Vita Nato ad Atene nel 428(427 ?) a.C. Di nobili origini (dal padre discendente di re Codro, dalla madre di Solone, lo zio era uno dei trenta Tiranni). Il suo nome vero era Aristocle (platùs per la larghezza delle spalle o della fronte o dello stile). Per le sue origini era destinato a carriera politica: frequentò dapprima l’eracliteo Cratilo, poi studiò presso Socrate, considerato un sofista, atto a preparare i giovani. Già filoaristocratico (benchò non approvasse i 30 tiranni), fu del tutto deluso dai democratici per la loro condanna di Socrate (399 a.C.). Morto Socrate, viaggiò: a Megara, a Cirene, forse anche in Egitto, poi a Taranto, governata da filosofi (pitagorici, guidati da Archita) infine a Siracusa, dove era tiranno Dionisio I il Vecchio; Platone si riprometteva di “inculcare nel tiranno l’ideale del re-filosofo”, ma questi lo malsopportò, facendolo vendere come schiavo. Tornato ad Atene, vi fondò l’Accademia. Fece poi due altri tentativi, a Siracusa, di instaurare un sistema politico ispirato alle sue idee, sempre con scarso successo. Dal nel 360 fu definitivamente ad Atene, dove morì nel 347 a.C. opere tratti metodologici generali Come il maestro, Socrate, Platone avversava il libro scritto (cfr. il Fedro) a vantaggio della parola viva; tuttavia accettò di scrivere opere scritte, nella forma più vicina possibile al dialogo diretto: scrisse perciò delle opere in forma di dialogo. In tali dialoghi Socrate figura come simbolo della filosofia stessa, solo in alcuni dei primi dialoghi rappresentando il Socrate storico; per lo più Platone gli attribuisce il proprio pensiero. 1. Dialoghi socratici In comune Platone in questi dialoghi cerca il ti esti, l’essenza universale di dati fenomeni, respingendo le definizione degli interlocutori, che riducono le essenze a degli esempi particolari. Secondo Abbagnano il senso complessivo di questi dialoghi ò evidenziare l’impossibilità di definire singole virtù isolandole dal contesto totale: unica ò la virtù, come unico ò il sapere. Apologia di Socrate E’ il processo di Socrate accusato ingiustamente dalla democrazia ateniese. Vi emerge il compito del filosofo: ricercare la verità e la giustizia, seguendo la ragione e non il proprio interesse, e obbedendo al Divino. La vita vi ò concepita come ricerca appassionata del sapere vero e della virtù/giustizia. Le leggi, per ingiuste che possano essere, vanno sempre e comunque rispettate, mai infrante: posso battermi per farle cambiare, ma mai violarle. Critone Socrate chiuso in carcere attende di essere giustiziato. Un suo discepolo, Critone, ha trovato il metodo per farlo evadere: Socrate rifiuta. Il filosofo da un lato non deve temere di dispiacere ai più, senza dall’altro tradire la polis: la sua missione ò di essere incardinato nella città , e anche quando questa ò ingiusta (come appunto nel caso di Socrate) non deve recarle ingiustizia (come avrebbe fatto Socrate se fosse fuggito). Le leggi stesse si rivolgono a Socrate. Ione Che cos’ò l’arte. La poesia è una forma di pazzia positiva. Lachete Che cos’ò il coraggio. Socrate si proclama incapace di definirlo; spericolata è la definizione del nobile Nicia:il coraggio sarebbe ò una scienza e, come tutte le scienze, non conoscerebbe solo i mali ed i beni futuri e presenti, ma anche i passati.Il coraggio diventerebbe così scienza di tutti i beni ed i mali di tutti i tempi:sarebbe così la virtù intera. Liside Che cos’ò l’amicizia. Nessuna risposta conclusiva,ma tante ipotesi:la fiducia in una persona si fonda sulle sue competenze e ad essere amato è chi si rivela sapiente e utile;l’ amicizia può solo instaurarsi tra persone integre e corrette;ciò che non è nò buono nò cattivo è amico del buono a causa del male e in vista del bene. Carmide Che cos’ò la saggezza:il corpo si può curare solo unitamente all’anima;la temperanza potrebbe dare la felicità solo se coincidesse con la scienza del bene e del male. Eutifrone Che cos’ò la santità (Platone critica la definizione di Eutifrone che la riduceva a “fare ciò che piace agli Dei”, in base alla quale egli aveva denunciato il padre, reo di aver lasciato morire un servo, a sua volta reo di omicidio: tale definizione non raggiunge un livello di vera universalità , non considerando come gli Dei siano tra loro in lotta). Le cose sono sante non perchò piacciono agli dòi, ma piacciono agli dòi proprio perchò sono sante. 