De humatione et sepultura Socrates quid senserit, apparet in eo libro in quo Plato eius mortem descripsit. Cum enim de immortalitate animorum disputavisset et iam mortis tempusurgeret, rogatus a Critone quem ad modum sepeliri vellet, dixit: Multam vero operam, amici, frustra consumpsi: Critoni enim nostro manifestum nondum est me hinc avolaturum esse neque mei quicquam (niente di me) relicturum esse. Durior Diogenes, eadem is quidem sentiens, sed ut Cynicus asperius, proici se iussit inhumatum. Tum amici: Volucribusne et feris?; is respondit : Quomodo mihi, nihil (nulla, acc.) sentienti, ferarum laniatus nocebit?. Praeclare Anaxagoras, qui, cum Lampsaci mortem occumberet, quaerentibus amicis velletne (congiuntivo imperfetto del verbo irregolare volo) Clazomenas, in patriam, auferri (inf. Pres. Passivo da Aufero), dixit: Minime: undique enim ad inferos tantundem viae est.
Versione tradotta
Ciò che Socrate pensò sulla sepoltura e sulla tumulazione, è scritto in quel libro dove Platone parla della sua morte (Fedone). Poiché parlava dell'immortalità delle anime e già era tempo di morire, chiese Critone come volesse essere sepolto, e disse: "Amici, molte cose in verità ho fatto senza voglia: il nostro Critone infatti non sa bene che io me ne volerò via di qua e non lascerò niente di me". Più duro Diogene, sentendo la stessa cosa, ma, essendo Cinico, rispose che ordinò di essere inumato. Allora gli amici: (Volucribusne?); egli rispose: "Che cosa mi nuocerà, che io possa sentire?" Il famosissimo Anassagora, che, vedendo la morte di Lampsaco, voleva essere portato via dagli amici da Clazomene, disse: "Per nulla: infatti agli inferi c'è dovunque una strada che porta in ogni luogo".
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