Benedetto ( Baruch ) Spinoza opera in Olanda nella seconda metà del 1600 e, come il collega Hobbes, cercherà di risolvere una volta per tutte il problema, lasciato in eredità da Cartesio, del rapporto tra la res cogitans ( la spiritualità ) e la res extensa ( la materia ), non rinunciando tuttavia a porsi anche problemi politici con schemi simili a quelli di Hobbes, ma con risultati incredibilmente diversi: Spinoza è uno dei primi grandi teorici della democrazia. Tuttavia, per meglio comprendere la sua filosofia, è opportuno fare riferimento al contesto sociale e culturale in cui egli vive; come suggerisce il cognome, Spinoza, pur vivendo in Olanda, è un pensatore di origine ebrea e fa parte di quelle famiglie cacciate dalla Spagna in quanto ebree a fine ‘400, rifugiatesi in Portogallo per poi fuggire anche da lì per via dell’ improvviso assorbimento del Portogallo da parte della potenza spagnola. L’ Olanda seicentesca è stata più volte definita una vera e propria isola di tolleranza: liberatasi dal dominio spagnolo nel 1500 con una lotta dalle valenze sia nazionali sia religiose, era però sconvolta da lotte interne: vi erano i dinamici mercanti di Amsterdam, calvinisti moderati ( si era diffuso l’ arminianesimo ), che sostenevano il regime repubblicano: erano moderati sia in ambito politico sia religioso; il loro capo era il famoso De Witt, denominato ” gran pensionario d’ Olanda “, titolo affine a quello di presidente della Repubblica dei giorni nostri. Contrapposto a questo schieramento moderato, vi era poi quello di Guglielmo D’ Orange, che aveva l’ appannaggio alla suprema carica militare e mirava a realizzare non una repubblica, bensì una monarchia. Egli godeva dell’ appoggio degli artigiani olandesi, i ceti popolari più estremisti tanto sul piano religioso quanto su quello politico. In un primo momento il potere fu in mano al moderato De Witt e l’ Olanda godette di un’ ottima tolleranza religiosa, vissuta in modo singolare: si tratta di una tolleranza religiosa ” per gruppi “. C’ era in altre parole equilibrio tra le diverse componenti religiose ( ebrei, protestanti, anabattisti… ). Lo Stato olandese, che si contraddistingueva per essere molto ” leggero “, riconosceva i vari gruppi religiosi e ogni singolo individuo apparteneva allo stesso tempo allo Stato olandese e alla religione del gruppo di appartenenza. E’ una tolleranza enorme per quegli anni, in cui in Francia veniva revocato l’ editto di Nantes. Era addirittura possibile pubblicare tutti i libri che si volevano senza correre il rischio di incappare nella censura. Tuttavia va detto che questa tolleranza e questa libertà erano riconosciute ai gruppi e non ai singoli: un uomo singolo, di per sò, non era mai totalmente libero e, se allontanato dalla propria comunità religiosa, egli perdeva la libertà . Fu quel che accadde a Spinoza, della comunità ebraica. Egli dimostra grandi doti intellettuali fin dalla gioventù, però manifesta posizioni teoriche incompatibili con la religione ebraica tradizionale e non tarda ad arrivare alla rottura e alla ” scomunica “, l’ esclusione dalla comunità : da quel momento egli vive come un esiliato in patria: si era infatti olandesi nella misura in cui si apparteneva ad una comunità . Tuttavia Spinoza non si lascia andare e ama frequentare i salotti borghesi e non i filosofi di professione. Nella sua emarginazione egli vive producendo lenti per cannocchiali, attività nella quale gli olandesi primeggiavano e un personaggio come Galileo aveva avuto modo di sperimentarlo creando il cannocchiale; è tipica della tradizione ebraica che ciascuno debba avere un suo mestiere nel corso della vita. Ecco che Spinoza scelse il settore della produzione delle lenti, un lavoro che, a suo dire, conciliava l’ attività speculativa. Tuttavia la sua non fu solo una necessità , ma anche una scelta: ricevette promesse di importanti incarichi pubblici ma rifiutò sempre sostenendo di preferire la libertà al denaro: da produttore di lenti avrebbe sempre potuto pensare liberamente. Fu una persona molto pacata e tranquilla e, si racconta, l’ unica volta in cui perse la pazienza fu in occasione dell’ assassinio del condottiero De Witt: uscì da casa furibondo, si recò sul luogo del delitto, gremito di rivali e assassini di De Witt e si pronunciò apertamente contro tale azione, rischiando il linciaggio. La filosofia di Spinoza è il punto di incontro tra le più disparate concezioni filosofiche: sullo sfondo c’ è la recente filosofia cartesiana e la filosofia spinoziana nasce proprio come tentativo di risolvere il complesso problema del rapporto tra le due res. Notevole risulta anche l’ influenza del neoplatonico italiano cinquecentesco Giordano Bruno, dell’ antico stoicismo e della religione ebraica. Esaminiamo ora nel dettaglio i contenuti del pensiero spinoziano: il problema da cui nasce e il metodo con cui viene impostata l’ intera sua filosofia, come accennato, è di derivazione cartesiana: l’ impostazione fortemente matematica molto risente della tradizione cartesiana e, più in generale, del secolo in cui Spinoza vive. Il suo testo più importante, non a caso, si intitola Etica dimostrata alla maniera geometrica: la struttura argomentativa dell’ opera è quella dei libri di geometria: compaiono teoremi, definizioni, scoli, corollari. Si tratta di un vero e proprio ragionamento geometrico tipicamente seicentesco. Così come Cartesio spiega la sua filosofia con le 4 regole matematiche del metodo, anche Spinoza illustra il suo pensiero filosofico tramite la geometria. Nel dimostrare l’ etica alla maniera geometrica, Spinoza risulta essere fortemente influenzato dallo stoicismo: già in Cartesio vi era qualche elemento stoicheggiante, tuttavia in lui lo stoicismo non era così massicciamente presente: dall’ opera stessa ( L’ etica dimostrata alla maniera geometrica ) emerge lo stoicismo spinoziano: di tutta l’ opera, infatti, solo l’ ultima parte tratta di etica, mentre nel resto vengono affrontate problematiche metafisiche