2. Dialoghi sofistici In generale Platone cerca di fondare in questi dialoghi un sapere assoluto e universale. E per far ciò affronta il pensiero dei Sofisti, che negano un criterio trascendente l’immediato: l’antirelativismo segna perciò questi dialoghi. Un altro tema, attiguo, ò quello della insegnabilità della virtù /sapere (raggiungibilità del vero). Ippia maggiore Affronta un tema analogo ai dialoghi socratici: il “che cos’ò” il bello. Vengono respinte come inadeguate le definizioni di Ippia, rimandanti a esemplificazioni particolari. La definizione deve invece essere universale, cogliere il ciò per cui una cosa ò bella. Una cosa è bella perchò partecipa all’ idea di bello. Ippia minore Il dialogo parte da un confronto tra Achille (veritiero) e Ulisse (ingannatore: mente pur sapendo il vero) e da una iniziale preferenza per Achille; alla fine però tale giudizio non ò più certo: forse ò meglio fare il male sapendolo tale, che fare il bene senza conoscerlo come tale. Dunque la conoscenza ò preferibile a ogni altro valore. Alcibiade Maggiore Si indaga sulla natura dell’ uomo. Socrate discute con il coraggioso e cocciuto Alcibiade. Alcibiade minore Che cosa è la preghiera:la miglior preghiera che si possa rivolgere agli dei ò chiedere loro di darci ciò che ò meglio. Menesseno Menesseno e Socrate si trovano a discutere:l’ occasione della discussione è data dalla annuale celebrazione dei caduti per la patria;Socrate riferisce all’ amico l’ epitafio della famosa Aspasia, che ha suscitato nobili sentimenti nell’ uditorio ateniese. Eutidemo Platone vi critica la discussione fine a sò stessa, l’eristica che vuole prevalere, non cercando disinteressatamente il vero. I bei discorsi non servono a nulla se non mirano al vero. Gorgia Vi critica la retorica, quale arte di persuadere, avente per fine il piacevole e l’utile, non il meglio e il giusto. Essa ò paragonabile all’arte culinaria, che alletta il gusto, superficialmente. Inoltre essa ò indifferente alla giustizia e conduce a considerare preferibile fare piuttosto che subire l’ingiustizia. In effetti Callicle tematizza la convenzionalità della giustizia (come leggi civili) rispetto alla naturale tendenza del più forte a dominare. Dunque la vera giustizia per lui ò la forza, la potenza; mentre le leggi sono fatte dai deboli. Sul finale compare il bellissimo mito delle Isole Beate. Protagora Quella insegnata dai Sofisti non ò virtù, ma pura abilità retorica. Il concetto di virtù di Socrate è totalmente altra cosa rispetto a quello del borioso Protagora. Menone La vera virtù, che ò sapere, ò insegnabile: non può venire dall’esperienza, mutevole e relativa, ma la possiamo ricavare dal nostro interno, ricordando. Teoria della reminescenza: nasciamo con in mente delle conoscenze, la nostra mente non è una tabula rasa. Socrate, con la maieutica, riesce a condurre uno schiavo alla dimostrazione di un teorema complesso: è evidente che era innato in lui, si trattava di ricordare. Cratilo Vi critica il verbalismo sofista, col suo uso delle parole slegato dal loro significato oggettivo. Per Platone le parole non devono essere date arbitrariamente nò deve essere la cosa stessa a suggerire il nome da darle: occorre una via di mezzo, un lavoro di ragionamento. 