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Riassunto

Riassunto su Freud.

Freud e Nietzsche vengono solitamente accostati perchò entrambe, seppur in modi diversi, sul finire dell’Ottocento scardinano alcune certezze fondamentali della civiltà  occidentale: se Nietzsche aveva “trasvalutato” tutti i valori fondamentali dell’Occidente, ora Freud distrugge la certezza dell’Io, sulla quale si ò costruita la nostra civiltà  e che, a seconda delle epoche storiche, ò stata definita “Io”, “Spirito”, “Anima”, ecc. E non a caso l’intera filosofia moderna, dal Medioevo fino all’Ottocento aveva fatto perno sulla nozione di Io, dal cogito cartesiano all’ Io penso kantiano allo spirito hegeliano, e tale nozione era stata scoperta, molti secoli prima, da Socrate, dato che, prima di lui, l’anima restava un qualcosa di sfumato che non si identificava con la persona, tant’ò che per gli Orfici essa era la parte divina presente in noi. Ed ò proprio con Socrate che l’Io viene ad identificarsi con la coscienza, a tal punto che “Io” arriva a significare “ciò di cui ho coscienza” (pensiamo alla res cogitans di Cartesio) mentre, sempre gli Orfici, in direzione opposta a Socrate, avevano prospettato l’idea che quello che loro definivano “demone” si manifestasse nei momenti di minor coscienza (il sonno, lo svenimento, ecc). L’idea dell’identificazione Io/coscienza, affiorata con Socrate, ò diventata uno dei pilastri della civiltà  occidentale e solo in pochi hanno avuto l’ardire di metterla in discussione: tra questi, merita di essere ricordato Plotino, il quale aveva colto, per così dire, diversi livelli della coscienza, cosicchò, oltre al livello ordinario, vi era anche quello sovrarazionale, in grado di attingere l’Uno neoplatonico; dalla prospettiva plotiniana emerge, seppur timidamente, l’idea che la mente non si identifichi con l’Io e quest’idea ò stata ripresa e perfezionata, nel Seicento, da Leibniz, il quale parlava espressamente di “piccole percezioni” e di “innatismo virtuale”, convinto che nella testa dell’uomo esistessero nozioni di cui non si ha coscienza, quasi come se la nostra mente contenesse qualcosa che va al di là  della coscienza. Anche Hume, nell’età  dell’illuminismo, smontando il concetto di sostanza, aveva finito per distruggere insieme ad esso anche quella particolarissima sostanza che siamo noi: in altri termini, il pensatore scozzese si era chiesto se, svuotata la mente dai contenuti della coscienza, sarebbe potuto rimanere qualcosa ed aveva argutamente risposto che l’Io, in fin dei conti, altro non era se non un fascio di percezioni ed era così giunto alla conclusione che non siamo altro all’infuori della somma delle nostre percezioni. Schopenhauer stesso leggeva l’Io come manifestazione particolarissima e superficiale di quella realtà  unitaria e profonda che lui definiva “volontà “; tutti questi pensatori controcorrente, però, non sono bastati per impedire che si affermasse sempre più l’idea di un Io unitario, cosciente e razionale e che le passioni venissero considerate come elementi quasi estranei alla nostra vera personalità . Se Schopenhauer si era acutamente accorto che la vera natura dell’uomo, in realtà , non ò la ragione, ma la sfera passionale (tant’ò che la ragione, secondo Schopenhauer, ò una specie di organo che la passione si conferisce per potersi realizzare), con Nietzsche ci troviamo di fronte ad una vera e propria ripresa dell’idea humeana. Anche se dal concetto di “volontà  di potenza” sembra trasparire l’assoluta centralità  dell’individuo, Nietzsche smonta radicalmente la nozione di sostanza ( ” l’essere manca ” afferma Zarathustra) e dal suo venir meno si sgretola pure quella particolarissima manifestazione di essa che siamo noi (l’Io) e Nietzsche avanza (in Umano, troppo umano ) l’inquietante quesito se sia vero che siamo noi a pensare le idee o, piuttosto, sono le idee che si pensano, che vanno e vengono, attratte da processi quasi chimici, senza che vi sia un Io. Il grande merito di Freud risiede nell’aver ricucito tutti questi duri colpi assestati alla nozione di Io e nell’aver dato la formulazione migliore di questo pensiero “controcorrente”. L’Io, nota Freud, non ò che non ci sia, ma, semplicemente, ò una realtà  infinitamente più marginale di quel che si ò creduto