Purgatorio: Parafrasi XXXI Canto - Studentville

Purgatorio: Parafrasi XXXI Canto

Parafrasi.

«O tu che sei al di là del

sacro fiume (il Letè) », rivolgendo direttamente a me le sue parole, che mi erano sembrate tanto dure pur parlandomi solo

indirettamente (cfr. canto XXX, versi 103-145) ,
riprese Beatrice, aggiungendo senza indugio « di’, di’ se questo (di cui

ti rimprovero) è vero: un’accusa tanto grave sia seguita dalla tua confessione ».
Le mie facoltà erano tanto sconvolte, che

la voce si formò, ma si spense prima che fosse emessa dalla gola e dalla bocca.
(Beatrice) per un poco pazientò; poi disse:

« A che cosa pensi? Rispondimi; poiché in te i tristi ricordi del peccato non sono ancora stati cancellati dall’acqua del Letè

».
Vergogna e paura mescolate insieme mi fecero uscire dalla bocca un “sì” talmente fioco, per intendere il quale furono

necessari gli occhi (per indovinarlo dal moto delle labbra),
Come si spezza la balestra, quando la sua corda e l’arco

scoccano con troppa tensione, e la freccia colpisce il bersaglio con minore impeto,
così scoppiai io sotto il grave peso

(della vergogna e della paura), dando libero sfogo alle lagrime e ai sospiri, e la mia voce si affievolì uscendo attraverso la

bocca.
Perciò Beatrice mi disse: « In mezzo ai desideri da me ispirati, che ti conducevano ad amare Dio, il bene oltre il

quale non c’è cosa a cui si possa aspirare,
quali ostacoli posti di traverso sulla via o quali catene di sbarramento hai

trovato, per cui tu dovessi in tal modo abbandonare la speranza di progredire (nel cammino verso Dio)?
E quali godimenti o

quali guadagni ti si mostrarono nel l’aspetto degli altri beni, perché tu fossi indotto a desiderarli?»
Dopo aver

amaramente sospirato, a stento trovai la voce per rispondere e con fatica le labbra riuscirono a tradurla in

parole.
Piangendo dissi: « I beni terreni con i loro falsi allettamenti indirizzarono i miei passi (sulla via del male), non

appena scomparve il vostro volto (cioè: dopo la vostra morte)».
Ed ella: « Se tu avessi taciuto, o avessi negato i tuoi

peccati, la tua colpa non sarebbe meno palese: da un tale giudice è conosciuta (cioè da Dio, a cui nulla sfugge).
Ma quando

la confessione del peccato prorompe dalla bocca stessa del peccatore, nel tribunale del cielo la giustizia divina attenua la

sua severità (rivolge sé contra ‘I taglio la rota: la mola, che prima ha affilato la lama, gira in direzione contraria al

taglio, cosicché invece di affilarla, la smussa).
Tuttavia, perché tu ora senta vergogna dei tuoi errori, e perché un’altra

volta, vedendo l’allettamento dei beni terreni (udendo le serene; cfr. la nota alla terzina 19 del canto XIX), tu possa

mostrarti più forte,
deponi le cause del tuo pianto (cioè la confusione e la paura: cfr. versi 13-21) ed ascolta: così

potrai udire come la mia morte avrebbe, dovuto rivolgerti in dìrezione opposta a quella da te seguita (cioè verso la via del

bene).
Mai la natura o l’arte ti offrirono una bellezza simile a quella delle membra in cui io fui rinchiusa (nel mondo), e

che ora si disgregano sotto terra;
e se la bellezza più grande (cioè il mio corpo, che si rivelò anch’esso caduco e

destinato a scomparire) venne così a mancarti a causa della mia morte, quale cosa mortale doveva poi attirarti a desiderarla?

In seguito al primo colpo ricevuto dalle realtà ingannevoli del mondo (e questo colpo, con la mia morte, ti indicò tutta la

caducità terrena), avresti piuttosto dovuto sollevarti verso l’alto, seguendo me che (essendo ora solo anima) non ero più una

cosa ingannevole.
Non avrebbero dovuto farti battere in basso le ali, ad aspettare altri colpi (di nuovi disinganni), né

pargoletta né altre cose vane che si possono godere così brevemente.
L’uccellino nato da poco aspetta due o tre colpi (cioè

due o tre insidie prima di acquistare esperienza); ma invano si tendono reti o si lanciano frecce agli uccelli adulti e quindi

già esperti. Come i bambini, per vergogna, se ne stanno muti con gli occhi a terra, ascoltando (il rimprovero) e riconoscendosi

colpevoli e profondamente pentiti,
nello stesso atteggiamento me ne stavo io; ed ella disse: « Dal momento che ti affliggi

per quello che ascolti, solleva il viso, e guardandomi la tua sofferenza diventerà più profonda ».
Un robusto cerro si

svelle dalle sue radici, sia ai colpi del vento di tramontana sia a quelli del vento australe, opponendo minore

resistenza
di quella che io dovetti vincere per sollevare il mento al suo comando; e quando indicò il viso per mezzo della