3. Dialoghi della maturità In essi elabora la teoria, centrale nel suo pensiero, delle Idee, quale unica adeguata a fondare l’assolutezza della verità e della virtù, e quale modello cui ispirarsi per plasmare la polis nella giustizia e per saziare il desidero individuale di assoluto bene e assoluta bellezza. Fedone Vi si affronta l’esistenza del mondo intelligibile, necessario: a) ontologicamente come perfetto, assoluto, eterno e immutabile fondamento dell’imperfetto, relativo, effimero e mutevole mondo sensibile b) valorialmente, come unica adeguata spiegazione dell’umano agire, inspiegabile meccanicisticamente (come puro urto di corpi), ma solo in riferimento a valori, a fini che lo motivano, ultimamente fondati nell’Idea. Platone vi dimostra anche l’immortalità dell’anima, in base a quattro argomenti: -dei contrari -della reminiscenza (non potremmo ricordare le Idee se non le avessimo viste, e non le avremmo potute vedere se non in una vita distaccata dal corpo, che suppone un’anima immortale) della somiglianza (l’anima ò imparentata con l’intelligibile, che ò immutabile, dunque lei pure deve essere immutabile, quindi immortale) -della vitalità (l’anima partecipa della vita: un corpo è vivo o morto a seconda che abbia o meno l’ anima. Così come il 2 partecipa all’ idea del pari e non può partecipare a quella del dispari, l’ anima partecipa all’ idea di immortale e non a quella di mortale) Simposio Vi si affronta tra l’altro il tema dell’amore. Celebre il mito di Androgino (essere al contempo maschile e femminile, la cui divisione ò all’origine della attrazione sessuale) e la scala gerarchica di ascesa verso la Bellezza: dai corpi belli, alla bellezza delle anime, poi delle leggi, della scienza e infine il Bene-in-sò. La bellezza è l’ idea che meglio filtra nel mondo sensibile: vedendo la persona amata si contempla il bello in sò e l’ anima viene colta dall’ amore. Repubblica à l’opera centrale di Platone, in cui sono affrontati tutti i principali temi della speculazione platonica, da quello gnoseologico a quello ontologico, da quello estetico a quello politico. Fondamentale il mito della Caverna. Importanti le tesi politiche, con la delineazione di una città ideale, retta da una assoluta Giustizia. Al potere sono i filosofi, totalmente distaccati dalle ricchezze e dalle cose materiali: essi contemplano l’ idea di Bene e cercano la felicità dello Stato. Mito di Er: l’ anima è immortale, i giusti verranno premiati, gli ingiusti puniti; la nostra vita in fondo ce la scegliamo. Fedro Vi si tratta soprattutto della ascesa dell’anima verso il mondo intelligibile. Difesa dell’ oralità a discapito della scrittura con il mito di Teuth: la scrittura,inventata per non far dimenticare le cose, in realtà le fa dimenticare perchò se posso scriverle non devo più ricordarmele. Platone descrive l’ anima umana: essa è come una biga alata guidata dall’ auriga (la ragione), un cavallo bianco (le passioni sublimi) e un cavallo nero ( le passioni turpi). Esaltazione dell’ eros e stoccata alla retorica che promuove discorsi belli ma falsi. L’ amore è la via per contemplare l’ idea di bello. 4. Dialoghi della vecchiaia Platone vi stempera il rigoroso dualismo mondo intelligibile/mondo sensibile proprio della maturità , recuperando il valore del concreto (metafisicamente nel Parmenide e nel Sofista, cosmologicamente nel Timeo, eticamente nel Filebo, politicamente nel Politico e nelle Leggi), senza peraltro abdicare all’antirelativismo. Parmenide Critica l’unità assoluta dell’essere di Parmenide: comporterebbe infatti la negazione del sensibile e non potrebbe essere nò pensato nò detto (implicando ciò, rispettivamente, molti concetti e molte parole). Ma anche autocritica di Platone alle idee: contrasto tra il valore ontologico e quello assiologico delle idee; confutazione delle idee con l’ argomentazione del terzo uomo. Sofista Accanto all’essere e al non-essere, a cui si fermava Parmenide, occorre introdurre altri concetti, come fondamentali, ossia: essere quiete identico movimento diverso L’ammissione del diverso (per cui ogni Idea non ò le altre) e del movimento (come tensione dinamica da Idea a Idea) scardinano le basi dell’eleatismo. Si