da Socrate in poi. E’ come se fossimo tutti, coscientemente o meno, cartesiani, poichò se vi sono cose di cui non abbiam coscienza ò come se per noi non ci fossero; ma non ò vero che la mente si identifica in tutto e per tutto con la coscienza; viceversa, la coscienza ò una piccola porzione della mente, una porzione traballante per molti versi, e l’Io stesso ò un punto di contatto tra cose ben più importanti. Ben emerge, da queste considerazioni, come per Freud la mente sia altra cosa rispetto all’Io o alla coscienza. La psiche ò, invece, la mente nel suo complesso e in essa trova spazio l’Io (che Freud chiama anche “Ego”), il quale si configura come parte cosciente della psiche. Ed ò molto curioso come Freud non sia, propriamente, un filosofo a pieno titolo, ma un medico che si interessa di psichiatria nel tentativo di curare alcune patologie precise ed ò altrettanto curioso come, da buon medico di fine Ottocento, fosse convinto dei postulati del Positivismo materialista e ritenesse che per spiegare fatti psichici si dovesse ricorrere ad eventi materiali, come se ogni attività  della mente fosse legata ad una parte del cervello. Man mano che Freud matura il suo pensiero, però, prende sempre più le distanze da queste idee, a tal punto che riterrà  che un giorno, quando vi saranno gli strumenti adatti per farlo, sarà  necessario individuare le cause materiali della patologia psichica, ma, poichò al momento non vi ò disponibilità  di tali strumenti, bisogna proiettare la propria indagine (ed ò ciò che egli fa) su ciò che ò indagabile, ovvero sui rapporti tra fatti psichici, trascurando quelli materiali. E’ come se Freud, da sempre considerato un anti-positivista, fosse in realtà  un “positivista mancato”: ed egli comincia a praticare in una prima fase della sua attività , insieme ad altri medici, la tecnica dell’ipnosi per curare certe patologie, nella convinzione che tramite essa si possa regredire ad eventi del passato rimossi e, facendoli riemergere, si può capire l’origine di determinate “nevrosi” derivanti da conflitti interiori; si deve, cioò, far emergere ciò che ò stato rimosso per poterlo così curare. E qualcosa di questa teoria originaria resterà  sempre presente nel suo pensiero: in particolare, Freud sarà  sempre convinto che le patologie psichiche abbiano origine in traumi e conflitti psichici irrisolti e tali conflitti vengono spesso rimossi, ossia tolti dallo stato di coscienza e riposti altrove: la diagnosi/terapia consiste nel farli riemergere e la diagnosi, pertanto, ò anche la cura della malattia. Ma Freud, nel corso della sua maturazione, tende sempre più a concepire quelli che in origine chiamava “traumi reali” come “traumi virtuali”, cioò non effettivi: solo in rarissimi casi il trauma ò legato ad un fatto della vita reale, mentre nella stragrande maggioranza dei casi avvengono all’interno della psiche umana e, in questa nuova prospettiva, Freud tende a respingere ora l’ipnosi, poichò ha la funzione di far crollare le barriere. Dato che con la rimozione certi eventi vengon fatti passare dalla coscienza alla non-coscienza, ò evidente che non possano emergere attraverso una prassi razionale (visto che si trovano nascosti alla ragione) e l’ipnosi allora non serve più ad abbattere gli ostacoli aggirandoli (perchò ò troppo “artificiale”), bensì si punterà  sulla distruzione dei processi di rimozione, visto che essi hanno delle falle, ad esempio i sogni e i lapsus, quando cioò si dice una parola per un’altra (e per Freud la parola “scappata” inavvertitamente ò quella che per davvero si voleva dire). Si deve pertanto badare a ciò che le persone dicono o fanno al di là  della coscienza e, proprio come nel caso dei lapsus si pronuncia una parola anzichò un’altra, così ò anche per i comportamenti: ci sono cose che facciamo senza rendercene conto (ad esempio, i tic) e scavando in essi si coglie la verità  della natura umana. Tuttavia, ciò non implica che non tutte le azioni che compiamo inconsciamente abbiano un significato: ad esempio, non tutto ciò che ò presente nei sogni ha un significato inconscio. Accettata l’idea di non poter spiegare e curare i disagi psichici attraverso pratiche materiali, Freud si propone di lavorare su un piano psicologico e il concetto fondamentale che emerge da questo