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La conoscenza A fondamento della dottrina schopenhaueriana della conoscenza vi è la distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé. Alla prospettiva di Kant Schopenhauer apporta però sostanziali correzioni e, soprattutto, ne intende in maniera originale il significato generale. Per Kant il fenomeno, cioè il mondo della natura, rappresenta l’ unico oggetto della conoscenza umana, condizionata dalle forme a priori della sensibilità e dell’ intelletto: pertanto esso coincide con la realtà stessa dal momento che soltanto nel mondo fenomenico l’ uomo può organizzare la propria esistenza. Il fenomeno è sinonimo di “apparenza”, poiché la cosa in sé, che è al di là del mondo fenomenico, sfugge alla conoscenza umana; ma in esso non è “parvenza”, cioè realtà ingannevole al di sotto della quale si nasconde la realtà vera. Lo stesso noumenco (la cosa in sé) che nella prima edizione della Critica della ragion pura appare ancora come un indefinibile X soggiacente al fenomeno, nella seconda edizione viene risolto in un “concetto limite”, indispensabile per la definizione teorica della nozione stessa di fenomeno, ma privo di ogni realtà sostanziale. Per Schopenhauer, invece il fenomeno – anche per lui risultato delle forme a priori della conoscenza umana – è soltanto una parvenza che, simile al “velo di Maya” di cui parla la filosofia indiana, copre la realtà vera, che è quella cosa in sé. Riprendendo una tradizione filosofico-letteraria che va da Pindaro a Shakespeare e Calderon de la Barca, Schopenhauer ripete che la vita è sogno, anche se il sognare obbedisce a regole precise, valide per tutti e insite nelle stesse strutture conoscitive dell’ uomo. Se per Kant il fenomeno è un punto d’ arrivo della conoscenza umana, per Schopenhauer esso deve essere travalicato per giungere al noumeno, della realtà vera delle cose e, quindi, anche dell’ uomo. Per questo egli preferisce la prima alla seconda edizione della Critica della ragion pura: dietro suo consiglio il capolavoro di Kant fu pubblicato nell’ edizione del 1781, anziché in quella del 1787, allorché Karl Rosenkranz e Friedrich Wilhelm Schubert diedero alle stampe, nel 1838-42, la prima raccolta completa delle opere del filosofo di Konigsberg. Il mondo come volontà e rappresentazione inizia con le parole: “Il mondo è una mia rappresentazione” la rappresentazione è il risultato del rapporto necessario tra soggetto e oggetto. Nessuno di questi due termini, infatti, può stare senza l’ altro. Da un lato, il soggetto è “ciò che tutto conosce, senza essere conosciuto da alcuno”, ossia ciò che non diventa mai oggetto della conoscenza propria o altrui. Dall’ altro , il soggetto non può conoscere se non un oggetto: se non ci fosse un oggetto, il soggetto non conoscerebbe nulla; ma in questo caso non sarebbe neppure più soggetto, poiché esso è tale soltanto in quanto conosce. Erroneamente il realismo – che Schopenhauer chiama anche materialismo – fa derivare il soggetto dall’ oggetto, partendo da una realtà materiale esterna che informa di sé la soggettività. Ma altrettanto erroneamente l’ idealismo risolve l’ oggetto nel soggetto, come sua produzione interna. Né il soggetto può prevalere sull’ oggetto né l’ oggetto sul soggetto: la conoscenza, infatti, è data dall’ unione di entrambi, intesi come le due componenti indissolubili e paritetiche della rappresentazione. Anche per Schopenhauer, come per Kant, la filosofia prende le mosse dell’ analisi delle forme a priori della conoscenza, sebbene esse vengano intese un po’ diversamente. Per Kant, le forme a priori erano condizioni soggettive della possibilità dell’ oggetto conoscitivo. Ma per Schopenhauer – come abbiamo appena visto – nega qualsiasi priorità del soggetto rispetto all’ oggetto, non solo nel senso idealistico fichtiano, per cui il soggetto “pone” l’ oggetto, ma anche nel senso trascendentale kantiano, per cui il soggetto “costituisce” l’ oggetto. L’ elemento veramente originario, da cui dipendono sia il soggetto sia l’ oggetto, è la rap (segue nel file da scaricare)
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