introduce così il concetto di essere come potenza, possibilità (sviluppato poi da Aristotele), e come relazione (si conosce solo relazionando una Idea con le altre: vi ò una dialettica tra le idee, per cui ogni Idea richiama il suo opposto, in organica connessione. Definizione di essere come dunamis: esiste tutto ciò che può compiere o subire azioni. Critica ai materialisti ( Democrito) che vogliono l’ esistenza solo delle cose materiali: se così fosse non dovrebbe esistere la giustizia, ma come faremmo a dire che una cosa è giusta ? Critica anche agli amici delle idee che vogliono le idee stabili e statiche: Platone stesso in gioventù le aveva intese così. Il mondo delle idee è vivo e vivace: le idee hanno rapporti reciproci: ogni idea partecipa all’ idea di essere perchò ò (esiste) e a quella di diverso perchò è se stessa,ma è diversa dalle altre. Ogni idea addirittura partecipa all’ idea di non-essere: ciascuna è se stessa ma non è le altre: parricidio dell’ ontologo Parmenide: il non essere esiste: dire “un libro non è una penna” non vuol dire affermare che il libro non esiste, bensì che è qualcos’ altro rispetto alla penna. Così facendo Platone ammette la possibilità dell’ errore. Filebo Vi si incontra un influsso pitagorico, con valorizzazione dell’idea di misura: tanto a livello ontico quanto a livello etico. Vi distingue quattro categorie supreme: 1)il peras (limitante) [cfr. la forma aristotelica]; 2)la causa intelligente; 3)il misto [cfr. il sinolo aristotelico]; 4)l’apeiron (illimite); Ciò, a livello morale, significa che l’uomo, nò dio, nò bestia, deve agire con misura, ponendo un limite (ordine razionale) all’illimite del piacere, dell’istintività immediata (non tutti i piaceri sono leciti), ottenendo così una vita mista (nò divina, nò animalesca), armonica ed equilibrata. Teeteto Dialogo matematico. Vi critica la gnoseologia sofista che fonda il sapere sulla sensazione mutevole e soggettiva, sganciandolo dalle Idee. Anche qui si ridicolizzano le tesi sofistiche e si ammette la possibilità dell’ errore. Omoiosis theò (assimilazione a Dio): raggiungere una tale perfezione da diventare tutt’ uno con la divinità . Timeo Dialogo fisico.Vi espone una cosmologia che in qualche modo rivaluta il mondo sensibile, voluto da un essere divino buono, ma di potenza non infinita, il Demiurgo, che avrebbe cercato di infondere nella materia preesistente, la chora, il massimo grado possibile di somiglianza al mondo intelligibile. Il Demiurgo è limitato dalle idee (deve imitarle) e dalla materia (che oppone resistenza). Il mondo ha appunto un padre (il mondo delle idee) e una madre (la materia). Le prime cose da lui plasmate sono i 4 solidi regolari (cubo,ottaedro,tetraedro,icosaedro) che rappresentano i 4 elementi. Risposta alla domanda “che cosa è il tempo”: imitazione dell’eternità ,non a caso ritorna sempre su se stesso. Concetto di anima del mondo:il mondo delle idee abbiamo detto che ò movimentato, intelligente, vitale: il mondo sensibile, nella misura in cui il Demiurgo lo plasma, non può che essere simile a quello intellegibile: ha un’ anima sua.L’Universo ò un grande essere vivente. Politico Vi si riaffronta la tematica politica, stemperando il carattere utopico del progetto della Repubblica. La cosa pubblica viene vista ora con maggior realismo. Il politico deve sapere la misura per mescolare bene i diversi “strati” sociali. Le leggi sono quasi un male necessario che si introducono in assenza del politico perfetto; ma proprio perchò in assenza di un politico perfetto diventano indispensabili. Crizia Mito di Atlantide,la città rivale di Atene affondata per la tracotanza dei suoi abitanti. Leggi Si tratteggia lo Stato Secondo, prendendo il meglio di tutte le forme di governo. INTERPRETAZIONI PRINCIPALI Schematizziamo senza pretesa di completezza aluni momenti- cardine della recezione del pensiero platonico. a) in età antica: Aristotele e la prima Accademia privilegiano il