SAGGIO BREVE SULLA PESTE NEI PROMESSI SPOSI
Devi svolgere un saggio breve su I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni? Fare un saggio breve critico e chiaro non è mai semplice, soprattutto se poi i professori di italiano devono darti un voto sull’elaborato da te prodotto.
Ancora più complicato se l’argomento è complesso e riguarda uno dei temi più studiati in classe, come la Peste nei Promessi Sposi, protagonista in negativo dei capitoli XXXI-XXXII del romanzo, dove il Manzoni fa una digressione storica che ricostruisce la diffusione del morbo e le sue drammatiche conseguenze.
Se devi svolgere un saggio breve sulla peste nei Promessi Sposi ti aiutiamo noi: ecco lo svolgimento con al centro una delle protagoniste più celebri del romanzo di Alessandro Manzoni.
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Per fare un ottimo saggio breve consulta la nostra guida: Saggio breve: come si fa
SAGGIO BREVE SULLA PESTE NEI PROMESSI SPOSI
Prima di svolgere il saggio breve, ti ricordiamo i requisiti e le regole fondamentali per fare un ottimo elaborato critico di questa tipologia di scritto. Ricorda allora di strutturare il saggio breve nel seguente modo: decidere il titolo e la rivista di destinazione e poi svolgerlo in modo classico, con l’introduzione-svolgimento-conclusione, senza dimenticare l'apporto critico che il saggio richiede.
Valuta i documenti proposti e approvali o confutali in base alla tua opinione.
Adesso non ci resta che fornire un esempio svolto, in modo che possiate prendere spunto per svolgere al meglio un eventuale saggio breve sulla peste nei Promessi Sposi:
- Saggio breve sulla peste nei Promessi Sposi, titolo: La Peste di Milano del 1630 e il racconto del Manzoni tra documentazione e fede.
- Saggio breve sulla peste nei Promessi Sposi, consegna: rivista di letteratura italiana
SAGGIO BREVE SULLA PESTE NEI PROMESSI SPOSI: Introduzione
La peste è una malattia infettiva contagiosa che è divenuta celebre anche grazie alle digressioni del Manzoni nei capitoli XXXI-XXXII del romanzo, che nel 1629 ridusse la popolazione del Ducato di Milano a un decimo e fu molto più disastrosa delle epidemie, della carestia causata dalla guerra e soprattutto della discesa dei Lanzichenecchi.
Alessandro Manzoni ci ha lasciato un prezioso quadro di Milano nella prima metà del Seicento e una precisa ricostruzione storica dell’epidemia di peste che devastò la città.
SAGGIO BREVE SULLA PESTE NEI PROMESSI SPOSI: Svolgimento
L’intento del Manzoni è quello di “far conoscere un tratto di storia patria più famoso che conosciuto”, proponendosi come storico: si propone perciò di esaminare e confrontare molto documenti ufficiali anche se appare chiara la sua partecipazione ai fatti con commenti ed emozioni, attraverso il racconto di episodi commoventi, ma anche molto raccapriccianti.
I fatti raccontati cominciano con il racconto del contagio, che fu portato in Lombardia dalla calata dei lanzichenecchi, ben descritto nei capitoli XXVIII, XXIX e XXX del romanzo: avvenne nell'autunno del 1629 e lasciò dietro una scia di terribili saccheggi e devastazioni. I primi focolai del contagio si registrarono a Lecco, dove si riscontrarono casi diffusi di contagio. Pare che la situazione non fu subito arginata e infatti il Manzoni sottolinea come le autorità sanitarie e politiche di Milano mostrassero un'incredibile negligenza nell'applicare le misure di prevenzione per evitare che il morbo si propagasse in città.
Solo il 29 novembre fu imposto un regime sanitario per contrastarlo, ma ormai la peste era già entrata a Milano. Gli storici e i cronisti dell'epoca parlano di un soldato che, entrando a Milano con un fagotto di vesti comprate dai fanti tedeschi, contribuì a diffondere il mortale contagio; però a mio avviso questo dettaglio e il nome del diffusore ipotetico del morbo, un certo Pietro Antonio Lovato, interessano poco e niente al Manzoni. La cronaca del tempo ricorda come il Tribunale di Sanità ordinò di bruciare tutte le suppellettili del soldato e di internare al lazzaretto le persone che erano entrate in contatto con lui. Comunque sia, l’epidemia crebbe lentamente e si registrarono casi sporadici di peste in città tra la fine del 1629 e i primi mesi del 1630, senza che questo scuotesse le autorità milanesi o impedisse i festeggiamenti per il carnevale (per esempio), mentre il popolo continuava a ignorare la realtà. Il Manzoni sottolinea nel romanzo la lentezza delle operazioni ma dal marzo del 1630 la peste iniziò a mietere vittime in ogni angolo di Milano, rendendo drammatica la situazione.