nuovo lavoro ò quello di rimozione: esso implica che determinate situazioni conflittuali che, proprio perchò tali, sono pesanti per la coscienza, vengano “rimosse”, senza però esser fatte sparire del tutto; vengono cioò nascoste e collocate in quel vastissimo serbatoio della psiche che freud chiama ” l’inconscio “. Esistono dunque cose che la nostra psiche tende a considerare da evitarsi a livello conscio e per questo motivo le rimuove, ma questa rimozione crea disagi che si manifestano in estrinsecazioni psichiche e psicosomatiche (Freud concentra la propria attenzione soprattutto sulla paralisi isterica) che scaturiscono appunto da conflitti psicologici irrisolti che, per poter essere curati, devono in qualche misura essere fatti emergere e dal fatto stesso di prenderne coscienza, magari dolorosamente, nasce anche la cura. Il problema ò che, siccome la psiche ha riposto queste cose a livello di inconscio, ò impensabile strapparle in modo coercitivo all’inconscio; si dovrà  cercare piuttosto di aggirare le “barriere” che proteggono l’inconscio e, per poter fare ciò, vi sono svariati modi, in particolare tutte quelle situazioni in cui la coscienza ò più tenue e gli aspetti irrazionali della mente sono in primo piano (i lapsus, i sogni, i tic, ecc); il lettino dello psicanalista rende bene l’idea, in quanto il paziente disteso su di esso parla spontaneamente abbassando le barriere dell’inconscio. Sempre in quest’ottica, Freud usò molto il meccanismo del transfert, ovvero l’innamoranto del paziente verso lo psicanalista: Freud si accorgeva, infatti, di come molte sue pazienti finissero per innamorarsi di lui (in quanto provavano un senso di necessità  del suo aiuto e, in definitiva, della sua persona) e, in un primo tempo, pensò che questo imprevisto potesse interferire con la cura, ma poi notò come, invece, fosse d’aiuto, poichò tende a far crollare le barriere dell’inconscio e permette di entrare nelle profondità  della psiche. Un altro sistema di cui si avvale Freud per penetrare nella mente ò quello della libera associazione di idee, il quale consiste, essenzialmente, nel porre il paziente di fronte ad un’immagine o ad una parola e nell’invitarlo a dire tutto ciò che gli viene in mente. Ma il metodo più importante e più impiegato dallo psicologo austriaco ò quello dell’ interpretazione dei sogni (a cui dedica il suo scritto forse più famoso): nel sogno sono presenti contenuti rimossi, ma la mente umana non ò così ingenua da far affiorare nel sogno ciò che tiene nascosto durante la veglia e pertanto ciò che vediamo nei sogni non ò, banalmente, ciò che ò stato rimosso; bensì emergono contenuti rimossi ma in forma rielaborata e in un linguaggio che dice e nasconde contemporaneamente, in quanto dà  contenuti ma li esprime in maniera enigmatica. Sarà  pertanto sbagliato, nota Freud, dire che ho sognato di volare e che dunque voglio a tutti i costi volare; il lavoro che Freud si propone di fare ò appunto quello di provare a decifrare le regole sintattiche del linguaggio dei sogni, distinguendo tra significato latente (cioò il vero significato, nascosto) e significato manifesto (quello apparente, così come ci appare nel sogno). Già  Platone aveva a suo tempo notato come nei sogni spesso facciamo cose che nella realtà  mai faremmo nò penseremmo di fare: così, dopo che il paziente avrà  sognato di volare, si potrà  dire che il significato manifesto era appunto di volare, ma quello latente era un altro; molto spesso, infatti, il sogno procede per immagini e, dunque, i contenuti vengono espressi attraverso simboli e oggetti (animali, cose, persone, ecc) di cui non si ò in grado di spiegare il vero significato (che perciò resta “latente”). Tanto più che secondo un meccanismo di condensazione in un unico oggetto sono cristallizzati molteplici contenuti e significati. Ma non solo: attraverso il meccanismo di spostamento il contenuto si sposta e slitta su oggetti che non c’entrano nulla, per cui magari si sogna un gatto ma esso non ha nulla a che vedere con il contenuto. E’ curioso come Freud, partito da una questione terapeutica, si sposti sempre più, in modo graduale, verso una sistematizzazione del suo pensiero e venga elaborando un’interpretazione generale della psiche umana e così il suo discorso si allarga, da medico