e gnoseologiche. E’ tipicamente stoica l’ idea che l’ obiettivo ultimo della filosofia debba essere l’ etica, ma che per capire come comportarsi si debba prima delineare la struttura complessiva della realtà che ci circonda; è dalla struttura della realtà che deve derivare l’ etica: il mondo è così e funziona in questo modo, io mi devo comportare di conseguenza. Ecco che Spinoza, sulle orme degli stoici, dedica all’ etica, che è il vero obiettivo della sua filosofia, solo la parte conclusiva dell’ opera, riservandone i tre quarti a questioni metafisiche e gnoseologiche. Anche quando si parla di metafisica e gnoseologica, l’ obiettivo ultimo rimane l’ etica. E’ indubbiamente un atteggiamento di forte sapore ellenistico. Tipicamente stoico, poi, è il contenuto stesso dell’ etica: per raggiungere la felicità si deve ricercare la tranquillità , la quale deriva dal conformarsi all’ andamento razionale e necessario della realtà . Come dicevamo, in Spinoza vi è anche la matrice bruniana: l’ intera realtà , dice Spinoza sulla scia di Bruno, è il risultato di una derivazione da un unico principio: tutto ciò che ci circonda e che ci pare indubbiamente molteplice deriva in verità da un’ unica cosa, di cui è manifestazione. Ancora più bruniana è la convinzione di Spinoza secondo la quale questo derivare non sia tanto un uscir fuori dal principio, quanto piuttosto un autoarticolarsi interno del principio stesso: la realtà non esce dal principio ( come avevano detto Plotino e Cusano ), bensì vi è un autoarticolarsi interno del principio stesso che manifesta le sue articolazioni ( come aveva detto Bruno ). C’ è poi sullo sfondo della riflessione spinoziana anche la matrice ebraica: la concezione bruniana era monistica, ossia tutte le contrapposizioni nella realtà venivano superate con la coincidenza degli opposti: per Bruno l’ universo è unico e non presenta i dualismi qualitativi: vi è un’ unica forma e un’ unica materia e non c’ è neanche distinzione tra forma e materia. Qualcosa di simile vi è anche nella concezione spinoziana, ma il monismo assume in lui una coloritura ancora più netta che in Bruno per via della matrice ebraica: l’ ebraismo ha sempre insistito sul carattere unitario di Dio senza accettare la Trinità ; ecco allora che Spinoza risente di quest’ idea fortemente monistica. Dobbiamo fare una precisione prima di entrare nel merito della filosofia spinoziana: sembra che la filosofia di Spinoza sia una pura e semplice commistione delle più bislacche e diverse concezioni filosofiche, nient’ affatto innovatrice. In un certo senso è anche vero, tuttavia rimescolando le varie fonti filosofiche, il prodotto finale del pensatore ebreo è quanto mai originale e innovativo. La sua indagine filosofica, in modo analogo a come si fa in geometria, parte da una definizione: egli esamina la definizione di sostanza data qualche anno prima da Cartesio, il quale l’ aveva in buona parte mutuata da Aristotele; lo Stagirita aveva definito come sostanza tutto ciò che per esistere non ha bisogno di nient’ altro all’ infuori di se stesso, ponendo così una netta distinzione tra le sostanze e quelli che lui chiamava accidenti: la terra è una sostanza, non ha cioò bisogno di nessuno all’ infuori di sò per esistere; il marrone invece è un accidente, diceva Aristotele perchò per esistere ha sempre bisogno di una sostanza cui riferirsi: la terra è marrone; il marrone esiste solo abbinato a sostanze marroni, ha cioò un’ esistenza ” parassitaria “. Dopo di che Cartesio aveva ripreso questa definizione di sostanza apportando però delle modifiche impostegli dalle sue credenze religiose ( era cattolico ): sostanza è tutto ciò che per esistere non ha bisogno di null’ altro all’ infuori di sò e di Dio. Sì, perchò per Aristotele il mondo è eterno e increato, per Cartesio ( e per gli altri cristiani ) è Dio che lo crea: quindi la terra per esistere non ha bisogno di null’ altro all’ infuori di sò e di Dio che la genera con la creazione. Ora Spinoza, muovendo dalla definizione cartesiana, accostata a quella aristotelica, non può far altro che riscontrare come Cartesio sia caduto in contraddizione; la definizione di Aristotele era di per sò assolutamente perfetta e Cartesio, aggiungendo l’ intervento divino per non entrare in conflitto con la Chiesa, è caduto in errore: la definizione aristotelica, se accettata, va accettata fino in fondo, senza modifiche. E così fa appunto Spinoza: sostanza è tutto ciò che per esistere non ha bisogno di nulla all’ infuori di sò. Però questa definizione porta Spinoza laddove Cartesio aveva avuto timore di finire: se esiste solo ciò che per esistere ha bisogno solo di sò, allora esisterà solo Dio; la res cogitans e la res extensa non possono più esistere così ( l’ aveva anche intuito Cartesio ) e l’ unica a permanere sarà la res divina. Esiste quindi per Spinoza un’ unica sostanza ( Dio ) e se sostanza è ciò che per esistere non ha bisogno di nulla all’ infuori di sò, vuol dire che non vi è nulla che possa ammettere limiti alla sostanza: la sostanza c’ è, è unica ( solo Dio può esistere senza bisogno di nulla all’ infuori di sò ) ed è infinita perchò nulla può limitarla e di conseguenza essa può occupare l’ intero spazio a disposizione ( che è infinito ). Cartesio ammetteva 3 sostanze perchò con la correzione alla definizione aristotelica poteva considerare sostanze anche la res cogitans e la res extensa, e si era imbattuto nell’ insormontabile problema del rapporto tra res cogitans e res extensa ( come possono tra loro avere contatti la realtà spirituale e quella materiale? Come è possibile che se metto il braccio materiale sul fuoco sento con l’ anima il caldo? Ci deve per forza essere un contatto e deve avvenire per urti perchò lo prescrive il meccanicismo: ma come fa il corpo ad entrare in contatto per urti materiali con l’ anima che è immateriale? ); ora Spinoza, riprendendo la definizione di sostanza data da Aristotele, fa sparire la res cogitans e la res extensa: la sostanza è solo ciò