«O tu che sei al di là del
sacro fiume (il Letè) », rivolgendo direttamente a me le sue parole, che mi erano sembrate tanto dure pur parlandomi solo
indirettamente (cfr. canto XXX, versi 103-145) ,
riprese Beatrice, aggiungendo senza indugio « di’, di’ se questo (di cui
ti rimprovero) è vero: un’accusa tanto grave sia seguita dalla tua confessione ».
Le mie facoltà erano tanto sconvolte, che
la voce si formò, ma si spense prima che fosse emessa dalla gola e dalla bocca.
(Beatrice) per un poco pazientò; poi disse:
« A che cosa pensi? Rispondimi; poiché in te i tristi ricordi del peccato non sono ancora stati cancellati dall’acqua del Letè
».
Vergogna e paura mescolate insieme mi fecero uscire dalla bocca un “sì” talmente fioco, per intendere il quale furono
necessari gli occhi (per indovinarlo dal moto delle labbra),
Come si spezza la balestra, quando la sua corda e l’arco
scoccano con troppa tensione, e la freccia colpisce il bersaglio con minore impeto,
così scoppiai io sotto il grave peso
(della vergogna e della paura), dando libero sfogo alle lagrime e ai sospiri, e la mia voce si affievolì uscendo attraverso la
bocca.
Perciò Beatrice mi disse: « In mezzo ai desideri da me ispirati, che ti conducevano ad amare Dio, il bene oltre il
quale non c’è cosa a cui si possa aspirare,
quali ostacoli posti di traverso sulla via o quali catene di sbarramento hai
trovato, per cui tu dovessi in tal modo abbandonare la speranza di progredire (nel cammino verso Dio)?
E quali godimenti o
quali guadagni ti si mostrarono nel l’aspetto degli altri beni, perché tu fossi indotto a desiderarli?»
Dopo aver
amaramente sospirato, a stento trovai la voce per rispondere e con fatica le labbra riuscirono a tradurla in
parole.
Piangendo dissi: « I beni terreni con i loro falsi allettamenti indirizzarono i miei passi (sulla via del male), non
appena scomparve il vostro volto (cioè: dopo la vostra morte)».
Ed ella: « Se tu avessi taciuto, o avessi negato i tuoi
peccati, la tua colpa non sarebbe meno palese: da un tale giudice è conosciuta (cioè da Dio, a cui nulla sfugge).
Ma quando
la confessione del peccato prorompe dalla bocca stessa del peccatore, nel tribunale del cielo la giustizia divina attenua la
sua severità (rivolge sé contra ‘I taglio la rota: la mola, che prima ha affilato la lama, gira in direzione contraria al
taglio, cosicché invece di affilarla, la smussa).
Tuttavia, perché tu ora senta vergogna dei tuoi errori, e perché un’altra
volta, vedendo l’allettamento dei beni terreni (udendo le serene; cfr. la nota alla terzina 19 del canto XIX), tu possa
mostrarti più forte,
deponi le cause del tuo pianto (cioè la confusione e la paura: cfr. versi 13-21) ed ascolta: così
potrai udire come la mia morte avrebbe, dovuto rivolgerti in dìrezione opposta a quella da te seguita (cioè verso la via del
bene).
Mai la natura o l’arte ti offrirono una bellezza simile a quella delle membra in cui io fui rinchiusa (nel mondo), e
che ora si disgregano sotto terra;
e se la bellezza più grande (cioè il mio corpo, che si rivelò anch’esso caduco e
destinato a scomparire) venne così a mancarti a causa della mia morte, quale cosa mortale doveva poi attirarti a desiderarla?
In seguito al primo colpo ricevuto dalle realtà ingannevoli del mondo (e questo colpo, con la mia morte, ti indicò tutta la
caducità terrena), avresti piuttosto dovuto sollevarti verso l’alto, seguendo me che (essendo ora solo anima) non ero più una
cosa ingannevole.
Non avrebbero dovuto farti battere in basso le ali, ad aspettare altri colpi (di nuovi disinganni), né
pargoletta né altre cose vane che si possono godere così brevemente.
L’uccellino nato da poco aspetta due o tre colpi (cioè
due o tre insidie prima di acquistare esperienza); ma invano si tendono reti o si lanciano frecce agli uccelli adulti e quindi
già esperti. Come i bambini, per vergogna, se ne stanno muti con gli occhi a terra, ascoltando (il rimprovero) e riconoscendosi
colpevoli e profondamente pentiti,
nello stesso atteggiamento me ne stavo io; ed ella disse: « Dal momento che ti affliggi
per quello che ascolti, solleva il viso, e guardandomi la tua sofferenza diventerà più profonda ».
Un robusto cerro si
svelle dalle sue radici, sia ai colpi del vento di tramontana sia a quelli del vento australe, opponendo minore
resistenza
di quella che io dovetti vincere per sollevare il mento al suo comando; e quando indicò il viso per mezzo della
barba, compresi chiaramente l’amarezza contenuta in quella espressione (il velen dell’argomento: Beatrice, infatti, ha voluto
ricordargli, con il termine barba, che egli è ormai un uomo e come tale deve comportarsi).