che era, verso l’antropologia. Ne nasce una metapsicologia, ossia una psicologia che da mero strumento per risolvere problemi diventa una teoria generale sull’uomo: e Freud scopre, in quest’ottica, la sessualità  infantile, uno degli aspetti che maggiormente scandalizzarono la società  del tempo. In particolare, egli sostiene la centralità  della sessualità  nella vita umana, mettendo in evidenza come le pulsioni che stanno alla base della vita siano sessuali e come dal sesso derivino perfino la civiltà  e molte altre cose. E per poter conferire tale carattere fondativo alla sessualità , Freud si vede costretto a concepirla in un’accezione piuttosto ampia e arriva a proporre la tesi secondo cui la rimozione graduale della sessualità  dalla società  sia da attribuirsi al fatto che ò sempre stata concepita in maniera troppo ristretta per poi inquadrarla in rigide regole che la attenuassero: non potendola eliminare, la si restringe all’ambito della sessualità  volta alla procreazione nell’ambito matrimoniale, sicchò si arrivano a considerare moralmente inaccettabili forme di sessualità  “diversa” (come quella non volta alla procreazione, quella omosessuale, quella extramatrimoniale) e per di più viene eliminato quel carattere di sessualità  che in realtà  molte cose hanno, tra cui i bambini. Il bambino, infatti, ha una sua sessualità  e, in forma volutamente provocatoria, Freud lo definisce come un ” essere perverso poliformo “: quando si nasce, si ha una forma di sessualità  a trecentosessanta gradi, una sessualità  diversa da come la intende e ci impone di intenderla la civiltà  di cui siamo figli: la sessualità , secondo Freud, coincide con la capacità  di provare piacere col corpo attraverso funzioni che non siano strettamente fisiologiche e, pertanto, il bambino prova sì piacere nel prendere il latte materno perchò soddisfa la sua esigenza di cibo, ma ò anche vero che prova piacere a succhiare il seno materno (e il ciucciotto nasce da questa considerazione), il che ò una forma di sessualità . Il bambino dunque ò “polimorfo” perchò in lui la limitazione della sessualità  imposta dalla civiltà  non c’ò ancora e la sua sessualità  non ò ancora orientata ad una sola “zona erogena”; man mano che egli cresce, tuttavia, subisce l’influenza della società  e finisce per identificare la sessualità  solo con la zona erogena genitale; e quindi, oltre ad essere “polimorfo”, il bambino ò anche “perverso” perchò in lui ci sono tutte quelle forme di sessualità  che un pò alla volta vengon tagliate fuori dalla società  in cui vive perchò le ritiene perverse. All’interno di queste fasi di maturazione del bambino, ò molto importante il rapporto coi genitori e, soprattutto, col padre (l’attenzione di Freud ò sempre riservata, per lo più, al sesso maschile): ed ò a questo punto che Freud tratta del celebre complesso di Edipo; man mano che la sua psicologia sfuma nell’antropologia, egli tende a stravolgere (un pò come aveva fatto Bruno col mito di Atteone) il significato dei miti classici. Più nel dettaglio, egli scorge nelle vicende di Edipo una trasposizione mitologica della vita del bambino: la madre costituisce per il bambino, proprio come per Edipo, il primo individuo con cui si rapporta e a cui rivolge la sua attenzione sessuale e, in questa prima fase, concepisce il padre come avversario e ne nasce una conflittualità  per il possesso della madre; tale fase, però, sarà  superata e si arriverà  all’identificazione con il padre. La famiglia e, soprattutto, la figura del padre diventano per Freud la chiave di lettura di tutto: tutte le tappe che si percorrono nel processo di crescita sono necessarie, l’importante ò non restare bloccati ad una tappa (magari quella del complesso di Edipo) senza superarla; se non la si supera, si ha la “regressione” e nascono disagi e patologie che la psicanalisi deve risolvere. Il presupposto del discorso ò che, in assenza di riscontri fisiologici, la vita psichica deve essere interpretata sulla base di una forte pulsione interna che va scaricata, quasi come se esistesse un flusso di energia interiore che finchò non ò scaricato fa star male; e, secondo Freud, tale energia interna ò soprattutto una pulsione sessuale, che lui chiama libido. Il medico austriaco tende sempre più ad elaborare quella