che per esistere ha bisogno di sò e di null’ altro, ma allora solo Dio ( res divina ) è sostanza e quindi esiste, perchò solo Dio può dar vita a se stesso. Esaminiamo ora meglio il carattere inifinito della res divina spinoziana, tenendo sempre presente Giordano Bruno: l’ infinità di Dio è assoluta, ossia investe tutti gli infiniti aspetti in cui può manifestarsi: l’ infinitezza di Dio non si può risolvere in infinitezza spaziale ( Dio è dappertutto ) perchò si tratterebbe allora di un assolutismo relativo, ma deve manifestarsi sotto tutti gli aspetti possibili. Nicola Cusano sosteneva l’ infinitezza di Dio e dell’ universo giocando con metafore geometriche: ben emergeva come l’ infinitezza di Dio ( proprio perchò si tratta di Dio, il principio supremo ) deve essere totale: infinitamente grande, infinitamente buono, infinitamente misericordioso, ecc. La res divina, spiega Spinoza riprendendo in parte Cusano, è assolutamente infinita ( è l’ unica sostanza esistente e non c’ è per questo nulla che la limiti ) e in quanto tale non è infinita solo in modo relativo, ma sotto tutti gli aspetti: e per definizioni questi aspetti non possono che essere infiniti ( estensione, bontà , grandezza, ecc. ). L’ unica infinita sostanza è dotata, dunque, di infiniti attributi, ossia di infiniti aspetti: questi aspetti valgono allo stesso tempo in termini ontologici e gnoseologici: la si può conoscere sotto infiniti aspetti perchò ontologicamente presenta infiniti aspetti. Tra questi aspetti presenterà indubbiamente l’ estensione ed il pensiero, ossia l’ infinità di spazio e di pensiero; questi sono solo due degli infiniti attributi; e tutti gli altri quali sono? Noi non possiamo saperlo, dice Spinoza, ma sappiamo comunque quanti sono ( sono infiniti ). Ognuno di questi infiniti attributi è a sua volta infinito: Dio ( la sostanza ) avrà quindi infiniti attributi, di cui conosciamo lo spazio e il pensiero e ognuno sarà infinito: occuperà uno spazio infinito e avrà un pensiero infinito. Ma dire che ciascun attributo è infinito vuol dire che ha infiniti modi di manifestarsi: l’ estensione della sostanza infinita è infinita e può manifestarsi in un’ infinità di modi. Occorre però specificare, per non cadere in errore, che modi e attributi ( 2 cose ben diverse ) non sono sostanze: l’ unica sostanza è la res divina, Dio. Proprio perchò infinita, la sostanza presenta infinite manifestazioni e infiniti sono i modi, le singole maniere di manifestarsi. Per esempio, i modi dell’ estensione sono tutti quei modi in cui l’ estensione può manifestarsi. I modi del pensiero, spiega Spinoza, sono le singole idee e le singole menti: ciascuno di noi è un modo di manifestarsi dell’ unica sostanza. Ma perchò l’ uomo, degli infiniti attributi di Dio, può solo conoscerne due, cioò l’ estensione e il pensiero? Perchò sono gli unici due che gli competono, ossia quei due attributi che sono presenti in quel modo di manifestarsi della sostanza che sono gli uomini: il pensiero e l’ estensione, che Cartesio aveva chiamato res cogitans e res extensa; tutti gli altri attributi, che sappiamo essere infiniti, non possiamo neanche immaginarli perchò con essi non abbiamo rapporto. Con la questione dell’ unica sostanza ( Dio, la res divina ), alla quale Spinoza è approdato seguendo la definizione di Aristotele, si eliminano le due res cartesiane, che fungevano da vere e proprie sostanze distinte, per lasciar spazio ad una sola sostanza: ecco quindi che estensione e pensiero non sono più due sostanze ( come era in Cartesio ), ma diventano due attributi differenti della medesima sostanza; essi non sono più due cose differenti, bensì sono due aspetti differenti della stessa cosa ( Dio ): sono cioò due distinti modi di manifestarsi e di essere conosciuta della res divina ( l’ unica sostanza ammessa ); il che comporta che quello che avviene nella sostanza sotto un attributo sia identico a quello che avviene sotto l’ altro attributo: ma come funziona il processo misterioso del contatto tra anima e corpo, per via del quale quando poggio la mano su una superficie calda sento il calore con l’ anima? Ciò che avviene nel corpo è esattamente quello che avviene nell’ anima ( sono due aspetti dell’ unica sostanza ), ma in modo diverso: è la stessa cosa vista da due diversi punti di vista, dal punto di vista corporeo e da quello spirituale. Tra pensiero ed estensione, dunque, non può esservi alcun rapporto di causa – effetto: non è un impulso del corpo che muove l’ anima e non è un impulso dell’ anima che muove il corpo. Tuttavia quando io penso con l’ anima di alzare il braccio, esso si alza effettivamente, quasi come se vi fosse un rapporto di causa – effetto ! Cartesio doveva in qualche modo spiegare la questione ricorrendo ad un fatidico incontro tra le due sostanze; Spinoza, invece, non vedendo le due res come sostanze, può dire che l’ alzata del braccio in seguito al pensiero di alzare il braccio in realtà sono un solo fenomeno visto sotto due diversi punti di vista, quello spirituale del pensiero e quello corporeo: sotto quello spirituale si coglie la volontà di alzare il braccio, sotto quello dell’ estensione si osserva l’ alzarsi fisico del braccio. Si tratta però di una ed una sola modificazione dell’ unica sostanza sotto due diversi punti di vista, i soli degli infiniti che noi possiamo conoscere. E tutto questo avviene non nell’ io cartesiano, bensì nella sostanza divina ( res divina ): quello che Cartesio chiamava ” l’ io “, non è altro, come qualsiasi cosa, che una manifestazione dell’ unica sostanza divina. E’, evidentemente, una concezione fortemente panteistica, vi è cioò un’ identificazione netta tra la sostanza che ci circonda e Dio, il quale si autoarticola e non può essere un Dio creatore quale è quello tradizionale. Spinoza riesce dunque in qualche maniera a risolvere il problema di Cartesio del rapporto tra res cogitans e res extensa: i modi della res cogitans corrispondono a quelli della res extensa, sono la stessa cosa vista