barba, compresi chiaramente l’amarezza contenuta in quella espressione (il velen dell’argomento: Beatrice, infatti, ha voluto

ricordargli, con il termine barba, che egli è ormai un uomo e come tale deve comportarsi).
E non appena il mio volto riprese

la sua posizione eretta, il mio sguardo vide che gli angeli (quelle prime creature: perché creati per primi con i cieli)

avevano smesso di spargere fiori;
e i miei occhi, ancora incerti, scorsero Beatrice rivolta verso il grifone che è una sola

persona in due nature.
Pur essendo velata e pur restando al di là del fiume mi sembrava superasse in bellezza quella che era

un tempo in terra, più di quanto, mentre era ancora in vita, non superasse nel mondo tutte le altre donne.
In quel momento e

in quel luogo la tormentosa puntura del pentimento mi trafisse così profondamente, che quella che fra tutte le altre cose più

mi aveva attirato nel suo piacere, più mi divenne odiosa.
Il mio cuore fu a tal punto colpito da una così piena

consapevolezza delle mie colpe, che persi conoscenza sopraffatto dal rimorso; e quale allora divenni, lo sa colei che (con i

suoi duri rimproveri e la sua celestiale bellezza) fu la causa (del mio smarrimento).
Poi, quando il cuore rimise in

attività le mie forze vitali, vidi china su di me la donna (Matelda) che avevo incontrato tutta sola, e diceva: « Tieniti

stretto a me, tieniti stretto a me!»
Mi aveva immerso nel fiume fino al collo, e trascinandomi dietro camminava sulla

superficie dell’acqua leggiera come una navicella.
Quando giunsi vicino all’altra riva del Letè, si udì cantare «

Aspergimi » con tale dolcezza, che non lo so ricordare, e tanto meno esprimerlo a parole.
La bella donna aprì le braccia; mi

tenne stretta la testa e mi immerse nel fiume finchéì fui costretto ad inghiottire dell’acqua.
Mi tolse di lì, e ancora

bagnato mi condusse nel cerchio formato dalle quattro virtù cardinali che danzavano; e ciascuna mi coperse (il capo) sollevando

il braccio.
« Qui nel paradiso terrestre ci presentiamo come ninfe e nel cielo come stelle: prima che Beatrice apparisse nel

mondo, fummo destinate da Dio ad essere le sue ancelle.
Ti condurremo davanti al suo sguardo; ma renderanno i tuoi occhi

capaci di penetrare nella luce beatifica che vi splende dentro, le tre virtù teologali che si trovano sul fianco destro del

carro, le quali vedono più a fondo.»
Cosi incominciarono cantando; e poi mi guidarono davanti al petto del grifone, dove

Beatrice si trovava rivolta verso di noi,
e dissero: « Guarda più attentamente che puoi (fa che le viste non risparmi) : ti

abbiamo posto, davanti agli occhi splendenti dai quali un tempo Amore. lanciò i suoi dardi contro di te ».
Mille desideri

più ardenti di una fiamma costrinsero i miei occhi a fissare quelli luminosi di Beatrice. che continuavano ad essere rivolti

solo al grifone.
Come il sole (si riflette) in uno specchio, allo stesso modo il grifone dalle due nature si rifletteva

negli occhi di Beatrice, ora con gli atti caratteristici dell’aquila, ora con quelli del leone.
Pensa, o lettore, se io non

mi meravigliavo, alla vista del grifone (la cosa) che (se guardato direttamente) restava sempre identico a se stesso, mentre

nell’immagine riflessa negli occhi di Beatrice si trasformava (ora nell’uno ora nell’altro dei suoi due aspetti).
Mentre

il mio animo pieno di stupore e di gioia gustava il cibo delle verità sovrannaturali che, mentre sazia, suscita nuovo desiderio

di sé,
le tre virtù teologali, dimostrando nei loro atti di appartenere (rispetto a quelle cardinali) ad un ordine

gerarchico più elevato, avanzarono danzando al ritmo del loro angelico canto.
« Volgi, Beatrice, volgi i tuoi santi occhi »

dicevano le parole dei loro canto « al tuo fedele che, per vederti, ha compiuto un così lungo viaggio (ha mossi passi tanti)!

Per tua graziosa concessione facci la grazia di liberare dal velo davanti a lui il tuo volto, in modo che egli possa vedere

chiaramente la bellezza celestiale (seconda rispetto a quella terrena e materiale) che nascondi.»
O tu che rifletti la viva

luce eterna di Dio, quale poeta, anche se si è consumato con tenacia nello studio della poesia (sotto l’ombra… di Parnaso:

era il monte sacro ad Apollo e alle muse), o ha bevuto alla fonte Castalia (in sua cisterna: si trova sul Parnaso ed è simbolo

dell’ispirazione poetica),
non sembrerebbe avere la mente impedita, se tentasse di rappresentare te, o Beatrice, quale

apparisti là (nel paradiso terrestre), dove solo il cielo con la sua armonia riesce a dare una immagine adeguata della tua

bellezza,
quando ti mostrasti libera da ogni velo nell’aria limpida?.

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