I malati si affollavano in numero sempre crescente al lazzaretto e il Manzoni racconta che furono i cappuccini a supplire alle autorità cittadine in quella circostanza, mettendo un focus sulla carenza di interventi e forse anche sulla sottovalutazione dell’epidemia. Alla paura del contagio si aggiunse la credenza che alcuni uomini, noti col nome di untori, spargessero appositamente unguenti venefici per propagare la peste e anche il Manzoni si fa portatore di queste assurde superstizioni, citando un dispaccio proveniente dalla Spagna e firmato da re Filippo IV in persona che, tempo prima, informava il governatore che quattro spie francesi, sospettate di mettere in atto questa pratica, erano fuggite da Madrid e potevano essere giunte a Milano. Tra gli abitanti di Milano si diffuse una vera e propria psicosi:
Manzoni descrive molto bene queste scene di panico citando due episodi, quello di un vecchio che spolverava una panca in chiesa che venne linciato senza pietà e trascinato in carcere dove probabilmente morì per le percosse, e quello di tre giovani francesi, nell'atto di osservare il Duomo e di toccarne il marmo con una mano che subirono lo stesso trattamento da parte della folla. Furono condotte varie inchieste che finirono fortunatamente bene, ad eccezione del caso di Giangiacomo Mora e Guglielmo Piazza, che Manzoni ricostruisce nella Storia della colonna infame, il saggio storico pubblicato in appendice al romanzo: confessarono sotto tortura di essere untori e furono condannati a morte. Dal mio punto di vista, Manzoni considera il morbo un "caso eccezionale", una sorta di prova per la città e la popolazione che fa emergere, in una situazione di rischio ed emergenza, i vizi e le virtù. Da questa visione scaturisce l’idea del Manzoni della peste come bagno purificatore con la conclusione che la storia è "un mistero di contraddizioni, in cui l'ingegno si perde, se non lo si considera come uno stato di prova e di preparazione ad altra esistenza".
La prova che il divino mette di fronte all’umanità con l’arrivo del caldo e dell’estate si diffuse ancora e mentre la popolazione si decimava, Milano appariva come una città spettrale e spopolata, in cui i cadaveri venivano abbandonati per strada e raccolti dai monatti. Nell'autunno e con l’arrivo dell’inverno la potenza del morbo iniziò a scemare e all'inizio del 1631 l'epidemia fu arginata. Manzoni descrive i contagi e la peste con il punto di vista dello storico e in maniera critica, citando le fonti e i documenti a disposizione. Si nota soprattutto come l’autore sottolinei la negligenza e la scarsa attenzione delle autorità nei confronti della virulenta epidemia, soprattutto all’inizio. In effetti, anche il Manzoni racconta che le autorità milanesi sottovalutarono il grave rischio della pestilenza e anzi minimizzarono a tal punto che la peste scoppio e distrusse un’intera città, che pagò a caro prezzo il tributo per la Guerra dei Trent'anni, e ne uscì devastata. L’unica persona che Manzoni ammira, perché si distinse dalle altre assumendo un comportamento assai diverso, è il Cardinale Federigo Borromeo, che tentava in ogni modo di fermare l’espansione del contagio, anche in contrapposizione con le autorità del tribunale sanitario.
È vero che il Manzoni ci restituisce un quadro fedele e storico della peste ma non manca di presentare la peste come un flagello e una prova inviata da Dio. Il suo atteggiamento è attonito e sbalordito perché secondo l’autore i piani del divino sono inconoscibili e ineluttabili e se si è trattato di castigo divino, non resta che piegarsi con fede al volere di Dio. La propensione a credere che la peste di Milano fu un disegno imperscrutabile e metafisico si riflette anche sull’atteggiamento dei personaggi. Nel libro vengono narrate le vicende dei personaggi in relazione alla malattia: alcuni protagonisti superano la peste, altri, invece, non ce la fanno: celebre è la descrizione di Don Rodrigo, colpito da una forma molto grave di peste. Prima di tutto, come tale, questo disegno colpisce sia buoni che cattivi, solo che, per esempio, Renzo e Lucia accettano la malattia con cristiana rassegnazione e fra Cristoforo la vede come l'occasione di sacrificarsi nel servizio caritatevole al prossimo; per altri, come don Abbondio, questa pestilenza è stata una "scopa" che ha spazzato via prepotenti e malvagi, mentre don Ferrante, aristotelico per vocazione, alla fine del cap. XXXVII attribuisce il morbo agli influssi astrali, così si ammala, affidandosi al caso e rifiutandosi di prendere qualunque precauzione, e muore come "un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle".
SAGGIO BREVE SULLA PESTE NEI PROMESSI SPOSI: Conclusione
Ovviamente è chiara la propensione del Manzoni che riteneva che la peste fosse un castigo divino o un’opera malvagia da parte del demonio: essendo credente, il ragionamento dell’autore è chiaro e sull’ipotesi della punizione di Dio si regge il comportamento dei protagonisti del romanzo; ovviamente capisco questo punto di vista, anche nell’ottica, più ampia che segna e plasma l’intera opera, ma credo comunque pienamente anche nella tesi scientifica, che essendo una malattia infettiva di facile contagio si trasmise molto velocemente anche a causa delle scarse condizioni igieniche e con la presenza di particolari batteri.
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