sotto un altro profilo. Per definire la concezione spinoziana potremmo inventare una metafora di forte sapore leibniziano: è come se avessimo un orologio in cui è possibile leggere l’ ora da una parte o dall’ altra, sulle due facce: dal momento che le lancette risultano essere visibili anche sul di dietro ed essendo le stesse, viste da una parte o dall’ altra non cambia proprio nulla, se non il punto di vista: così sono il pensiero e l’ estensione, i cui modi corrispodono perfettamente tra loro; l’ ordine e la successione delle idee corrispondono all’ ordine e alla successione dell’ estensione. La nostra mente stessa, dice Spinoza, è un’ idea; egli fa altresì notare che i modi del pensiero sono le idee, quelli dell’ estensione sono i corpi. Da questo deriva una gnoseologia: come faccio a conoscere il libro che mi sta di fronte? La risposta data da Spinoza è che lo conosco in quanto conosco la modificazione che il libro produce sul mio corpo; toccandolo con la mano, infatti, esso produce una modificazione sul mio corpo, ma si tratta di una modificazione che investe anche il mio pensiero: c’ è la sensazione tattile che arriva a colpire anche l’ ambito del pensiero: proviamo a chiudere gli occhi e a toccare qualcosa: è come se dal contatto fisico risultasse coinvolto anche il pensiero, che si immagina cosa sta toccando il corpo. Ma questa maniera di conoscere ” sensibile ” è solo la forma più elementare di conoscere, il livello meno elevato, dice Spinoza. Dobbiamo però fare alcune osservazioni: il problema cartesiano aveva due sfumature diverse: da un lato il rigoroso meccanicismo di Cartesio gli impediva di far entrare in contatto tra loro la res extensa e la res cogitans: se tutto avviene per urti, come prescrive il meccanicismo, come è possibile che il corpo entri in contatto con l’ anima, che per definizione è immateriale? Ci deve però essere un contatto, altrimenti come si spiega che toccando con la mano il calore, lo sento con l’ anima? Ma rimane assurdo parlare di contatto per urto tra il corpo e l’ anima. Ma vi era poi un altro problema insormontabile nel dualismo cartesiano: come possono entrare in contatto due realtà tanto diverse, la materia caratterizzata dal più rigido determinismo, e l’ anima, la cui prerogativa è il libero arbitrio? Non si tratta certo di un problema da poco. Se messe in contatto ( ammesso che lo si possa fare, visto che il meccanicismo presenta la contraddizione prima illustrata ), le due realtà si inquinerebbero a vicenda. Dopo aver superato il problema delle due res sottolineando come la sostanza sia una sola ( res divina ) e le altre siano solo modi, Spinoza deve ora superare la problematica dell’ eterogeneità presente tra pensiero ( dove vige il libero arbitrio ) ed estensione ( dove vige il determinismo, ossia la necessità : dato un fatto A ce ne deve per forza essere uno B ): l’ unica sostanza ( res divina ) dovrà avere un unico meccanismo di funzionamento e Spinoza, dovendo scegliere se attribuirle la libertà o il determinismo, opta per il secondo: la sostanza funziona in modo puramente deterministico, cosa peraltro molto evidente nell’ estensione ( uno dei suoi infiniti modi ), un pò meno nel pensiero ( un altro dei suoi infiniti modi ). Tutto questo porta Spinoza ad ammettere il meccanicismo nell’ ambito dell’ estensione, ossia a vedere il mondo fisico come una grande tavola da biliardo dove tutto avviene per contatto fisico ( siamo nel 1600, il secolo della fisica matematizzata ), ma anche, seppur in modo diverso, nell’ ambito del pensiero: ci sarà una concatenazione necessaria delle idee analoga alla necessaria concatenazione dei fatti fisici; tuttavia, è evidente, la concatenazione non sarà in termini fisici, perchò sarebbe assurdo parlare di urti materiali tra idee, bensì in termini metafisici. Per Spinoza tutto procede necessariamente e il libero arbitrio non esiste. Ecco allora che si spiega lo strano titolo dell’ opera spinoziana più importante, l’ etica dimostrata alla maniera della geometria: egli la intitola così non solo perchò intende dare una veste matematizzata tipicamente seicentesca al libro, ma perchò è convinto che tutto, compresa l’ etica, avvenga in modo necessario, alla pari di una dimostrazione geometrica. Non a caso, nel corso dell’ opera, egli afferma che gli infiniti modi della sostanza derivano da essa allo stesso modo in cui dall’ essenza del triangolo derivano i suoi teoremi stessi: tutto avviene necessariamente, compresa la derivazione dei modi dalla sostanza e questo colloca indubbiamente Spinoza nel 1600, il secolo della matematica e della fisica. Ecco quindi che si può tranquillamente costruire un’ opera di etica allo stesso modo in cui si dà vita ad un libro di geometria proprio perchò gli infiniti modi della sostanza derivano da essa allo stesso modo in cui dall’ essenza del triangolo derivano i suoi teoremi stessi. La metafora del triangolo spiega bene come il derivare dei modi e degli attributi dalla sostanza non sia un venir fuori alla Plotino, come un torrente da una sorgente, bensì si tratta di un autoarticolarsi interno alla Bruno: per dirla con Cusano, i teoremi del triangolo sono complicati nell’ essenza stessa del triangolo e si esplicano per un’ autoarticolazione interna al triangolo: non vi è alcun uscir fuori dal triangolo nò dalla sostanza. Con questa concezione della sostanza in termini necessari, però, sparisce il tempo: prendiamo l’ esempio del triangolo; quando dico che i teoremi derivano necessariamente dalla sua essenza, questo derivare è nel tempo o fuori dal tempo? In realtà è l’ una cosa e l’ altra perchò quando dimostro il teorema, lo faccio nel tempo, ma si tratta comunque di un tempo soggettivo; i teoremi però derivano dall’ essenza stessa del triangolo e quindi sempre ci son stati e sempre ci saranno proprio perchò presenti nell’ essenza stessa del triangolo. E’ proprio il derivare necessariamente che implica l’ atemporalità del processo: il tempo non c’ è perchò se si sa già ( proprio