che lui stesso chiama “metapsicologia” e nell’ambito di questa elaborazione meritano di essere esaminati alcuni concetti centrali delle sue opere: un primo tentativo di spiegare il conflitto che travaglia la psiche umana risiede nell’osservare due princìpi opposti fra loro, che Freud chiama principio del piacere e principio di realtà . L’uomo, di per sò, tenderebbe sempre a soddisfare all’istante il piacere che prova, per poter così trovare una forma di equilibrio interno; e tuttavia a questo “principio del piacere”, per cui si sarebbe indotti a realizzare sempre e comunque il piacere, si oppone il “principio di realtà “, ovvero la consapevolezza delle richieste provenienti dall’ambiente circostante: se, infatti, tutte le pulsioni fossero immediatamente realizzate, non solo ciò sarebbe incompatibile con le regole della società , ma perfino con la semplice sopravvivenza fisica dell’individuo, e non a caso ciascuno di noi tende a reprimere parzialmente il principio di piacere in funzione del fatto che deve vivere. Secondo quest’interpretazione freudiana, l’uomo vive in una perenne tensione ineliminabile per cui nessuno dei due princìpi (di piacere e di realtà ) può venir meno: le pulsioni devono essere scariocate ma tenendo conto della realtà  circostante e da ciò sorge, gradualmente, un conflitto interiore, proprio come nei sogni emergevano cose rimosse dalla coscienza. Ed ò curioso notare come questa distinzione tra i due princìpi rievochi fortemente quella nietzscheana tra apollineo e dionisiaco: come per Nietzsche, anche per Freud alla base dell’uomo vi sono pulsioni irrazionali e vitalistiche (ovvero dionisiache), che però vengono ridimensionate dall’apollineo, cioò dalle regole imposte dalla società  e dalla razionalità . In alcune opere più mature, Freud dichiara apertamente di essere andato al di là  del principio di piacere: si rende cioò conto che solo in apparenza il principio di realtà  e quello di piacere sono tra loro opposti; se meglio analizzati, essi risultano anzi essere due facce della stessa medaglia, proprio come l’utile, se esaminato in profondità , non ò in contrapposizione con il piacere, ma ò anzi un modo per realizzarlo utilmente; così il principio di realtà  altro non ò se non una manifestazione del principio di piacere, più precisamente consiste nell’esprimere il piacere in forma mediata. E poi Freud si rende conto che contro questo principio bipolare che ò il principio di piacere (comprendente, come abbiamo appena detto, anche quello di realtà ) vi ò un altro principio ad esso opposto e consiste in una tendenza all’autodistruzione. Ora Freud al principio vitale (piacere + realtà ) contrappone quello di morte, sotto forma di autodistruzione e per esprimere il conflitto tra questi due princìpi riprende il binomio, tipicamente romantico, eroV kai qanatoV, “amore e morte”: paradossalmente, nell’uomo troviamo una tendenza vitalistica che si esprime nel principio di piacere ( eroV ) contrapposta a quella autodistruttrice ( qanatoV ) e Freud afferma che le pulsioni devono assolutamente essere scaricate e che il piacere consiste appunto nello scaricarle, ma aggiunge che se un relativo scaricamento di esse ridà  l’equilibrio e coincide con l’ eroV, a volte vi ò una tendenza esasperata ad uno scaricamento totale delle pulsioni e della vitalità : in ciò risiede qanatoV. Dove emerge questo secondo impulso che tende ad annullare la vita? Lo si scopre, dice Freud, soprattutto nell’aggressività  verso l’esterno e verso se stessi e, ancora di più, nella coazione a ripetere, cioò nei tic con carattere fortemente ripetitivo: infatti, il fatto stesso che tendano a ripetersi all’infinito dà  un senso di morte, perchò implica l’abolizione della creatività  vitalistica e riduce la vita ad un meccanismo inanimato, quasi come se si provasse nostalgia per gli esseri privi di vita. Sempre nell’ambito della metapsicologia, Freud elabora due celebri teorie, dette della ” prima topica ” e della ” seconda topica “: il termine “topico” ò desunto dal greco topoV, “luogo”, e Freud lo impiega perchò tende ora a leggere la psiche umana come se divisa in diverse regioni e regni, anche se, ò bene ricordarlo, egli ha rinunciato all’interpretazione materialistica e pertanto per “luoghi” non si devono intendere