L’ora era così tarda che la
salita non comportava indugio, perché il sole aveva già lasciato il meridiano di mezzogiorno presso la costellazione del Toro e
la notte presso quella dello Scorpione:
per la qual cosa, come fa colui che non si ferma, ma s’affretta per la sua strada,
qualunque cosa gli appaia, se lo punge lo stimolo del bisogno,
così noi entrammo nella spaccatura della roccia,
incamminandoci uno dopo l’altro sulla scala, che per la sua strettezza costringe quelli che salgono a mettersi in fila.
E
come il cicognino che alza l’ala per la voglia di volare, e non osa abbandonare il nido, e quindi l’abbassa,
così mi
comportavo io per il desiderio di chiedere (una spiegazione), desiderio acceso (dal bisogno di sapere) e spento (dal timore di
riuscire molesto), e giungevo fino all’atto (di aprir la bocca) come fa chi tenta di parlare.
Il mio dolce padre Virgilio,
per quanto il nostro procedere fosse rapido, non tralasciò di parlare, ma disse: « Scocca l’arco del dire, che hai teso fino
al massimo (e parla pure liberamente)».
Allora aprii la bocca senza esitazione e cominciai a dire: « Come possono le ombre
diventare magre mentre non sono soggette al bisogno di nutrirsi? »
Mi rispose: « Se ti rammentassi come Meleagro si consumò
al consumarsi d’un tizzone ardente, questo problema non ti sarebbe così difficile da risolvere;
e se pensassi come, ad ogni
vostro pur rapido movimento, guizza la vostra immagine nello specchio, quello che ora ti sembra arduo a comprendersi ti
riuscirebbe facile.
Ma perché t’acquieti nella soddisfazione del tuo desiderio, ecco qui Stazio; ed io mi appello a lui e
lo prego di farsi ora risanatore delle piaghe del tuo dubbio ».
« Se gli spiego il misterioso agire di Dio » rispose Stazio
« mentre sei presente tu (che potresti farlo meglio di me), mi valga come scusa (per l’apparente irriverenza) il fatto che non
posso respingere il tuo invito.»
Poi incominciò: « Se la tua mente, figlio, accoglierà e custodirà le mie parole, esse ti
chiariranno il dubbio (al come: verso 20) di cui tu parli.
La parte più purificata e perfetta del sangue, che non è mai
assorbita dalle vene sempre assetate (perché devono continuamente alimentare le membra del corpo), e rimane in sovrappiù come
un cibo che viene levato intatto dalla mensa,
riceve nel cuore (dove passa) il potere di formare e organizzare tutte le
membra del corpo, così come avviene per l’altro sangue (come quello: è il sangue che nutre le membra) che va per le vene a
trasformarsi nelle membra.
Dopo essersi ancora modificato, scende negli organi genitali maschili (ov’è più bello tacer che
dire: che è più conveniente non nominare): e di qui poi stilla sul sangue femminile nella matrice.
Qui il sangue maschile e
quello femminile si congiungono, l’uno (il sangue della donna) disposto a subire l’azione fecondatrice, e l’altro (il seme
maschile) ad operare grazie all’organo perfetto (per lo perfetto loco: il cuore) dal quale esso è spremuto (e dal quale riceve
la capacità di agire):
e, dopo che lo sperma si è congiunto al sangue femminile, comincia a svolgere la sua azione formando
dapprima un coagulo di entrambi, e poi immette la vita in ciò che esso ha prodotto come materia su cui poter operare.
La
virtù attiva del seme maschile, diventata (nel feto) anima vegetativa quale è quella di una pianta, con la sola differenza
rispetto a quest’ultima, che l’anima vegetativa del feto è ancora in svolgimento (è in via: e quindi è suscettibile di
modificazioni, non essendo ancora pervenuta alla sua perfezione) e quella della pianta è già completa,
continua poi ad
operare, tanto che diventa già capace di moto e di sensibilità (che già si move e sente: diventa così anima sensitiva), ma
ancora incompleta come un organismo animale inferiore (come fungo marino: probabilmente Dante intende alludere a una medusa,
che si pensava sprovvista di organi differenziati); e in un secondo momento incomincia a sviluppare gli organi delle facoltà
sensitive alle quali ha dato origine.
A questo punto, figliolo, la virtù attiva (organizzatrice di tutte le membra) che
deriva dal cuore del padre si dilata, a questo punto fluisce nel feto dove la natura (che ha come suo strumento la « virtù
attiva ») lavora al totale compimento di tutte le membra necessarie alla vita dell’organismo.
Ma tu non vedi ancora come un
essere finora solo animale possa diventare un uomo (fante: essere parlante, e quindi dotato di ragione) : questo punto del
problema è così complesso, che già indusse in errore un pensatore più dotto di te,
cosicché secondo la sua dottrina
considerò separato dall’anima individuale dell’uomo l’intelletto possibile, perché non vide nessun organo materiale assunto
dall’intelletto possibile per esplicare la propria attività (come invece è l’orecchio per l’udito, il naso per l’odorato
ecc.).