perchò avviene in modo deterministico ) quello che sarà ( il futuro ), il futuro non c’ è più perchò il futuro, per definizione, c’ è quando non c’ è ancora: una cosa è futura quando non c’ è, ma ci sarà ; ma se tutto è determinato necessariamente, come dice Spinoza, il futuro non c’ è perchò è già nel presente: so già adesso come andranno le cose in futuro perchò tutto avviene necessariamente secondo una concatenazione causale ( da un fatto A uno B, da un fatto B uno C, da un fatto C uno D, e così via ). Il concetto di futuro, poi, è strettamente connesso con quello di libertà di scelta: dove tutto è già determinato il futuro non c’ è perchò è già adesso, non vi è la libertà e non vi è più il tempo perchò tutto quello che sarà lo so già adesso. E’ vero che io dimostro nel tempo, però tiro fuori dal triangolo qualcosa che era già di per sò nel triangolo: non vi è novità alcuna ( solo dal punto di vista soggettivo può esserci ). Ecco allora che, in assenza del tempo, l’ uomo deve vedere le cose non come se nel tempo, ma sub specie aeternitatis, sotto l’ aspetto dell’ eternità . Nell’ ambito del meccanicismo si potrebbe, come fece notare nel 1800 La Place e come ha intuito Spinoza, sapere esattamente cosa avverrà per l’ eternità , visto che tutto è già determinato. Ma perchò Spinoza, arrivato al bivio cartesiano, sceglie il determinismo e non la libertà ? Egli, come sempre, parte da una definizione: la sostanza è una e infinita ed è perfetta proprio perchò non manca di nulla ( per dirla con Parmenide ): ora il Dio di Spinoza ( che è la sostanza, la quale è il mondo ), deve per forza avere due caratteristiche: 1 ) non può essere libero perchò il poter scegliere di comportarsi così anzichò cosà sarebbe un’ imperfezione; così come quando ho un’ espressione algebrica, il risultato non mi può dare sia uno sia due, bensì, nella sua perfezione, mi deve dare uno solo dei due, così la sostanza ( che in fondo può essere vista come una grande espressione ) non può che funzionare in un modo ( perfetto ): non ha libertà e proprio per questo è perfetta. 2 ) Non può agire in modo finalistico: le religioni tradizionali di Dio dicono sempre che agisce liberamente perchò può tutto e che agisce in vista di un bene ( ha un fine ). Il Dio di Spinoza non agisce liberamente e non può neanche avere un fine perchò avere un fine implica la mancanza di qualcosa, il desiderarlo e agire in modo da ottenerlo: pensiamo alle concezioni tipicamente finalistiche, l’ eros platonico o il mondo aristotelico, concezioni secondo le quali si muoveva verso un fine proprio per supplire a delle mancanze. Ma Dio non può mancare di qualcosa e quindi non ha fini, bensì agisce in termini deterministici proprio perchò agisce in maniera razionale. La sostanza è Dio stesso: tutto ciò che ci circonda, quindi l’ intero universo, è Dio stesso: Deus sive natura, Dio ovvero la natura stessa: è una concezione più panteistica di tutte quelle fino ad ora affiorate nella storia della filosofia: non a caso c’ è stato chi ha parlato di pancosmismo, sottolineando che, se è vero che il mondo si identifica in Dio, è altrettanto vero che Dio si identifica nel mondo: la res divina viene sostanzialmente ridotta al mondo intero e la concezione spinoziana può quindi essere detta pancosmica. Certamente, poi, il Dio di Spinoza non è il Dio persona di cui parlava Pascal, ma è quello dei ” filosofi e degli scienziati “, dimostrabile con la ragione. E’ interessante notare come in età romantica ci sia stato un acceso dibattito a riguardo di Spinoza dove emersero posizioni a favore del filosofo ebreo: si vedeva infatti un divinizzarsi totale dell’ universo. Tuttavia non mancarono anche gli atteggiamenti di rifiuto alle posizioni spinoziane: il Deus sive natura, infatti, può essere visto come la più radicale affermazione dell’ ateismo: Dio è il mondo intero, ma è come se Egli sparisse nel momento in cui diventa il tutto perchò non ha libero arbitrio e non agisce secondo fini. Certo agisce razionalmente, ma questo non significa che effettui una scelta razionale tra due possibili cose, non è il Demiurgo di Platone che sceglie tra le varie cose e muove verso un fine: la razionalità secondo cui agisce il Dio spinoziano, infatti, è la stessa secondo cui i teoremi del triangolo derivano dall’ essenza stessa del triangolo: certo è un derivare razionale, ma è evidente come non vi sia nò libertà nò finalità alcuna: d’ altronde, come abbiamo già spiegato, la definizione stessa di Dio implica la sua perfezione e una cosa che possa scegliere non può essere perfetta, perchò l’ idea della scelta in un certo senso implica che chi sceglie possa cadere in errore: la cosa giusta da fare è una sola e Dio non può far altro che compiere quella senza libertà alcuna. Così dicendo, Spinoza fa definitivamente cadere il concetto di possibilità : non c’ è possibilità alcuna nella res divina e tutto avviene necessariamente e, quindi, razionalmente: e dato che tutte le cose esistenti sono modi dell’ unica sostanza, allora nel mondo non esiste la possibilità e tutto procede razionalmente e necessariamente. Altro segno di perfezione è l’ agire in base a cause efficienti e non finali: la causa efficiente implica la necessità assoluta ( da un fatto A, uno B ), quella finale comporta invece la mancanza, l’ agire in vista di qualcosa di cui si è sprovvisti: non a caso Pico della Mirandola faceva notare come sia contradditorio attribuire l’ eros platonico a Dio: si ama qualcosa di cui si è sprovvisti, ma Dio è perfetto, non manca di nulla e quindi non può amare; vale lo stesso discorso per le cause finali: Dio non manca di niente perchò lui stesso è tutto e quindi non muove verso fine alcuno. Ecco allora che Spinoza sostiene che la sostanza agisce esplicando in modo necessario la propria razionalità . Ma se Dio non ha fini nò libertà , allora anche l’ uomo non può averne proprio perchò è manifestazione ( modo ) della sostanza, come qualsiasi altra cosa esistente. Però, almeno in apparenza, sembra