letteralmente zone fisiche del cervello, ma piuttosto, metaforicamente, zone con caratteristiche diverse dalla cui interazione deriva il comportamento umano. Se Nietzsche aveva messo in dubbio, riprendendo le tesi humeane, la compattezza della nozione di Io, ora Freud con le “topiche” la sfalda del tutto: egli, infatti, suggerisce l’idea che non vi sia una personalità  ben definita e dotata di svariate manifestazioni, ma, viceversa, propone l’ipotesi che vi siano “regni” separati di cui il nostro Io ò solo un aspetto. Nella “prima topica” individua tre ambiti della psiche: 1) “conscio” ò ciò di cui abbiamo effettivamente coscienza; 2) “preconscio” ò quel serbatoio a cui il conscio attinge: se, ad esempio, sto parlando, le cose che dico ora consciamente, ieri erano già  nella mia testa ma non stavo pensando ad esse e dunque erano a livello subconscio, bastava allungare la mano per prenderle; 3) “inconscio” ò tutto ciò che ò stato rimosso dalla coscienza, cosicchò si crea una barriera assai solida che impedisce l’accesso. Nella “seconda topica”, invece, che ò di gran lunga più famosa, incontriamo tre elementi diversi: a) l’Io (o Ego) ò la personalità  cosciente, b) il Superio (o Superego) ò la coscienza che si sovrappone alle decisioni dell’Io, c) l’Es (o Id) non ò identificabile con la personalità  individuale, ma ò l’insieme delle pulsioni irrazionali e proprio per questo viene espresso con il pronome neutro “Es” (“Id” in latino). L’Io corrisponde alla dimensione conscia, a quelli che nella “prima topica” Freud aveva definito come “conscio” e “subconscio”; l’Es, invece, corrisponde all’inconscio della “prima topica” ed ò, in sostanza, ciò che influenza pesantemente il comportamento. Ciò che però non trova un corrispettivo nella “prima topica” ò il Superio, che, essenzialmente, si identifica con quella che solitamente definiamo voce della coscienza, quel senso del dovere che impone all’Io un comportamento che lui, di per sò, non adotterebbe, proprio come in Kant il dovere (Superio) impone di non fare ciò che l’Io vorrebbe fare. Il riferimento a Kant non ò casuale: quando il pensatore tedesco parlava di imperativo categorico, diceva espressamente che si deve saper riconoscere ciò che effettivamente ò un dovere proveniente dall’interno (magari aiutare gli altri), senza alcuna motivazione eteronoma. Kant però non era arrivato a ipotizzare, come invece fa Freud, che quella che solitamente consideriamo la voce della coscienza abbia anch’essa un’origine eteronoma o, per dirla con Nietzsche, umana, troppo umana; in altri termini, per Freud la voce della coscienza ò l’insieme delle norme comportamentali che la società  in cui viviamo ci impone di interiorizzare e di far diventare doveri morali; secoli prima, il sofista Crizia aveva sostenuto la teoria secondo cui la religione sarebbe stata inventata da un legislatore intelligente che, resosi conto che gli uomini si comportano bene solo se controllati, creò il concetto di Dio, una sorta di poliziotto che ci controlla tutti quanti ventiquattr’ore su ventiquattro. E anche quando respingiamo l’eventualità  di un Dio, nota Freud, resta comunque la coscienza, che in fondo, come già  aveva detto Hegel, ò un Dio interiorizzato. Il bambino, dunque, nasce con tutte le pulsioni dell’Es che tenderebbero immediatamente a realizzarsi (per il principio del piacere): poi, però, la famiglia le limita vivamente e la prima autorità  con cui il neonato entra in contrasto ò la figura paterna, in quanto rappresenta un’autorità  esterna che impone regole e che si pone come rivale nel possesso della donna (complesso di Edipo); tuttavia, questa autorità , originariamente intesa come nemica, tende a poco a poco ad essere interiorizzata a tal punto che il ragazzo finisce per identificarsi col padre; e quando poi l’individuo si allontana dalla famiglia per entrare a far parte della società , si imbatte in nuove autorità , cosicchò le leggi vengono rispettate perchò si teme la punizione che deriva dal trasgredirle e, soprattutto, perchò le si hanno interiorizzate come valori, si dimentica cioò che sono regole umane e le si concepiscono come valori assoluti dettati dalla voce della coscienza (il “dovere” di cui parlava Kant). In questa prospettiva, il Superio corrisponde un pò al principio di realtà , in