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La filosofia positiva Dopo il 1809, anno della pubblicazione delle Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana , Schelling rimase a lungo in silenzio. La cultura tedesca stava assistendo al trionfo filosofico del grande Hegel, il suo antico compagno e amico, ora suo avversario. Nulla era ormai più lontano dalle posizioni di Schelling dell’identificazione hegeliana della realtà con la ragione e della conseguente pretesa di potere spiegare tutto e di giustificare per mezzo del pensiero dialettico. Conseguenza di questa sua avversione è la nozione di filosofia negativa , alla quale è riconducibile la stessa filosofia dell’identità che Schelling aveva elaborato nel 1801. La ragione può solamente cogliere l’essenza (il quid sit ) delle cose, non la loro esistenza (il quod sit ) . Ogni filosofia puramente speculativa e fondata su argomentazioni a priori può determinare solo il lato negativo della conoscenza, ciò senza di cui la conoscenza non è possibile, e non il lato positivo, ciò da cui essa sorge . Il pensiero razionale definisce soltanto le condizioni negative della conoscenza , quelle senza le quali le cose non possono essere pensate, ma lascia impregiudicato il problema della loro esistenza. Alla filosofia negativa occorre, quindi, opporre una di filosofia positiva , che Schelling elabora nelle opere più tarde: Filosofia della mitologia e Filosofia della rivelazione , frutto dei corsi universitari tenuti a Monaco e a Berlino. Il punto di partenza del pensiero positivo non può più essere il semplice a priori speculativo, ma deve consistere in un dato di esperienza (da qui l’espressione di ‘empirismo filosofico’ con cui Schelling denota quest’ultima fase del suo pensiero) anche se l’esperienza non va qui intesa come semplice conoscenza sensibile, bensì come esperienza metafisica ed extra-storica. La filosofia positiva non è una semplice forma di conoscenza teoretica, ma è un sapere che si traduce in attività pratica, in fede, in una vera e propria religione filosofica. La filosofia positiva si divide in filosofia della mitologia e filosofia della rivelazione. La filosofia della mitologia ha per oggetto la religione naturale, intesa come il manifestarsi di Dio nella natura attraverso le determinazioni di una coscienza umana archetipa e originaria. Le diverse rappresentazioni della divinità che caratterizzano il politeismo antico non sono il frutto di fantasie individuali o fenomeni culturali fortuiti, ma il risultato del processo necessario attraverso il quale l’uomo, considerato come entità metastorica, ha naturalmente sviluppato la propria coscienza del divino in assenza di una rivelazione positiva. Le concezioni mitologiche non devono dunque essere interpretate come ‘allegorie’ di un significato concettuale (cioè ‘negativo’) ma come ‘tautegorie’ in cui il senso emerge necessariamente (e ‘positivamente’) dal suo stesso sviluppo all’interno della coscienza umana. La di filosofia della rivelazione invece si riferisce alla manifestazione diretta di Dio, che si autorivela all’uomo con un atto di libertà assoluta. Solo attraverso questa via l’uom’ potè pervenire alla conoscenza di Dio come persona vivente, che si incarna nel Figlio. Se la filosofia della mitologia spiega lo sviluppo delle religioni pagane e politeistiche, la filosofia della rivelazione ha per oggetto la religione rivelata ed il proprio fulcro nel cristianesimo . Oltre alla filosofia della rivelazione, Schelling presagisce, tuttavia, l’avvento di una terza fase della filosofia positiva (corrispondente a quella dello Spirito Santo, invocata da Gioacchino da Fiore e ripresa nel ‘700 da Lessing) nella quale la religione filosofica supera sia la religione naturale del Padre sia quella rivelata del Figlio. Del resto, lo sviluppo triadico della filosofia positiva era già stato anticipato in quelle Lezioni di Stoccarda del 1810 che avrebbero dovuto costituire il nucleo di un’opera progettata, ma mai conclusa, sulle Età del mondo . La totalità del tempo viene d (segue nel file da scaricare)
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