proprio che l’ uomo abbia sia fini sia libertà : può infatti scegliere liberamente di perseguire i suoi fini. Ma Spinoza fa notare come le cose non stiano così: il credere di essere liberi e di agire secondo fini è un errore dovuto all’ ignoranza dell’ uomo, che è portato a ritenere libere e finalizzate le proprie azioni per il semplice motivo che ignora la concatenazione causale necessaria che muove ogni cosa: l’ uomo, in altre parole, non si rende conto di essere parte del tutto ( Deus sive natura ), ma è convinto di avere esistenza autonoma. In realtà , spiega Spinoza, ogni singola azione e ogni comportamento è governato dalla concatenazione delle cause necessarie della res divina. L’ uomo, pensando di essere una entità a se stante e autonoma, crede ( a torto ) di essere libero e di poter agire secondo fini: voglio andare a vedere una mostra, decido di andarci e vado: questo è il classico ragionamento degli uomini per dimostrare la loro libertà di perseguire i propri fini. Ma in realtà le cose non stanno così: io vado a vedere la mostra non perchò ho liberamente scelto di adempiere quel fine ( come si è generalmente portati a credere ), ma perchò coinvolto dalla inevitabile concatenazione delle cause: ho letto un foglio che parlava di tale mostra, nel mio cervello si è innescato un complesso meccanismo che fa muovere il corpo che mi conduce a vedere la mostra: ho agito puramente secondo cause meccaniche e necessarie, senza alcun fine. L’ errore del finalismo consiste in un errore di prospettiva, nell’ anticipare quello che avverrà , quasi come se fosse un obiettivo: ma in realtà non vado là perchò così ho deciso, bensì perchò agisco secondo cause necessarie. Spinoza si avvale di argomentazioni simili per quel che riguarda i miracoli: essi, secondo la tradizione, sono stravolgimenti improvvisi da parte di Dio delle leggi fisiche; Dio infatti solitamente non agisce sul mondo; dà leggi alla natura ( le leggi fisiche ) ed essa agisce secondo quelle leggi: è quindi possibile studiare il mondo senza tener conto di Dio, come sosteneva Telesio. Il miracolo consiste proprio in un inusitato intervento di Dio il quale stravolge le leggi fisiche da lui introdotte e agisce come causa prima sul mondo, ossia in modo diretto. Di fronte ai miracoli ci si può atteggiare in due modi diversi, accettandoli o rifiutandoli, ma Spinoza adotta una soluzione alternativa: quelli che comunemente chiamiamo miracoli ci sono, ma non sono miracoli; Spinoza non intende mettere in discussione la veridicità storica di certi eventi biblici quali l’ apertura delle acque del Mar Rosso, ma vuole dimostrare come questi fatti insoliti non siano stravolgimenti delle leggi fisiche da parte di Dio: la definizione stessa di Dio è quella di ente perfetto che agisce perfettamente ( secondo necessità ): ma se è perfetto e agisce perfettamente, perchò mai dovrebbe intervenire sulle leggi fisiche da lui introdotte quasi come se volesse correggerle? Se è perfetto le leggi fisiche non possono che essere perfette e non necessitano di modificazioni. Va poi ricordato che, nella concezione panteistica di Spinoza, Dio e le leggi di natura ( Deus sive natura ) coincidono. Se Dio è perfetto ( e lo è per definizione ), il miracolo non può esistere perchò sarebbe una prova dell’ impotenza divina incompatibile appunto con il concetto di perfezione. Il miracolo non esiste e quelli che nelle Scritture vengono fatti passare per tali, spiega Spinoza, non sono altro che fatti rarissimi, tanto rari da apparire veri e propri stravolgimenti delle leggi fisiche; in realtà essi rientrano totalmente nella razionalità del tutto ed è l’ uomo, con la sua ignoranza, che non sa coglierne i motivi razionali e le cause necessarie. L’ identificazione Dio-universo ha importanti conseguenze sulle teorie etiche spinoziane; molte teorie egli le mutua dalla tradizione stoica, come peraltro da essa aveva mutuato l’ idea della coincidenza della libertà con la necessità . L’ uomo deve eliminare le passioni e per far questo deve prendere atto della razionalità che governa il tutto fino ad assimilarsi con lo scorrere razionale del tutto stesso. Questa teoria può vagamente ricordare quella dell’ omoiosis qeo ( l’ assimilazione a Dio ) di Platone. Tuttavia in una filosofia come quella di Spinoza ( e così era anche per Bruno ) diventare Dio significa rendersi conto di essere Dio: l’ uomo è infatti un modo dell’ unica sostanza ( Dio ) e l’ ” indiarsi ” consiste proprio nell’ intuire l’ identificazione Dio-natura-uomo; Spinoza parla di amor Dei intellectualis, un vero e proprio slancio di amore e di intelletto verso Dio, un qualcosa di assai simile all’ eroico furore di Giordano Bruno: con questo slancio amoroso e intellettuale verso Dio mi assimilo all’ unica sostanza, ossia divento ciò che già ero, rendendomi conto di non avere esistenza autonoma: arrivo a vedere che ogni cosa, anche la più irrazionale, se vista dall’ ottica del tutto, avviene secondo ragione e necessità e da questa constatazione ottengo la tranquillità d’ animo. Ognuno di noi non deve diventare Dio perchò lo è già , ma deve rendersi conto di esserlo perchò, fin tanto che non se ne accorgerà , non sarà pienamente Dio: bisogna riuscire a diventare ciò che si è già , per dirla con Nietzsche. Ed è proprio rendendosi conto di essere Dio che l’ uomo può raggiungere l’ annientamento delle moleste passioni e dei turbamenti. Bisogna eliminare il pentimento ossia il dolore che si prova nel momento in cui si rimpiange di non essercisi comportati diversamente, avendo optato per qualcosa di peggiore: il pentimento comporta nella sua stessa natura un duplice errore: il credere di potersi comportare diversamente, quasi come se si avesse libertà di scelta è il primo grossolano errore dovuto all’ ignoranza umana: tutto avviene necessariamente e non c’ è spazio per la libertà . Il secondo errore, altrettanto grave e connesso al primo, consiste nel credere di aver scelto la via sbagliata: il primo errore è credere di poter