Platone metafisico delle Idee; b) il neoplatonismo, la Patristica e il Medioevo, come molti rinascimentali, sottolinearono la componente mistico-religiosa di Platone (l’Idea del bene-Uno identificata a Dio, e una idea di ascesi accostata a quella cristiana); c) nell’Ottocento si scopre l’evoluzione del pensiero platonico: ad opera di Hermann (nel 1839), L.Campbell (fine ‘800) e soprattutto del suo discepolo Lutoslawski (Londra 1897), che inventò il criterio stilometrico. d) nel Novecento si verificò una esplosione di studi platonici: IL SENSO DELLA FILOSOFIA DI PLATONE(il suo pensiero in sintesi) Una esigenza di spiegazione totale della realtà (una serietà fondamentale nei confronti del problema dell’esistenza) una consapevolezza che tale spiegazione non ò facile, banale, immediata: di qui l’importanza della ricerca, e quindi il dialogo e il mito. la realtà vera non ò il mondo che ò oggetto della sensazione, mutevole e imperfetto, ma una realtà immutabile e perfetta, che può essere affermata solo dal pensiero: il mondo intelligibile; tale realtà deve esistere, altrimenti non si spiegherebbe a) perchè noi pensiamo in base a delle categorie di perfezione e di stabilità , non si spiegherebbe insomma perchè abbiamo in noi una conoscenza, un sapere immutabile e perfetto (quale la matematica o la filosofia); b) non si spiegherebbe il movente adeguato della realtà umana (meccanicisticamente inspiegabile) tale mondo intelligibile non va inteso come esangue concettualità puramente mentale, ma al contrario esso ò vera realtà , anzi la vera realtà , assoluta, stabile e perfetta (Cratilo), immutabile (Fedone), essere in senso pieno (Repubblica): ò semmai il mondo sensibile e materiale ad essere una realtà imperfetta e relativa, ombra e copia delle Idee (cfr. il mito della caverna); il mondo delle Idee ò strutturato in modo gerarchico: al suo vertice vi ò l’Idea del Bene (Repubblica) seguono le idee dei valori (giustizia, etc.) e le idee-matematiche alla base della piramide stanno le Idee delle cose sensibili anche perchò richiamati dal mondo sensibile, che ò imitazione (mimesi) e partecipazione (metessi) del mondo intelligibile, perfetta e assoluta bellezza… in noi c’ò il desiderio di raggiungere tale mondo, intelligibile (o mondo delle idee): siamo infatti “imparentati” con esso, la nostra più vera essenza ò l’anima, che ò spirituale e immortale come le idee; infatti l’anima preesiste al corpo, e non ò distrutta alla morte del corpo; in essa alberga una memoria (reminiscenza o anamnesi) delle idee (viste nei periodi di distacco dal corpo e di contemplazione del mondo intelligibile), e un desiderio (eroV) di esse, memoria e desiderio accesi dalle cose, che delle idee sono imitazione (mimhsiV) e partecipazione (metexiV). in particolare il desiderio (eroV) che spinge l’anima a risalire verso il mondo intelligibile e la sua bellezza, ò visto (miticamente) come figlio di Penìa (Povertà ) e Poros (Ricchezza): nasce da un non pieno possesso di ciò a cui aspira (povertà ), pur implicando una certa partecipazione (ricchezza) ad esso. Così come la attrattiva sessuale implica una originaria unità , successivamente scissa e di cui si cerca una ricostruzione (mito di Androgino, nel Simposio, in cui si teorizza anche la ascesa attraverso la scala della bellezza). oltre alla ascesa dell’eros vi ò quella della conoscenza: dai gradi inferiori si risale al vertice del sapere (pistis, eikasia, dianoia e noesis sono le quattro fondamentali tappe). Non solo l’individuo aspira alla perfezione del mondo intelligibile, ma anche la polis, la collettività deve cercare di conformarvisi il più possibile (ò il tema delle opere politiche di Platone, che teorizzò una società utopica, quale massima imitazione della perfezione intelligibile). SPECIFICAZIONI Metafisica Per Platone la realtà vera, come già detto, non ò il mondo materiale, sensibile, ma il mondo delle Idee. Sembrerebbe esserci una somiglianza in ciò