quanto altro non ò se non l’insieme delle regole imposte dall’esterno che vengono interiorizzate e diventano una parte di noi. Dopo aver detto che l’Es costituisce l’insieme delle pulsioni che stanno alla base dell’uomo e che il Superio ò la cosiddetta voce della coscienza, non resta che chiedersi in che cosa consista l’Io: ad esso Freud riserva un destino alquanto disgraziato, poichò costituisce una sorta di terreno di confine tra l’Es e il Superio. A tal proposito, Freud cita esplicitamente la commedia “Arlecchino servitore di due padroni”, dove Arlecchino ò l’Io e i due padrono sono, rispettivamente, l’Es e il Superio. L’Io/Arlecchino ò tenuto a soddisfare la nostra essenza pulsionale e, nel contempo, a rispondere alle leggi dettate dal Superio, e ciò che prescrive il Superio ò in netto contrasto con quanto prescritto dall’Es, visto che il primo tende a ingabbiare le pulsioni sessuali del secondo, e, in quest’ottica, il vestito a pezze ritagliate di Arlecchino simboleggia il fatto che l’Io ò lacerato da questo conflitto. Nell’ultima fase del suo pensiero, Freud estende il suo discorso all’ analisi della civiltà  umana e dei suoi costi: il Superio, egli nota, ha a che fare coi costi della società , in quanto placa gli impulsi senza lasciarli affiorare in superficie; sotto questo profilo, assume un’importanza sempre maggiore la nozione di sublimazione. Freud non rinuncia mai e poi mai alla centralità  delle pulsioni all’interno della vita umana e fa notare come la civiltà  sia sempre stata un tentativo di governarle, un tentativo che si ò realizzato secondo due differenti modalità : da un lato, riduce a spazi e modi limitati l’espressione sessuale della libido, ma poi tutte le libido che non sono orientate in senso sessuale non spariscono, ma vengono piuttosto “sublimate”, ossia reindirizzate ad altri scopi creativi, come se evaporassero per poi ricondensarsi in un’altra maniera. Ed ò così, come sublimazione delle pulsioni sessuali, che sono nate nella nostra civiltà  la cultura, l’arte e il lavoro; dopo di che, Freud, riprendendo ed estendendo il concetto del complesso edipico, tratteggia l’origine dei totem e dà  un’interpretazione dell’eucarestia cristiana: le società  primitive si costruiscono sulla base di un parricidio originario con cui si elimina il padre ma, dopo aver compiuto tale gesto efferato, si prova rimpianto e, perciò, la figura paterna viene divinizzata attraverso il totem o, nel mondo cristiano, con l’eucarestia. Fatte queste considerazioni sulla religiosità  delle diverse civiltà , Freud arriva esplicitamente ad affermare che la religione non ha futuro e che dovrà  esaurirsi: molto significativo, a tal proposito, ò il titolo di uno scritto del 1927, L’avvenire di un’illusione. In Il disagio della civiltà  (1930) Freud afferma invece che la civiltà  ò un male inevitabile: ò un male, perchò reprime e devia gli impulsi libidici e, proprio per questo motivo, l’intera società  può essere considerata malata, anche se di una malattia generica: seppur non vi ò sofferenza, regna ciononostante il disagio per il fatto che le pulsioni vengono repressivamente soffocate ma si continua lo stesso a sentire il bisogno della civiltà . Quest’idea di una società  a disagio per un eccesso di apollineo rievoca fortemente il pensiero di Nietzsche, anche se per il profeta del Superuomo questo disagio ò eliminabile nel momento in cui si giunge al nichilismo attivo; per Freud, invece, non ci si può in nessun caso liberare dal Superio e ne nasce una mesta prospettiva di accettazione di un male necessario. Nonostante queste considerazioni, Freud non ò così pessimista come possa sembrare, in quanto, sebbene rifiuti la possibilità  ammessa da Nietzsche di schizzare via dalla società , non rifiuta quella secondo cui ò possibile migliorare la società  ed ò per questo che scorge nel movimento socialista non un modo per realizzare il paradiso in terra, ma per ridurre il disagio che opprime la nostra società ; ancora una volta, Freud, nella convinzione che la società  possa guarire un poco alla volta attraverso l’assunzione di medicine adeguate, rivela di essere forse più medico che filosofo.

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  • Filosofia - 1800

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