scegliere, il secondo è pensare di poter scegliere la via sbagliata: la ” scelta ” fatta, per definizione, era quella buona, dettata dalla catena causale e necessaria. Nell’ idea di pentimento, fa notare Spinoza, è implicito il finalismo: per ottenere quello scopo mi sarebbe convenuto agire così… ma la scelta fatta è necessariamente quella giusta in termini meccanici e causali, quella che segue la razionalità del tutto: a me potrà anche sembrare di aver agito scorrettamente, ma se mi metto nell’ ottica del tutto ho agito giustamente, secondo necessità . La possibilità di peccare, ossia il lasciarsi tentare e distogliere dalla retta via per agire in modo malvagio, sembra così essere eliminata. Se il pentimento è assurdo, lo è altrettanto l’ arrabbiarsi perchò le cose non vanno come vorrei: le cose vanno secondo la razionalità del tutto e quindi nel migliore dei modi, checchò possa pensare io singolo. Tuttavia non si può fare a meno di notare come in Spinoza vi sia una convergenza tra i due significati del verbo dovere: esso implica infatti tanto una necessità ( la penna deve per forza cadere se lasciata ) quanto un’ idea di giustizia ( dovete studiare di più: non lo fate, ma sarebbe giusto che lo faceste ). In Spinoza questi due significati diversi vengono a coincidere nel senso che tutto ciò che avviene e che è giusto che avvenga, avviene necessariamente. L’ idea di razionalità spinoziana, dunque, indica che le cose non possono avvenire diversamente da come avvengono e, allo stesso tempo, che è giusto che avvengano così. Ciò che deve avvenire necessariamente coincide con ciò che è giusto che avvenga. L’ errore è dovuto all’ ignoranza e consiste nel ritenere di avere esistenza autonoma rispetto al tutto, vedendo l’ andare razionale delle cose ritenute a noi esterne da punti di vista limitati alla propria situazione, senza vedere il legame causale e necessario che lega il tutto. Io singolo individuo potrò anche valutare le cose in termini di peggio o di meglio ( sarebbe stato meglio o peggio che andasse così ), ma se guardo le cose inserite nella loro totalità universale non c’ è meglio o peggio: c’ è solo necessità e quindi razionalità . Se vivessi come ente a sò stante, allora potrei parlare di meglio o peggio, ma visto che sono un modo di essere del tutto devo vedere con una prospettiva non limitata al mio caso, devo cioò cercare di vedere la rosa nella croce, come dirà Hegel: negli apparenti mali che mi affliggono devo essere capace di vedere gli aspetti positivi, sapendo che tutto va in modo razionale e necessario e non posso fare nulla per cambiarlo: posso solo cambiare il mio atteggiamento. Tutto, per definizione, va come deve andare, razionalmente, necessariamente e quindi giustamente; noi non siamo sostanze, ma modi dell’ unica sostanza e quindi tutto quel che ci succede, se visto in modo complessivo, va bene. Ma l’ etica spinoziana presenta delle evidenti aporie, quelle contraddizioni presenti in tutte le filosofie deterministiche che pretendono di dare consigli etici: come è possibile che mi si dica come comportarmi, quando tutto procede secondo necessità e non vi è libertà alcuna? L’ etica di Spinoza è accettabile fin tanto che il pensatore ebreo si limita a descrivere il comportamento necessario dell’ uomo, ma diventa autocontradditoria nel momento in cui dà indicazioni sulle modalità di comportamento da seguire: invita l’ uomo a porsi dal punto di vista della res divina per poter così guardare le cose sub specie aeternitatis sottolineando come, propriamente, il futuro non esista proprio perchò è già nel presente: si tratta di una gnoseologia che parte dal sensibile, passa alla concatenazione causale degli eventi per poi approdare ad una conoscenza con la quale si vede tutto ciò che avviene nella realtà come espressione necessaria dell’ unica sostanza. La contraddizione sta nel fatto che Spinoza indichi il come comportarsi, come se si avesse la libertà di scegliere; Spinoza infatti invita tutti gli uomini, in quanto modi dell’ unica sostanza, a guardare le cose sotto l’ aspetto dell’ eternità per ottenere la tranquillità dell’ anima: se tutto è già deciso in maniera rigorosamente deterministica non serve a nulla dirmi come comportarmi perchò tanto è già deciso come mi comporterò. Tuttavia la teoria etica spinoziana comporta un altro paradosso, derivato dal primo: il dirmi di comportarmi così non implica solo la possibilità di una scelta, ma anche la condanna di certi comportamenti che vanno evitati: devi fare così e non cosà . Ma se non c’ è libertà di scelta perchò tutto è determinato ( la sostanza è perfetta, quindi fa solo il giusto, dunque non ha scelta: l’ uomo e un modo della sostanza ! ), non c’ è nemmeno la possibilità di condannare certi comportamenti: tutto avviene necessariamente ( non c’ è libertà ), quindi tutto ciò che avviene è un bene e comportamenti negativi, per definizione, non ce ne possono essere. Come è quindi possibile che Spinoza condanni il pentimento, la rabbia e le passioni, visto che tutto ciò che avviene è un bene? Ma se tutto avviene razionalmente è evidente che però le passioni sono ( per definizione ) qualcosa di irrazionale e ci sono perchò Spinoza dice che vanno eliminate: ma se ci sono le passioni vuol dire che forse non tutto va poi così razionalmente… L’ argomentazione spinoziana ( di esplicita derivazione stoica ) consiste nel fatto che non mi si dice come comportarmi nel senso che mi si può distogliere dal compiere un’ azione o cambiare il mio modo di operare proprio perchò tutto avviene in termini deterministici, tuttavia se mi comporto come Spinoza dice è perchò esiste la concatenazione causale dovuta al determinismo stesso: nella concatenazione causale di eventi, dunque, ci sarò anch’ io che mi comporto così dopo aver letto il suo libro. Spinoza ha poi anticipato considerazioni che staranno alla base delle pratiche terapeutiche freudiane: Spinoza sa che le passioni devono per forza essere ( per quanto possa sembrare strano ) qualcosa