Immanuel Kant (1724-1804) fonda la possibilità del meccanicismo per spiegare il rapporto tra la scienza e la metafisica. Egli intende il rapporto tra il soggetto e l’oggetto (e in particolare tra l’uomo di scienza e i suoi oggetti di studio) come basato, da un lato, sull’esperienza soggettiva del mondo e, dall’altro, sulle limitazioni naturali dell’esperienza soggettiva. In questo contesto, non gli risulta possibile che si affermino tesi scientifiche senza tenere conto della conoscenza delle cause e degli effetti del mondo fenomenico. La catena meccanica che lega gli oggetti è un aspetto necessario della conoscenza scientifica. Al contempo, però, non è possibile evitare di pensare alle “finalità” delle relazioni meccaniche, anche se ciò avviene tramite procedimenti razionali e soltanto regolativi e non conclusivi. Il meccanicismo, quindi, è necessario ma non sufficiente perché il soggetto condiziona la conoscenza dell’oggetto con le proprie categorie analitiche e, in virtù della propria esperienza, lega con l’Intelligenza i dati fisici della natura all’interno di un giudizio universale (o “determinante”). Il meccanicismo è possibile come costruzione dei dati che compongono il giudizio non universale (o “riflettente”) privo delle formulazioni unificanti e generali sul mondo e sugli organismi viventi che, invece, in quanto tali rimandano a qualcosa di ulteriore e universale come l’etica.
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