con l’idealismo, con Hegel, ma ò opportuno evidenziare una differenza notevole. A differenza di Hegel, che assorbe tutto nel Pensiero umano, suo Dio, totalità onniavvolgente, Platone ritiene che il pensiero umano deve conformarsi a una Oggettività che lo precede e misura. Se per Hegel il pensiero umano (sia pure non quello individuale) ò misura di tutto, per Platone il pensiero ò misurato, ò dipendente dalla Oggettività del mondo intelligibile. Parallelamente, mentre per Hegel il finito ò inconsistente, contraddittorio, si risolve esaurientemente nell’Infinito, Platone riconosce al mondo sensibile, pur ombra dell’intelligibile, una certa consistenza reale. In questo senso, pur differenziandosi dalla cultura cristiana, che vede l’Oggettività suprema nel Soggetto Trinitario, nel Tu tripersonale del Mistero Infinito, e non in una schiera di idee impersonali e finite, e che riconosce una piena consistenza reale a quel finito, in cui il Figlio ha voluto incarnarsi, valorizzandone ogni minimo dettaglio, Platone ò comunque più vicino al Cristianesimo di Hegel. Le idee Abbiamo detto che non sono da intendere nel senso corrente, di concetti, presenti (solo) nella nostra mente: eidos, idea indicano invece una struttura ontologica, l’essenza intelligibile delle cose (a partire dal senso più immediato del termine, che indica la figura esteriore, si risale al senso di intimo costititutivo, il ciò-per-cui una realtà ò quella realtà ). Aristotele le intendeva come ipostatizzazione di concetti, ma l’intenzione di Platone, secondo G.Reale, era piuttosto quella di affermare, contro il relativismo sofistico e il mobilismo eracliteo, l’esistenza di un livello della realtà assoluto e immutabile. Le idee sono comprensibili in rapporto alle cose sensibili, come dal seguente schema: cose idee relative assolute (in sò) mutevoli immutabili (se mutassero le cause, non vi sarebbero causati) essere in senso derivato e partecipato essere in senso pieno, non partecipato visibili, sensibili invisibili corruttibili (nascono e muoiono) eterne A differenza di Parmenide, a cui pure Platone deve molto (come la contrapposizione tra doxa, apparenza sensibile, e aletheia, verità intelligibile) la realtà vera, pur eterna e immutabile, non ò assolutamente una, bensì molteplice. Certo ò una molteplicità non caotica, ma organizzata, quindi in qualche modo unificata, facente capo ad una Idea suprema (il Bene-in-sò). Negli ultimi dialoghi (come il Parmenide e il Sofista Platone tematizza l’impossibilità di una unità (monolitica) come la pensava Parmenide: l’uno non può essere senza i molti, l’identico non può essere senza il diverso. Le dottrine non scritte Recenti studi hanno dato ampio spazio a quanto Platone non avrebbe scritto, ma trasmesso oralmente ai suoi discepoli. Si tratterebbe di dottrine in cui molto forte sarebbe l’influsso pitagorico e l’importanza dei numeri. Al vertice della realtà vi sarebbero l’Uno e la Diade (grande-piccolo), l’Uno essendo il principio di ordine e di misura, e la Diade essendo una sorta di informe materia intelligibile. Da tali due fattori supremi deriverebbero dapprima le idee-numeri, poi le Idee vere e proprie, con la loro interna gerarchia già sopra accennata; tele mondo itelligibile costituirebbe nel suo insieme un principio di limite (limitante) che si unirebbe poi (grazie al Demiurgo) all’illimite della materia sensibile per dar luogo al mondo sensibile che noi conosciamo. La cosmologia e il Demiurgo Come ricordato parlando del Timeo, il mondo sensibile non ò stato creato (dal nulla), ma plasmato da una materia preesistente, la chora. Il mondo corporeo non ò stato creato: perchò ill divino per Platone non ò Infinito, non ò Onnipotente, ma ha una perfezione limitata, finita. Divine sono le Idee, ma sono impersonali, intelligibili, ma non intelligenti (per Platone l’intelligibile ò superiore all’intelligenza, perchò la regola e la misura e non ne dipende), non sono dei “TU”, centri di consapevolezza e di libertà (il Bene ò theion, non theos), e inoltre non possono generare che Idee (secondo una tesi comune al pensiero greco, per cui il supremo non può “abbassarsi” verso l’inferiore); e divino ò il personaggio del Demiurgo, meno perfetto delle Idee, ma essere personale, buono e perfetto (finitamente). Il Demiurgo trova la materia già esistente, come qualcosa di indeterminato, inintelligibile, oscuro, informe, caotico, retto da cieca necessità , quale spazialità “ricettacolo di tutto ciò che si genera, quasi una nutrice”. Tale materia, più consistente in un certo senso di quella aristotelica, che ò puro principio, non ò il non essere, ha una sua realtà . Tale chora ò fattore di relatività , di instabilità , di fenomenicità . Il Demiurgo non può azzerarne tali caratteristiche negative, che non lui ha creato; cerca però di attutirne al massimo la negatività , infondendo in essa una somiglianza e una partecipazione delle Idee. Da tale opera di plasmazione esce, dal caos che precedeva, un cosmos, quanto più possibile armonico e ordinato. Il male che ancora sussiste nel cosmo, consistente essenzialmente in un disordine, in una irrazionale disarmonia, non ò dovuto all’azione plasmatrice del divino, ma alla resistenza opposta dalla materia caotica, che non ha potuto essere totalmente piegata e vinta. La dottrina cosmologica imperniata sul mito del Demiurgo può essere vista nel senso di una rivalutazione del mondo sensibile, e di una superamento della negazione parmenidea del molteplice: i fenomeni molteplici hanno un certo essere, una certa realtà , un essere imperfetto e frammentato, ma diverso dal puro non-essere. Ne segue anche che la conoscenza del mondo sensibile, la doxa, pur non essendo piena verità , aletheia, non ò nemmeno assoluta ignoranza. Platone paragona il mondo sensibile a un vivente perfetto, anzi a una sorta di “dio visibile”, in quanto plasmato dal Demiurgo; di questo dio visibile il corpo ò il mondo, e l’anima ò estesa a tutto il mondo, permeandolo e contenendolo, secondo proporzioni e intervalli numerici di una scala musicale. Oltre al dio visibile dell’ambiente terrestre, il Demiurgo ha plasmato anche altri dòi visibili: gli astri, di puro fuoco, gli dòi della tradizione, a cui ha affidato di completare la generazione della realtà visibile, plasmando ciò che perisce (e che Egli non può forgiare) e affidando loro, da infondere nei corpi mortali… le anima umane incorruttibili. Il tempo: ò immagine mobile dell’Eterno, ed ò nato con il cielo. Il cosmo ha avuto un inizio (con l’opera del Demiurgo), ma non ha termine, ò incorruttibile. La conoscenza Che cosa non ò conoscenza vera? Soprattutto nel Teeteto Platone sviluppa la sua gnoseologia “negativa”, chiarendo che cosa non sia vera conoscenza: Essa non ò percezione sensibile: questa infatti ò proporzionata al suo oggetto, che ò continuamente mutevole e relativa al soggetto individuale (ciò che io vedo, nella misura in cui ò un dato sensibile, lo vedo solo io); la sensazione ò perciò mutevole e relativa (mentre la vera conoscenza deve essere assoluta e immutabile). Inoltre se la sensazione fosse vera conoscenza si andrebbe incontro alle seguenti obiezioni: nessuno potrebbe essere più saggio di un altro (perchò ognuno sarebbe misura della sua saggezza); mentre l’esperienza ci dice il contrario; i ricordi non sarebbero conoscenza (non essendo qualcosa di visto), mentre tutti concordano che lo siano; La verità ò che vi sono verità non date dalla sensazione (come quelle matematiche). Essa non ò nemmeno semplicemente “giudizio vero”, che può esserci anche senza giudizio delle cose (ad esempio un tribunale può giudicare innnocente uno che lo ò davvero, ma per vie puramente casuali-esteriori, non conoscitive: come per la abilità del suo avvocato, quando invece tutti gli indizi fossero contro di lui); in questo caso si ha solo una opinione vera. essa non ò neppure “giudizio vero accompagnato