Riassunto
La schiera delle anime dei golosi procede
nel sesto girone cantando un versetto del Salmo L, “Labia mea, Domine”. L’aspetto di questi penitenti è tale da suscitare in
Dante la più profonda compassione: nel volto pallidissimo spiccano, profondamente incavate, le orbite degli occhi, il corpo
appare di una magrezza spaventosa, tanto che la pelle, disseccata e squamosa, modella il loro scheletro. Mentre il Poeta sta
cercando di individuare la causa di tanta magrezza, un’anima lo riconosce e lo interroga: è Forese Donati, l’amico più caro
durante il periodo della vita dissoluta di Dante. Dalla sua voce il pellegrino viene a sapere la causa del dimagrimento delle
anime dei golosi. Il Poeta tuttavia si stupisce di trovare l’amico, morto da appena cinque anni, già nel purgatorio vero e
proprio, senza alcuna lunga sosta nell’antipurgatorio fra le anime che si pentirono solo alla fine della vita. Ad accelerare
la sua ascesa sul monte della penitenza furono le preghiere di Nella, la sua dolce sposa, che Forese ora ricorda con amore,
contrapponendone la virtù alla corruzione delle sfacciate donne fiorentine,- per le quali aggiunge lo spirito penitente – il
cielo già prepara durissime punizioni. Dante, per soddisfare un’affettuosa preghiera dell’amico, rivela che solo da pochi
giorni egli ha lasciato la vita viziosa alla quale si era abbandonato anni prima con lui: la sua guida verso il bene è ora
Virgilio, in attesa della futura venuta di Beatrice.
Introduzione critica
L’incontro di Dante con
Forese Donati, il compagno di dissipazioni giovanili, musicalmente si inserisce – dopo i due canti dedicati alla celebrazione
della poesia (nel caso particolare non soltanto simboleggiata, ma presente in carne ed ossa davanti ai nostri occhi nel
personaggio di Virgilio) – nel tessuto nostalgico ma, al tempo stesso, non scevro di asprezze, duramente penitenziali, che
caratterizza l’atmosfera delle cornici del sacro monte, dopo i tempi più miti e trepidamente sospesi dell’antipurgatorio.
L’episodio di Forese non può, infatti, essere isolato, e quasi reciso dal clima morale del girone dei golosi che ne determina
i toni e gli esiti, né d’altro lato possiamo tener conto del solo aspetto più domestico ed autobiografico in cui esso trova la
propria radice, senza por mente alle cadenze, non più calde di intimo e sofferto ripensamento, ma incitanti quasi all’odio ed
alla vendetta, in cui questa pagina si risolve e che, nella sua seconda parte – quella volta all’antiveder, alla percezione
angosciata ed esaltante di un tempo buio ai mortali – accostano singolarmente il dire di quest’anima penitente a quello
infuocato e svolto per araldiche metafore del capostipite della mala pianta che la terra cristiana tutta aduggia nel canto XX.
L’episodio di Forese risulta tuttavia assai più complesso di quello che ha per suo protagonista Ugo Capeto, per il coesistere
e l’armonico fondersi in esso di tonalità varie e più intensamente sentite (ove l’elemento autobiografico, riscattato da ogni
angustia municipalistica, da ogni gravame del contingente, splende come puro canto), laddove la grandezza del ricordare prima,
del profetare poi, dell’angustiato figliuol… d’un beccaio di Parigi appare rivestita di tragica dignità nella unicità di un
dolore selvaggio, nell’isolamento della sua figura in virtù del suo stesso monocorde sentire, tutto teso a cogliere, in
vicende che sono di dominio pubblico, la traccia del germe malefico da lui medesimo immesso nel mondo, l’attivo diffondersi di
un male inspiegabile altrimenti che in termini di destino, di peccato ereditato e trasmesso. L’episodio autobiografico che ha
il suo centro nel mutuo ridar vita al passato ad opera dei due amici-nemici di un tempo, é collocato sullo sfondo della
descrizione riguardante la condizione delle anime dei golosi. Essa si esprime – rispetto alle descrizioni svolte nelle cornici
precedenti – in una scansione più vibrante, più dibattuta e sofferta, scansione che trova il suo apice nel contrasto tra
l’enunciazione dell’aspetto fisico dei golosi – culminante nelle metafore delle anella sanza gemme e della emme che spicca
sul loro volto (versi 31-33), priva delle due o che su quello dei viventi le appaiono afancate – ed il sentimento che anima
questi spiriti nell’atto in cui liberamente soggiacciono alla punizione che li restituirà alla patria celeste. Scrive in
proposito il Sapegno: “La descrizione… dello squallido aspetto dei golosi, pur nella precisione che sembra distaccata e
crudele dei particolari, resta tutta soffusa di [un] senso di trepido stupore; e sottolineando, nella deformità delle fattezze,
l’estraneità e la totale irriconoscibilità delle ombre, dà rilievo per contrasto alla tenerezza dolente dell’inatteso
riconoscimento; con un effetto in parte simile a quello che il Poeta otteneva nell’Inferno, facendo scoprire da Dante la cara
immagine di Brunetto nel volte irreparabilmente devastato dalle fiamme di un violento contro natura (ma la situazione, che là
era drammatica, qui si risolve in toni di alta religiosa elegia)”. Questa limpida osservazione del Sapegno puntualizza – nel
quadro di un riferimento divenuto consueto all’episodio del XV dell’Inferno – i fattori che rendono diversa, pur
nell’unicità del motivo ispiratore (il riandare col pensiero ad un passato, che mai più potrà proporsi sereno, nel tempo che
incalza e – agli occhi del senza casa, senza più patria, che lo riconosca per figlio – sospinge il mondo, di sventura in
sventura, verso un’apocalittica palingenesi). Nell’episodio la resa artistica, la tonalità specifica dei due incontri, di
Forese, infatti, trova espressione ed armonico compimento una complessità di voci a volte acerbamente divergenti, la quale
mancava nella definizione della figura (come pacificata e resa tollerante – entro l’ambito di una rassegnata saggezza – del
male che la divora) di ser Brunetto. La voce di Forese, invece, é di quelle che, di fronte ad un chiuso, gelosamente custodito
passato, proiettano un futuro senza pietà, riassunto, con tragica evidenza, nel grido di orrore delle sfacciate donne
fiorentine, di cui al verso 108, nello stile delle profezie bibliche. L’episodio che ha per suo protagonista Forese Donati
risulta pertanto più variato, più arduo da ridurre ad un denominatore comune nel campo delle definizioni critiche, più
difficile da interpretare nella sua sfumata singolarità. Il punto in cui esso si differenzia nettamente da quello del XV
dell’Inferno va individuato tuttavia non nella rievocazione del tempo che non potrà più riproporsi attuale, quanto nello
svolgimento del motivo dell’antiveder. In consonanza infatti con la spiritualità sollecita degli umani destini,
caratterizzante gli stati d’animo ansiosamente orientati al futuro di color che son contenti nel foco, la figura di Forese
appare rivestita di uno splendore profetico assai più luminoso e permeato della presenza. del divino che non quello – più
limitato e terrestre, esprimentesi per sentenze e volto a tracciare le linee di una sorte singola – il quale aureola e ferma
sul piedestallo della gloria la cara e buona immagine paterna dell’autore del Tesoro.
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