Il mondo della rappresentazione per Schopenhauer è un velo illusorio che occulta la vera realtà, la cosa in sè che sta a monte del mondo fenomenico. Ma come si può attingere questa realtà autentica? Di sicuro non attraverso la conoscenza intellettiva e razionale, dal momento che essa, fondata sulle forme a priori dello spazio, del tempo e della causalità, non può uscire dalla sfera della rappresentazione, e quindi del fenomeno.
Se l’uomo fosse una pura testa alata d’angelo, ovvero se non fosse altro che soggetto sottostante alle forme a priori del conoscere, non sarebbe mai possibile pervenire al noumeno. Ma così non é. Oltre ad essere un soggetto conoscente, l’uomo è anche soggetto corporeo. Ora, il corpo ha una duplice valenza: da un lato, esso è soltanto un oggetto tra gli oggetti, sebbene più immediato degli altri: in questo senso esso non sfugge alle leggi della rappresentazione e ricade pienamente nel mondo fenomenico. D’altra parte, però, il corpo è anche la sede in cui si manifesta una forza assolutamente irriducibile alla rappresentazione, una forza primigenia che non è un oggetto tra gli oggetti e che sfugge ad ogni determinazione causale da parte delle altre cose: sotto questo aspetto il corpo è espressione di volontà .
Tramite l’esperienza corporea l’uomo può così giungere alla cosa in sé, al fondamento noumenico che sta alla base di ogni manifestazione fenomenica della realtà, precedentemente e indipendentemente da ogni rappresentazione secondo le forme a priori della conoscenza. La cosa in sé, che Kant aveva dichiarato inconoscibile e che gli idealisti avevano eliminato come contraddittoria, è dunque volontà. I caratteri fondamentali di questa volontà noumenica sono l’unità e l’irrazionalità.
La volontà è una, dato che, non essendo determinata dalle forme a priori della conoscenza, sfugge alle condizioni dello spazio e del tempo e, quindi, al principio di individuazione: solo il fenomeno si rifrange in una pluralità di individui, mentre la cosa in sé è unica. Se un solo uomo riuscisse per assurdo ad annientare completamente la volontà che è in lui, verrebbe soppressa la volontà in generale, e il mondo intero sparirebbe. Per le stesse ragioni la volontà è irrazionale: infatti la ragione esiste solamente nel mondo della rappresentazione, del quale è l’espressione più elevata, essendo la facoltà dei concetti, cioè delle rappresentazioni più complesse, sintesi delle rappresentazioni immediate della sensibilità o dell’intelletto.
La volontà è quindi un’aspirazione senza fine e senza scopo, un tendere che non conduce a nessun ordine e a nessuna acquisizione definitiva. Essa è una forza cieca e inconscia, puro istinto, pura volontà di vivere. Se da una parte il mondo è la rappresentazione che scaturisce dal rapporto tra soggetto e oggetto, dall’altra esso è l’ oggettivazione della volontà . La volontà infinita che costituisce la cosa in sé, infatti, si oggettiva (ovvero si realizza) in una serie progressiva di gradi. Al livello più basso vi sono le forze stesse della natura: la gravità, l’impenetrabilità, la solidità, la fluidità, l’elettricità, il magnetismo, le proprietà chimiche e tutte le altre proprietà delle cose. Queste forze non possono però essere considerate come entità fisiche connesse da rapporti causali, come fa generalmente la scienza: al contrario, esse sono forze metafisiche che agiscono in completa indipendenza da quella legge della causalità che vale solo nel mondo dei fenomeni. Nei successivi gradi della vita animale e vegetale, la volontà si oggettiva nelle diverse specie, con tutte le caratteristiche e tutte le forme di impulso vitale che sono ad esse proprie.
L’ultimo grado di oggettivazione è costituito dall’uomo, in cui la volontà si realizza nei singoli individui umani, forniti ciascuno di uno specifico volere che, sul piano fenomenico, si esprime come volontà razionale. Le oggettivazioni della volontà che precedono l’ultimo grado (il mondo fenomenico in cui la volontà si frantuma nella pluralità degli individui) si sottraggono ai rapporti di spazio, tempo e causalità, e quindi anche al principio di individuazione. Esse sono perciò paragonabili alle idee di Platone in quanto al pari di esse costituiscono le entità universali in cui si sostanzia la vera realtà, rispetto alla quale il mondo fenomenico non è che una pallida immagine e una illusoria moltiplicazione: per Schopenhauer però le idee non sono ancora la realtà vera, cioè la cosa in sé, ma soltanto il termine intermedio tra quest’ultima (che è la volontà infinita) e la parvenza del mondo fenomenico. La dottrina platonica delle idee e quella kantiana della distinzione tra fenomeno e cose in sé convergono quindi, a parere di Schopenhauer, verso un’unica verità fondamentale: il mondo che noi conosciamo tramite l’esperienza sensibile e la conoscenza intellettuale-razionale è pura illusione e ci rimanda necessariamente a qualche cosa che sta al di là di esso.
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