Il periodo dell’attività schellinghiana che va dal 1801 al 1805 è solitamente indicato come ‘filosofia dell’identità ‘. In realtà , non si tratta di una fase completamente nuova nello sviluppo del suo pensiero, quanto piuttosto l’esplicitazione di un punto di vista implicitamente già insito nel suo pensiero precedente. Il tema fondamentale della filosofia di Schelling era sempre stato quello dell’unità tra natura e spirito. Fino al 1801 però a questa unità egli tentava di giungere partendo dai due termini opposti, che dovevano essere congiunti: così gli scritti tra il 1797 e il 1800 (relativi alla filosofia della natura) partivano dal mondo naturale per reperire in esso la struttura dello spirito, mentre il Sistema dell’idealismo trascendentale del 1800 partiva dal soggetto per giungere all’oggetto. Con la filosofia dell’identità , il cui ‘manifesto’ è l’ Esposizione del mio sistema filosofico del 1801, Schelling intende invece ‘ partire direttamente dall’unità assoluta per derivare da essa l’opposizione ‘. La filosofia della natura e l’idealismo trascendentale appaiono come due prospettive unilaterali, che vanno riconsiderate dal punto di vista della totalità e restituite alla loro giusta collocazione all’interno del sistema. Il fondamento dell’intera realtà è ora ricercato nell’ Assoluto, concepito come identità indifferenziata (o anche ‘uni-totalità ‘) di soggetto e oggetto, di spirito e natura, di conscio e inconscio. L’Assoluto non è nessuno di questi termini opposti, ma è la radice comune che precede la loro successiva separazione. La scissione degli opposti e la conseguente distinzione dell’uni-totalità in una pluralità di manifestazioni specifiche, non appartiene al piano della realtà e del sapere assoluti, ma solamente a quello dell’ apparenza. E’ questa concezione dell’ Assoluto come indifferenza (cioò assenza di differenziazione) che Hegel criticherà nella Prefazione alla Fenomenologia dello spirito del 1807 con la celebre immagine della ‘ notte in cui tutte le vacche sono nere ‘: secondo l’ex -compagno di Tubinga il concetto schellinghiano di unità assoluta, eliminando ogni differenziazione sostanziale tra gli opposti, esclude la possibilità di interpretazione dialettica e impedisce di caratterizzare la specificità delle diverse realtà all’interno del sistema. Anche se la filosofia dell’identità non presenta soluzioni di continuità rispetto al precedente pensiero di Schelling, i problemi che essa pone sono diversi. La difficoltà fondamentale non è più quella di rinvenire lo spirito nella natura o, viceversa, l’oggetto nel soggetto. Essa consiste, piuttosto, nello spiegare come la ‘differenza’ possa nascere dall’ ‘indifferenza’. Se la realtà è essenzialmente uni-totalità , priva di differenziazioni interne, come si può arrivare alla distinzione di una molteplicità di esseri? Come si passa dall’Assoluto all’opposizione tra soggetto e oggetto, spirito e natura, conscio e inconscio? Non certo tramite un passaggio graduale, di tipo emanativo, dal momento che Schelling insiste sul fatto che tra l’Assoluto e il finito non c’è forma alcuna di omogeneità : se quello è l’essere, questo è non-essere, irrealtà , nulla. Per rispondere a questa domanda, nello scritto Filosofia e religione del 1804 Schelling introduce il concetto di ‘salto’ o anche, in termini più religiosi, di ‘caduta’. Ma questa nozione segna lo spostamento del suo pensiero dall’ambito dell’idealismo speculativo a quello di una filosofia a sfondo religioso, in cui hanno sempre più peso suggestioni mistiche e irrazionalistiche attinte specialmente dalla lettura di Jacob Bohme, cui Schiller è indirizzato da Franz Baader.
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