da ragione”, se per ragione si intenda o una spiegazione parziale, o una pura enumerazione di fattori, senza coglierne l’unità e la radice comune, o infine la enucleazione delle note distintive individuali (rimanendo sempre a un livello esteriore-superficiale). La conoscenza vera deve essere immutabile e assoluta, e deve cogliere un dato universale e definibile in modo chiaro e stabile. Come si ottiene la conoscenza vera Per Platone, come ricordato sopra, non può essere la sensazione a darci il sapere assoluto: questo deve venire da un oggetto assoluto, che abbiamo potuto vedere solo quando l’anima non era legata al corpo, ma contemplava il mondo intelligibile. Perciò conoscere ò ricordare quanto si ò già visto, nel mondo intelligibile, l’iperuranio. La vera conoscenza ò anamnesi, reminiscenza. Conoscere in modo vero e assoluto ò far riemergere ciò che già sappiamo. à soprattutto nel Menone che Platone precisa queste sue tesi. L’anima, prima di unirsi a un corpo ò stata in contatto diretto con il mondo intelligibile, con le Idee (l’anima non viene creata contestualmente al concepimento di un nuovo individuo, ma trasmigra, reincarnandosi in successive vite corporali: Platone fa propria la metempsicosi, già affermata dai pitagorici). Nel Menone egli parla appunto di uno schiavo così chiamato che, del tutto ignaro di geometria, giunge a dimostrare il teorema di Pitagora: a prova che le verità matematiche (e in generale le verità assolute) non sono ricavate dall’esterno, dall’esperienza sensibile, ma sono tratte dall’interiorità , dal di dentro, dall’anima, che ricorda ciò che ha visto e sapeva quindi già , ben prima che l’esperienza glielo richiamasse. Anche nel Fedone egli dimostra che gli oggetti di conoscenza più perfetti (come quelli matematici) non possono venire dai sensi (dato che nessun oggetto sensibile ò perfetto) nò essere creati dal soggetto, che invece li “trova”: perciò devono essere già presenti nell’intimo della mente, e ricordati in occasione della sensazione. La conoscenza vera dunque ò ricavata in qualche modo a-priori, non ò data dalla sensazione; tuttavia a differenza di Kant tale a- priori non ò qualcosa di soggettivo, ma ò impresso in noi dalla Oggettività delle Idee, che esistono “prima e fuori” di noi. Come tutto il grande pensiero classico, anche Platone si inchina di fronte alla Oggettività misurante, che precede e trascende il soggetto umano. Nella Repubblica e in dialoghi successivi Platone delinea la ascesa alla conoscenza dell’intelligibile mediante la dialettica, procedimento insieme discorsivo e intuitivo, che coglie le Idee e i loro nessi: a) risalendo dalle idee inferiori verso quelle superiori fino al “vertice” del Bene in sò (d. ascensiva, da alcuni accostata al metodo socratico e al momento dell’ipotesi in matematica), b) discendendo poi col dividere le idee particolari contenute nelle idee generali, e stabilendo così i gradi della gerarchia intelligibile (d. diairetica o discensiva). Interpretazioni riduttive Capita su alcuni manuali scolastici di leggere interpetazioni a dir poco riduttive, eco di una cultura marxista che, pur sconfitta sul campo della politica, tende a perpetuarsi in ambito accademico-educativo. In che cosa consiste la riduzione? Nel fare dell’interesse per la politica l’interesse non solo prevalente e centrale in Platone (tesi tutt’altro che pacifica), ma addirittura l’unico ed esclusivo. Tagliando così completamente fuori la componente metafisica, la ricerca platonica del’assoluto, che ha dei riverberi sulla politica solo perchè prima di tutto interessa la ragione e il cuore dell’uomo, assetato di significato pieno e totale. In Platone invece esiste una forte componente metafisica, che a nostro avviso (alla scuola di studiosi di riconosciuto valore come Giovanni Reale, E.Berti, che pur da forte rilievo alla componente politica, e altri) ò addirittura centrale.
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