Roberto Ardigò nacque a Casteldidone (Cremona) nel 1828 e morì a Mantova nel 1920. Ordinato sacerdote nel 1851, smise l’abito ecclesiastico nel 1871. Insegnò storia della filosofia a Padova dal 1881 al 1920. Morì suicida. Fu il più insigne rappresentante del positivismo italiano: abbandonò il sacerdozio e la fede sotto l’influenza della tradizione razionalistica rinascimentale (il suo primo scritto ò su Pietro Pomponazzi, uno degli eroi della filosofia rinascimentale appunto). Sostenne l’esclusivo valore della realtà fenomenica e accettò il principio evoluzionista che vuole la morale prodotta dalla convivenza; tra le sue opere meritano di essere menzionate La psicologia come scienza positiva (1870), La formazione naturale nel fatto del sistema solare (1877), La morale dei positivisti (1879), L’inconoscibile di Spencer e il positivismo (1883), Il vero (1891), La ragione (1894). Alla base della filosofia ardigoiano sta una teoria della sensazione di tipo empiristico, che collega la “formazione delle idee” alle “rappresentazioni sensibili”, attraverso una loro “confluenza” e un correlativo “passaggio dall’indistinto al distinto”. Da questa premessa Ardigò ricava pure conseguenze metodologiche e gnoseologiche. Le idee devono essere provate sui fatti e i fatti si danno nella sensazione; quindi anche la scienza deve confrontarsi coi dati sensibili e coll’esperienza diretta. Correggendosi e crescendo secondo questo metodo positivo che si oppone ad ogni apriorismo e ad ogni assolutizzazione. Si ha così la centralità de “fatto” che ha una propria realtà per sè: ” una realtà inalterabile, una realtà che noi siamo costretti ad affermare tale quale ò data e la troviamo coll’assoluta impossibilità di toglierne o di aggiungerci nulla. Dunque il fatto ò divino “. Questa divinizzazione del fatto esprime in modo assai caratteristico quella che ò la metafisica positiva (o positivistica) di Ardigò. In accordo con la regola fondamentale del positivismo, Ardigò ritiene pertanto che ogni sapere si debba fondare sui dati di fatto. Questi ultimi devono successivamente essere connessi da leggi, ma tra gli uni e le altre rimane comunque un divario epistemologico: solo il fatto ò definitivamente e assolutamente certo, mentre le leggi, dipendendo dalla ricerca umana, sono passibili di continua revisione. L’ordinamento dei fatti in base a leggi consente di giungere a considerare la realtà come un unico, grande sistema generale di fatti. A questo sistema, che raccoglie in sè in maniera unitaria e indissolubile sia i fatti fisici sia quelli psichici, diamo il nome di natura, nello stesso senso totalizzante con cui questo termine fu usato nel Rinascimento italiano. Mentre le singole discipline si occupano degli specifici ambiti di fatti e delle generalizzazioni relative a cui essi possono condurre, la filosofia ha per oggetto appunto l’intero sistema dei fatti, ovvero l’intera natura, che costituisce il limite assoluto e definitivo della conoscenza umana. Per questo assume in Ardigò il nome di peratologia, o scienza del limite (dal greco peraV, “limite ultimo”). L’autore che ha più influito sul pensiero di Ardigò ò Spencer, dal quale egli accoglie l’estensione del principio dell’evoluzione alla realtà intera. Ardigò apporta, tuttavia, un’importante correzione alla concezione spenceriana dell’evoluzione, riconducendo le tre determinazioni che la caratterizzavano ad una sola: il passaggio dall’indistinto al distinto. Ciò ò dovuto al fatto che, mentre Spencer, seguendo Darwin, aveva derivato la sua teoria evolutiva dall’ambito biologico, Ardigò la modella invece sui processi psicologici. Nella sensazione si percepisce dapprima qualcosa di complessivo e di indistinto: solo in un secondo momento la coscienza distingue tra un soggetto (o un “Me”). Questo processo di progressiva distinzione vale però per l’intera natura, la quale non ò che una continua successione di momenti più distinti a momenti meno distinti. Ogni distinto ò ovviamente a sua volta un indistinto per il distinto successivo, così che il processo non ha mai termine. In questo modo ò ricuperabile la nozione di infinito, che non indica altro che l’inesauribile indistinto che non ò ancora distinto, cioò appunto finito. Non ò invece accettabile (ed ò questa la seconda presa di distanza di Ardigò dal suo ispiratore) la concezione che Spencer aveva dell’Inconoscibile, inteso come una realtà prima