di razionale perchò tutto ciò che esiste ( in quanto modo dell’ unica sostanza razionale ) deve essere tale; quindi egli non promuove una loro eliminazione totale, bensì un depotenziamento: per Spinoza la cura delle passioni consiste nel rendersi conto delle motivazioni che le fanno nascere. Nel momento stesso in cui prendo coscienza dell’ origine della passione che mi tormenta, essa si smonta da sò: Freud non cercherà di eliminare drasticamente le malattie psichiche, bensì prometterà ai suoi pazienti di aiutarli a far prendere loro atto della malattia che li affligge, a far venire fuori i motivi della malattia psichica, di cui il paziente non ha ancora coscienza: capire da dove derivino le malattie è come guarirle. Così fa Spinoza con le passioni, evitando di combatterle direttamente, ma aggirandole e spiegandole come fattori naturali, necessari e razionali. Nel momento in cui spiego razionalmente la passione che mi affligge essa cessa di agire su di me e io arrivo a comprendere essenzialmente due cose: in primo luogo che essa non poteva che verificarsi, poichò tutto avviene necessariamente e in secondo luogo che è giusto che si sia verificata perchò ciò che avviene deve avvenire ed è giusto che avvenga. Questo è il succo dell’ etica spinoziana, esposta nell’ Etica dimostrata alla maniera geometrica. Va però notata una cosa: Spinoza si inserisce a pieno titolo nel filone razionalista seicentesco avviato da Cartesio; egli arriva ad esaltare ancora più di Cartesio l’ onnipotenza della ragione umana sostenendo che essa possa tutto proprio perchò la ragione dell’ uomo, che è modo della sostanza, è la stessa della sostanza stessa, ossia di Dio, il quale è, come dimostrato, infinito e totalmente razionale. Accanto allo scritto dell’ Etica dimostrata alla maniera geometrica, che è senz’ altro il più importante, ve ne sono altri in cui si occupa del miracolo, della tolleranza religiosa ( di cui è strenuo sostenitore, anche per via delle vicende personali ) e della politica. Spinoza avvia la sua discussione politica da un punto di partenza simile a quello di Hobbes per arrivare, però, non allo stato assoluto ( come Hobbes ), bensì alla democrazia, che viene ad aggiungersi al liberalismo spinoziano, emerso soprattutto nella sua profonda tolleranza religiosa. La concezione spinoziana della politica molto risente dell’ impianto metafisico: non essendovi distinzione tra “essere” e “dover essere”, non avrebbe molto senso parlare di diritto come ciò che è e ciò che sarebbe giusto che fosse proprio perchò tutto ciò che è, è giusto che sia. Nello stato di natura, la retrograda condizione che precede lo stato moderno, il diritto di ogni singolo essere si estende quanto si estende la sua potenza: tutto questo è indubbiamente coerente con la metafisica spinoziana. Già Hobbes diceva che nello stato di natura ciascuno ha diritto su tutto: lo stesso è per Spinoza, a parere del quale ogni singolo ha diritto su tutto ciò che ha la potenza di prendere per sò. Dal punto di vista metafisico il diritto su tutto, però, ce l’ ha solo la sostanza ( la res divina ) che è infinita, ha potenza infinita e quindi ha anche diritto infinito. Però gli uomini non possono avere sulle cose un diritto infinito ( come diceva Hobbes ) proprio perchò, in quanto modi, sono limitati: avendo potenza limitata, avranno anche diritto limitato. A questo punto Spinoza fa in politica lo stesso discorso che faceva nell’ etica: là occorreva abbandonare il particolare per mettersi nell’ ottica della sostanza e per vedere che tutto avviene razionalmente e quindi per ottenere la felicità da questa constatazione, che porta a superare l’ infelicità , ossia il punto di vista ristretto che prima si aveva. In politica è grosso modo la stessa cosa: abbiamo potenza e diritto limitati, ma potremmo provare ad acquisire diritto e potenza più ampi unendoci tutti insieme, sommando le nostre singole potenze e i nostri singoli diritti; come comunità , avremo maggior potenza e quindi maggiori diritti. Per far questo occorre che i singoli individui si spoglino dei loro singoli diritti e delle loro singole potenze non in favore di un terzo ( come diceva Hobbes ), ma in favore di se stessi: ognuno si priva della sua singola potenza e dei suoi singoli diritti per poi riacquisirli come comunità : non appena io cedo il mio diritto, subito lo recupero come membro della collettività , non rimane in mano ad un terzo. Anch’ io come singolo faccio parte del gruppo che detiene i diritti. Certo ci sono anche degli svantaggi: quando cedo i miei diritti di singolo per riacquisirli come collettività , non posso più fare come mi pare perchò non ne ho più il diritto, ma devo attenermi alle regole prese dalla comunità , di cui comunque faccio parte. Molto maggiore, secondo Spinoza, è il vantaggio: il diritto di cui partecipo come collettività ( proprio perchò somma di potenze ) è molto maggiore rispetto a quello di cui partecipavo come singolo. Da notare però che le leggi sono vincolanti: le leggi stabilite dalla comunità sono espressioni del volere di tutti, anche di chi non è d’ accordo: io posso non concordare come singolo, ma come membro della comunità non solo devo rispettarle, ma devo anche riconoscerle come espressione della mia volontà ; obbedendo ad esse obbedisco a me stesso perchò ho ceduto il diritto di singolo a me stesso come membro della collettività : mentre cedo il mio diritto di singolo perdo quello a fare quello che mi pare e devo agire come vuole la comunità ( come prescrivono le leggi ) ma ho acquisito un nuovo diritto: quello di determinare insieme agli altri la decisione collettiva. Cento anni dopo Spinoza, circa, Rousseau sosterrà tesi assai vicine a quelle del pensatore ebreo. Anche per Spinoza, come per Hobbes, non c’ è diritto alla ribellione perchò ribellarsi è andare contro alle decisioni prese dalla collettività , di cui io faccio parte: è come decidere una cosa e poi ribellarsi ad essa.
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