo Pilato diventato tanto crudele, che di questo non si sazia, ma arbitrariamente volge la sua

cupidigia contro i Templari.
O Signore mio, quando avrò io la consolazione di vedere in atto il tuo giusto castigo che,

ancora a noi nascosto, nei tuoi segreti disegni rende dolce la tua ira?
Quello che dicevo della Vergine Maria, l'unica

sposa dello Spirito Santo, e che ti indusse a rivolgerti a me per averne qualche spiegazione,
(con gli altri esempi di

virtù) segue come un responsorio tutte le nostre preghiere tanto quanto dura il giorno; ma quando giunge la notte al posto di

questi esempi incominciamo a gridare esempi contrari.
Allora noi rievochiamo l'esempio di Pigmalione, che l'avida brama di

oro fece traditore, ladro e parricida (nel significato latino di uccisore di un parente prossimo);
e rievochiamo la misera

condizione nella quale l'avaro re Mida si trovò dopo la sua domanda ingorda, per cui (ricordandola) ogni volta non si può non

riderne.
Poi ciascuno di noi ricorda la follia di Acan, che rubò parte del bottino, cosicché qui sembra colpirlo ancora

l'ira di Giosuè.
Quindi accusiamo Safira col marito; lodiamo Iddio per i calci del cavallo toccati a Eliodoro; e con

infamia viene ripetuto in tutto il monte
il nome di Polinestore che uccise Polidoro: infine ci gridiamo a vicenda: "Crasso,

tu che lo sai, dillo a noi : che sapore ha l'oro?"
Talora (ricordando gli esempi) uno di noi parla a voce alta e un altro a

voce più bassa, secondo l'intensità del sentimento che ci sprona a procedere nella purificazione ora con maggiore ora con

minore desiderio
perciò a ricordare gli esempi virtuosi che di giorno qui (ci) ripetiamo, non ero io solo poco fa; ma qui

vicino a me non alzava la voce nessun'altra anima".
Noi ci eravamo già allontanati da lui, e ci studiavamo di percorrere la

strada con tanta fretta quanta ci permetteva la difficoltà del cammino,
quando sentii tremare il monte, come se stesse

franando; per questo mi prese quel gelido spavento che suole provare chi è condotto al supplizio:
certo l'isola di Delo non

veniva scossa dal mare così violentemente, prima che Latona la scegliesse come rifugio per darvi alla luce Apollo e Diana (li

due occhi del cielo: cioè il sole e la luna).
Poi da ogni parte si levò un grido tanto possente, che il mio maestro (per

rassicurarmi) s'accostò a me, dicendo: « Non temere, finché ti guido io ».
Per quello che capii dalla voce delle anime più

vicine, da cui fu possibile intendere le parole gridate, tutti dicevano: « Gloria a Dio nel più alto dei cieli » (l'inno

cantato dagli angeli alla nascita di Gesù; cfr. Luca II, 14).
Noi due ce ne stavamo immobili e con l'animo sospeso

(sospesi) come i pastori di Betlemme, che per primi udirono quel canto, finché cessò il tremito del monte ed ebbe termine il

canto.
Poi riprendemmo la strada della purificazione, osservando le ombre giacenti a terra, già tornate al loro pianto

abituale.
Se in questo la mia memoria non erra, nessuna ignoranza mi rese mai desideroso di sapere con tanto

assillo,
quanto mi sembrava di averne allora ripensando al terremoto e al canto; né osavo domandare a Virgilio per la sua

fretta, né da me solo potevo vedere in quei fatti alcuna cosa che m'illuminasse: perciò procedevo timoroso di chiedere e

chiuso nei miei pensieri.

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