Anche nei confronti della cultura romana il popolo ebraico presentò la sua ostilità che contribuì all’affermazione di una vera e propria letteratura antisemitica che già si era affermate a partire dal III secolo a.C.
Le pagine delle Historiae tacitiane rappresentano un importante documento storiografico che meglio ci fa capire i motivi che alla base di questa aspra ostilità.
Delle Historiae ci restano solo i libri I-IV, parte del V e alcuni frammenti. Secondo la testimonianza di san Girolamo, le Historiae formavano un’unica opera con gli Annales. La sezione superstite di tale opera copre per intero l’anno 69 e una parte del 70 a.C. e dedica la sua narrazione all ’ ”anno dei quattro imperatori” e l’assedio posto da Tito alla città di Gerusalemme.
L’atteggiamento di intolleranza nasceva dalla “diversità” degli ebrei, dal loro profondo attaccamento alle credenze e alle pratiche religiose nazionali, dal rifiuto di farsi assorbire dai popoli e dai regni vicini, da quando nel VI secolo aveva avuto inizio la così detta “diaspora” .
Il rigido monoteismo degli ebrei li rendeva, in effetti, un eccezione in mezzo a popoli che adoravano decine di dèi e che alimentavano il pluralismo religioso.
A Roma l’esistenza di una comunità ebraica è attestata a partire dalla metà del II secolo a.C.: infatti nel 139 è registrata la prima cacciata degli ebrei dalla città. I romani erano in genere abbastanza tolleranti nei confronti delle religioni straniere avevano anche approvato una serie di provvedimenti che difendevano la libertà di culto di tale religione, ma ciò che non veniva da loro ammesso era il proselitismo. Proprio di questo furono accusati gli ebrei quando vennero espulsi dall ’ Urbe la prima volta e anche le altre due, nel 19 d.C. e durante il regno di Claudio. In quest’occasione si aggiunsero anche i disordini nati dal conflitto con i cristiani.
Le notizie che ricaviamo da questo lungo excursus tacitiano sono estremamente imprecise, in alcuni casi palesemente false; l’avversione e il disprezzo dello storico alimentano la sua diffidenza, che non si ferma neanche di fronte alle contraddizioni più evidenti. Persino i capitoli dedicati alla geografia non mantengono quel distacco che l’argomento richiederebbe: il quadro che ne emerge è quello di un paese malsano e inospitale, che anche nelle zone fertili presenta mostruosità e stranezze contrarie alle leggi di natura. L’excursus comincia nel capitolo i, che dopo aver delineato il carattere di Tito, elenca le forze militari a sua disposizione per poter compiere l’assedio della città:
Capitolo I
Eiusdem anni principio Caesar Titus, perdomandae Iudae delectus a patre et privatis utriusque rebus militia clarus, maiore tum vi famaque agebat, certantibus provinciarum et exercituum studiis. Atque ipse, ut super fortunam crederetur, decorum se promptumque in armis ostendebat, comitate et adloquiis officia provocans ac plerumque in opere, in agmine gregario militi mixtus, incorrupto ducis honore. Tres eum in Iudea legiones, quinte et decima et quinta decima, vetus Vespasiani miles, excepere. Addidit e Syria duodecimam et adductos Alexandria duoetvicensimanos tertianosque; comitabantur viginti sociae cohortes, octo equitum alae, simul Agrippa Sohaemusque reges et auxilia regis Antiochi validaque et solito inter accolas odio infesa Iudaeis Arabum manus, molti quos urbe atque Italia sua Quemque spes acciverat occupandi principem adhuc vacuum. His cum copiis finis hostium ingressus composito agmine, cuncta explorans paratusque decernere, haud procul Hierosolymis castra facit.
Ecco come narra la conclusione dell’assedio e la presa di Gerusalemme un contemporaneo di Tacito, ovvero Flavio Giuseppe, ebreo fatto prigioniero dai Romani; dal campo dei vincitori egli assistette in qualità di testimone oculare degli eventi:
Portati a termine anche i terrapieni nel settimo giorno del mese Gorpiano ( agosto-settembre) dopo diciotto giorni di lavoro, i romani portarono avanti le macchine da guerra, mentre tra i ribelli alcuni, perduta ormai la speranza di tenere la città, si ritiravano dalle mura verso la città alta, altri si calavano giù nelle gallerie sotterranee, molti poi divisi cercavano di respingere coloro che facevano avanzare le torri mobili. Anche su costoro prevalevano Romani grazie al numero e alla potenza, e, quel che più conta, avendo il morale alle stele mentre i loro avversari erano ormai avviliti e spossati. Quando fu spezzata una parte del muro, e alcune delle torri battute dagli arieti caddero, ci fu una fuga frettolosa…I Romani impadronitisi delle mura, levarono i vessilli sulle torri, e con grida e con manifestazioni di gioia intonano il peana per la vittoria. Quindi, riversati nei vicoli con le spade sguainate, uccidevano indiscriminatamente tutti quelli che incontravano e appiccavano il fuoco alle case con tutti coloro che ci si rifugiavano[…] Ostruirono i vicoli di cadaveri, inondarono di fiumi di sangue tutta la città, tanto che molti incendi furono spenti dal sangue delle stragi.
(Bellum Iudaicum VI,8-9;
trad. G.Rosati)
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