al di là delle nostre possibilità di conoscenza. Ardigò obietta che l’Inconoscibile non esiste, così come non esiste il noumeno kantiano. Si può parlare soltanto di ignoto, cioò di ciò che finora non ò stato spiegato dalla scienza, ma che ò necessariamente destinato a diventare noto con il progressivo svilupparsi della nostra conoscenza scientifica. Sempre in ottemperanza ai canoni del positivismo, Ardigò ritiene che tutti i fenomeni siano determinati da leggi necessarie. Accanto alla necessità della legge egli riconosce tuttavia anche la presenza del caso nella natura. Infatti, se ogni serie causale ò assolutamente determinata nei suoi passaggi interni, rimane indeterminato il rapporto tra le singole serie legali che si incontrano in tempi e modi assolutamente casuali. In qualche modo, quindi tutti gli aspetti della realtà sono prodotti dal caso; a questa regola non fa eccezione neppure il pensiero umano. Questa correzione del determinismo positivistico mediante l’inserimento del caso non impedisce tuttavia ad Ardigò di sostenere il carattere progressivo, e quindi razionale, dell’evoluzione cosmica, la quale, malgrado dell’incontro casuale delle serie casuali procede necessariamente verso gradi sempre più alti di distinzione. Il determinismo ardigoiano interessa anche i comportamenti umani, escludendo ogni possibilità di libertà del volere. Pertanto, la morale non può essere concepita come un insieme di norme che possono essere liberamente scelte o rifiutate dal soggetto agente. Al contrario, i valori etici sono il frutto del condizionamento della società , che coarta gli individui per reprimere la loro pericolosità sociale e per indirizzarli verso comportamenti collaborativi. Queste norme sociali, tuttavia, sono state con il tempo completamente interiorizzate dagli uomini e si sono quindi tradotte in principi ideali o, come Ardigò si esprime, in idealità umane. Appartengono ad esse, ad esempio, i valori della famiglia e della giustizia, la fede in un “diritto naturale” (che non ò che l’introiezione dei fondamenti del diritto positivo) o gli stessi princìpi evangelici. Nella Psicologia come scienza positiva, il filosofo mantovano analizza la sostanza psicofisica del soggetto umano, dalla cui unità si vengono individuando, per successive distinzioni, le varie determinazioni del reale. In particolare Ardigò analizza il “me” (soggetto) e il “fuori di me” (oggetto) che divengono i princìpi capaci di organizzare i poli fondamentali della nostra esperienza (psichicità e materia) attraverso una sintesi che ò rivolta verso l’io oppure verso l’esterno (autosintesi o eterosintesi). La stessa realtà naturale ò concepita da Ardigò come materia-forza universale che si organizza secondo la legge del passaggio dall’indistinto al distinto. Con La formazione naturale nel fatto del sistema solare (1877) i risultati di riflessione psicologica ardigoiano vengono generalizzati a tutto l’universo. Nel mondo non resta nulla di “in conoscibile” come invece affermava Spencer. L’inconoscibile ò soltanto l’entificazione di ciò che ò sconosciuto qui e ora, ma che ò virtualmente conoscibile dall’uomo e successivamente, di fatto, conosciuto. L’opera di Ardigò che ha suscitato forse più attenzione e più consensi, anche in tempi recenti, ò stata La morale dei positivisti (1879) nella quale il positivismo ardigoiano esibisce il suo risvolto antropologico e il suo progetto di fondare sociologicamente l’etica. Contro ogni riduzione materialistica, l’etica di Ardigò tende in particolare a valorizzare il ruolo centrale e positivo degli ideali: essi, pur non essendo empiricamente reali, guidano e regolano l’agire umano. Provata l’esistenza della libertà come autonomia dell’uomo fondata sulla “idealità ” volontà come libero arbitrio, attraverso il quale l’essere umano “disegna tipi di cose e di operazioni, che non si trovano nella natura”, Ardigò afferma l’esistenza di valori che chiama “idealità “, e ne sottolinea la convergenza in un fondamentale ideale sociale: ” l’atto umano per eccellenza ò l’atto determinato dalla idealità sociale; e tutti gli atti liberi dell’uomo [â¦] rivestono lo stesso carattere di umani in virtù della loro dipendenza da quella idealità [â¦]. E siccome dire atto umano ò come dire atto morale, così nella idealità sociale in discorso ò tutta la ragione della moralità ” ( La morale dei positivisti, V, 3, I).
- 1800
- Filosofia - 1800