E non appena il mio volto riprese
la sua posizione eretta, il mio sguardo vide che gli angeli (quelle prime creature: perché creati per primi con i cieli)
avevano smesso di spargere fiori;
e i miei occhi, ancora incerti, scorsero Beatrice rivolta verso il grifone che è una sola
persona in due nature.
Pur essendo velata e pur restando al di là del fiume mi sembrava superasse in bellezza quella che era
un tempo in terra, più di quanto, mentre era ancora in vita, non superasse nel mondo tutte le altre donne.
In quel momento e
in quel luogo la tormentosa puntura del pentimento mi trafisse così profondamente, che quella che fra tutte le altre cose più
mi aveva attirato nel suo piacere, più mi divenne odiosa.
Il mio cuore fu a tal punto colpito da una così piena
consapevolezza delle mie colpe, che persi conoscenza sopraffatto dal rimorso; e quale allora divenni, lo sa colei che (con i
suoi duri rimproveri e la sua celestiale bellezza) fu la causa (del mio smarrimento).
Poi, quando il cuore rimise in
attività le mie forze vitali, vidi china su di me la donna (Matelda) che avevo incontrato tutta sola, e diceva: « Tieniti
stretto a me, tieniti stretto a me!»
Mi aveva immerso nel fiume fino al collo, e trascinandomi dietro camminava sulla
superficie dell’acqua leggiera come una navicella.
Quando giunsi vicino all’altra riva del Letè, si udì cantare «
Aspergimi » con tale dolcezza, che non lo so ricordare, e tanto meno esprimerlo a parole.
La bella donna aprì le braccia; mi
tenne stretta la testa e mi immerse nel fiume finchéì fui costretto ad inghiottire dell’acqua.
Mi tolse di lì, e ancora
bagnato mi condusse nel cerchio formato dalle quattro virtù cardinali che danzavano; e ciascuna mi coperse (il capo) sollevando
il braccio.
« Qui nel paradiso terrestre ci presentiamo come ninfe e nel cielo come stelle: prima che Beatrice apparisse nel
mondo, fummo destinate da Dio ad essere le sue ancelle.
Ti condurremo davanti al suo sguardo; ma renderanno i tuoi occhi
capaci di penetrare nella luce beatifica che vi splende dentro, le tre virtù teologali che si trovano sul fianco destro del
carro, le quali vedono più a fondo.»
Cosi incominciarono cantando; e poi mi guidarono davanti al petto del grifone, dove
Beatrice si trovava rivolta verso di noi,
e dissero: « Guarda più attentamente che puoi (fa che le viste non risparmi) : ti
abbiamo posto, davanti agli occhi splendenti dai quali un tempo Amore. lanciò i suoi dardi contro di te ».
Mille desideri
più ardenti di una fiamma costrinsero i miei occhi a fissare quelli luminosi di Beatrice. che continuavano ad essere rivolti
solo al grifone.
Come il sole (si riflette) in uno specchio, allo stesso modo il grifone dalle due nature si rifletteva
negli occhi di Beatrice, ora con gli atti caratteristici dell’aquila, ora con quelli del leone.
Pensa, o lettore, se io non
mi meravigliavo, alla vista del grifone (la cosa) che (se guardato direttamente) restava sempre identico a se stesso, mentre
nell’immagine riflessa negli occhi di Beatrice si trasformava (ora nell’uno ora nell’altro dei suoi due aspetti).
Mentre
il mio animo pieno di stupore e di gioia gustava il cibo delle verità sovrannaturali che, mentre sazia, suscita nuovo desiderio
di sé,
le tre virtù teologali, dimostrando nei loro atti di appartenere (rispetto a quelle cardinali) ad un ordine
gerarchico più elevato, avanzarono danzando al ritmo del loro angelico canto.
« Volgi, Beatrice, volgi i tuoi santi occhi »
dicevano le parole dei loro canto « al tuo fedele che, per vederti, ha compiuto un così lungo viaggio (ha mossi passi tanti)!
Per tua graziosa concessione facci la grazia di liberare dal velo davanti a lui il tuo volto, in modo che egli possa vedere
chiaramente la bellezza celestiale (seconda rispetto a quella terrena e materiale) che nascondi.»
O tu che rifletti la viva
luce eterna di Dio, quale poeta, anche se si è consumato con tenacia nello studio della poesia (sotto l’ombra… di Parnaso:
era il monte sacro ad Apollo e alle muse), o ha bevuto alla fonte Castalia (in sua cisterna: si trova sul Parnaso ed è simbolo
dell’ispirazione poetica),
non sembrerebbe avere la mente impedita, se tentasse di rappresentare te, o Beatrice, quale
apparisti là (nel paradiso terrestre), dove solo il cielo con la sua armonia riesce a dare una immagine adeguata della tua
bellezza,
quando ti mostrasti libera da ogni velo nell’aria limpida?.
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- Letteratura Italiana - 200 e 300