Apri il tuo animo alla verità che sto per affermare: e sappi che, non appena nel feto è compiuta la formazione del
cervello,
Dio, colui che imprime il movimento a tutte le cose si rivolge al feto compiacendosi di questa mirabile opera
della natura, e vi infonde (spira: con un diretto atto creativo) uno spirito nuovo (l’anima razionale), dotato di virtù,
il
quale assimila alla sua stessa sostanza ciò che trova attivo nel feto (ciò che trova attivo quivi: cioè l’anima vegetativa e
quella sensitiva), e fa una sola anima (di sé e delle altre due), e questa vive (come la pianta), sente (come l’animale) e
riflette su se stessa prendendo coscienza di sé.
E affinché tu non debba stupirti troppo delle mie parole (perché esse hanno
affermato che l’anima razionale infusa da Dio si è unita con elementi naturali, quali l’anima vegetativa e quella sensitiva),
pensa al calore del sole che si fa vino, quando è congiunto alla linfa che scende dalla vite.
Quando Lachesi (la Parca che
fila lo stame della vita umana) non ha più lino da filare (quando cioè l’individuo muore), l’anima si scioglie dalla carne, e
(a causa del legame con il corpo e della fusione con i due elementi naturali, vegetativo e sensitivo) porta con sé
potenzialmente (in virtute: cioè con possibilità di esplicarle) la parte vegetativa e sensitiva (l’umano: che ha trovato nel
corpo) e quella intellettiva (‘l divino: quella infusa direttamente da Dio)
le facoltà inerenti all’anima vegetativa e
sensitiva restano tutte quante inerti (essendo state private, con la morte, degli organi corporei attraverso i quali agivano);
invece in attività e molto più vive di prima sono le facoltà spirituali, memoria, intelligenza e volontà (essendo ora sciolte
dall’impaccio del corpo).
Immediatamente, per un mirabile impulso interiore (per se stessa… mirabilmente: è l’impulso
che viene dalla coscienza dei meriti o delle colpe suscitata in lei dalla giustizia divina) l’anima cade ad una delle due
rive: qui per la prima volta viene a sapere il suo futuro destino.
(Dopo che l’anima è giunta al luogo assegnato) non
appena lì uno spazio aereo l’accoglie e la circoscrive, la virtù informativa (cfr. verso 41; quella stessa che nel feto aveva
determinato l’anima vegetativa e quella sensitiva e che poi era stata assimilata dall’anima razionale) incomincia ad operare
nell’aria circostante, nello stesso modo e nella stessa misura in cui aveva operato a formare le membra del feto:
e come
l’aria, quando è pregna di umidità, per effetto dei raggi solari che si riflettono in lei, si adorna dei colori
dell’iride,
così l’aria che circonda l’anima qui assume quella forma che in essa imprime l’anima che vi si è fermata
dopo la caduta grazie alla sua virtù informativa diffusa intorno;
e poi come la fiamma (che è la forma aerea del fuoco)
segue il fuoco dovunque esso si sposta, così il nuovo corpo aereo segue lo spirito (che lo ha prodotto).
Poiché da questo
corpo aereo l’anima acquista poi la sua parvenza esteriore, questo corpo aereo si chiama ombra; e da questo corpo aereo poi
l’anima forma gli organi di ciascun senso fino a quello della vista (veduta: cioè fino al senso più complesso e
perfetto).
Per mezzo di questo corpo parliamo e ridiamo; per mezzo di questo corpo piangiamo e sospiriamo come puoi aver
udito su per il monte.
Secondo che ci stimolano i desideri e gli altri moti dell’animo, l’ombra prende l’atteggiamento
corrispondente a quei sentimenti; e questo è il motivo per cui tu ti meravigli del nostro dimagrimento ».
E già eravamo
giunti in vista del tormento dell’ultimo girone, e avevamo voltato a destra, ed eravamo assorti in un altro interesse.
In
questo girone la costa del monte sprigiona in fuori con violenza delle fiamme, mentre dall’orlo esterno della cornice spira
verso l’alto un vento che le fa ripiegare indietro e le allontana da questo lembo estremo;
per questo dovevamo camminare
uno dopo l’ altro dal lato senza riparo; ed io alla mia sinistra temevo il fuoco, e alla mia destra temevo di precipitare nel
vuoto.
La mia guida diceva: « Per questo sentiero si devono tenere a freno gli occhi, perché potrebbe bastare un piccolo
errore per precipitare ».
Allora udii spiriti che cantavano in mezzo al grande fuoco « Dio di somma clemenza », la qual cosa
mi rese desideroso di volgermi (verso la fiamma) non meno di quanto fossi desideroso di badare a non mettere il piede in
fallo;
e vidi spiriti che camminavano in mezzo alle fiamme; e per questo io guardavo alternando di volta in volta gli
sguardi ora a loro e ora ai miei passi.
Dopo aver cantato le parole finali di quell’inno, gridavano a voce alta: « Non
conosco uomo »; poi ricominciavano l’inno con voce più bassa.
Finito nuovamente l’inno, gridavano: «Diana (per serbarsi
casta) visse nei boschi, e ne cacciò Elice che aveva assaporato il veleno di Venere».
Poi tornavano a cantare l’inno;
quindi gridavano i nomi di mogli e mariti che furono casti come impone di essere la virtù della temperanza e il sacro vincolo
del matrimonio.
E credo che per loro questo modo di espiazione duri per tutto il tempo che il fuoco li brucia: con la cura
del fuoco e con tale nutrimento spirituale degli esempi e del canto bisogna
che alla fine si rimargini la piaga (della
lussuria).
- 200 e 300
- Parafrasi Purgatorio
- Dante
- Letteratura Italiana - 200 e 300