“Sono due settimane che mi tocca stare in classe con il cappotto!” esclama Silvia dal fondo della classe, con le braccia conserte e l’espressione imbronciata. Già, ci troviamo nel pieno dell’inverno, e nessuno si è ancora degnato di sistemare i termosifoni e di riparare la finestra ormai rotta chissà da quanti mesi.
Il nostro è un piccolo liceo di paese, frequentato da pochi ragazzi, la maggior parte dei quali costrettia ad iscriversi perché le altre scuole sono troppo distanti, e non ci sono mezzi adatti per raggiungerle. La vita scolastica che trascorriamo probabilmente è simile a quella di milioni di altri ragazzi italiani, forse migliore, forse peggiore. Ma nessuno di noi del II B fino ad oggi aveva mai riflettuto sui tanti problemi che colpiscono le scuole italiane, probabilmente perché non abbiamo mai visto niente di meglio, e quindi ci accontentiamo di quel poco che ci ritroviamo.
L’esclamazione di Silvia accende una lampadina nella mente di tutti noi in classe, e da lì inizia tutta la discussione. “Infatti”, risponde Manuel, “non ne posso più nemmeno io, mi si sono congelati i neuroni!”. Manuel non ha mai avuto voglia di studiare, diciamoci la verità, ma in questo momento non gli si può dare torto: come si può stare attenti alla lezione di latino quando l’unico pensiero è "non vedo l’ora di tornare nella mia stanzetta calda"? “Io invece non ne posso più di queste sedie rotte, l’altro giorno ho bucato i miei leggins preferiti” dice poi Flavia. Flavia il freddo lo soffre in silenzio, e preferirebbe morire piuttosto che nascondere il suo outfit quotidiano con un cappotto o peggio ancora con un maglione. Ma anche Flavia ha ragione: le sedie sono rotte, i banchi sono più di là che di qua, per non parlare di porte e finestre che risalgono agli anni ’70.
“Ragazzi non vi lamentate di queste cose, i problemi sono anche altri. Non abbiamo una mensa, i computer che abbiamo sono del secolo scorso, educazione fisica possiamo farla solo quando non piove, perché non possediamo neanche un metro per un metro di palestra. E che dire dei bagni? Non c’è bisogno che vi dica nulla, perché avete occhi per guardare” interviene Stefano, il filosofo della classe. Effettivamente, l’ultima volta che abbiamo fatto educazione fisica è stato circa 20 giorni fa. Con una bella giornata e uno spiraglio di sole, la prof con gli occhi brillanti di gioia ci porta in cortile, ci fa fare una corsetta e poi via con una bella partita di pallavolo. La mensa poi, neanche sappiamo che significa: se il pomeriggio abbiamo da svolgere qualche attività, torniamo a casa o mangiamo un panino insieme su una panchina nella piazzetta.
Ed io penso nel frattempo che Stefano ha detto bene, i problemi sono anche altri. E penso al professore di matematica, che tutto fa tranne che spiegarci come risolvere le equazioni di secondo grado. Io allora ho deciso di rinunciarci, e preferisco dedicarmi al latino visto che la prof ci interroga ogni giorno e se ne esce con compiti in classe a sorpresa. È giusto che il prof di matematica, facendoci giocare a carte nelle ore di scuola, prenda lo stesso stipendio della professoressa di latino, che si ammazza di lavoro, che ci spiega le cose anche dieci volte? È giusto che mio zio stia ancora aspettando per avere la cattedra, mentre c’è chi la ha, ma guadagna non facendo nulla? No, non è giusto, ma purtroppo nessuno ci ascolta, e nessuno crede a ciò che diciamo perché siamo solo ragazzini.
Sì, siamo ragazzini, ma un cervello lo abbiamo anche noi. Valutiamo quello che abbiamo intorno e ci comportiamo spesso di conseguenza. E se il prof di matematica non ci fa fare nulla, cosa possiamo fare noi? Studiamo da autodidatti e ci interroghiamo a vicenda? Quale adulto farebbe ciò? Credo quasi nessuno.
Per non parlare poi delle Prove Invalsi, che io non ho mai capito perché le dovessi fare. Ricordo benissimo due anni fa, durante gli Esami di Terza Media. Una vera e propria strage, voti bassissimi e nessuno che ci abbia aiutato. Ciò che mi ha sconvolto di più è stato quello che è successo a Roberta. La prima della classe, brillante e attenta, una studentessa modello presentata agli Esami con 10 e lode. Il voto allora, sembrava essere confermato: ma a causa del punteggio ottenuto nelle prove, la sua media si è abbassata a 9,4. Voto finale dunque, 9. Come può un test di 90 minuti giudicare il lavoro di una persona svolto in 3 anni? Vale più il giudizio aritmetico di un test a risposta multipla che quello degli insegnanti durante il percorso scolastico? Pare proprio di sì a questo punto.
“Ma noi cosa possiamo farci allora?” chiede ad un certo punto Raffaele, che aveva ascoltato in silenzio tutta la discussione. “Fare finta di niente” risponde Stefano “oppure cercare di far valere i nostri diritti, smettendola di vivere in modo passivo questa situazione”.
“Zitti, zitti, sta arrivando la prof!” esclama Paolo dal primo banco. Allora ci sediamo tutti sulle nostre sedie rotte, dietro ai banchi traballanti, e tra il freddo di quella mattina e riflessioni sulla nostra situazione ci mettiamo ad ascoltare la lezione di storia.
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