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Critica ai miracoli Con la riflessione tomista la speculazione teologica cristiana sul problema dei miracoli giunge al suo compiuto grado di elaborazione, e la stessa cosa può dirsi per la tradizione ebraica per quanto riguarda l’opera di Maimonide . Ben poco di nuovo e interessante, dal punto di vista teorico, viene scritto sull’argomento tra il XV e il XVI secolo. Affermatasi vittoriosamente, la concezione medievale e soprannaturalistica del miracolo divenne corrente in tutta Europa, a livello sia popolare che colto. Spinoza, nel corso della propria formazione intellettuale, ebbe modo di assorbire la tradizione ebraica e di familiarizzarsi con la teologia cristiana, cosa che gli permise di affrontare il problema dei miracoli da un punto di osservazione privilegiato. Spinoza apre la prefazione del Tractatus constatando ciò che “è noto a tutti”, ovvero che essendo “il timore la causa che genera, mantiene e alimenta la superstizione” ne consegue che “tutti gli uomini sono per natura soggetti alla superstizione stessa”(TTP, prefaz). Vi sono due immediate conseguenze la prima è che la superstizione si presenta necessariamente sotto un’infinita varietà di forme, esibendo caratteristiche “varie e incostanti”, la seconda è che la superstizione, e i sistemi di credenze nelle quali essa si articola non traggono origine dalla ragione “ma dalla sola sensibilità, e per di più da una appassionata sensibilità”(TTP, prefaz.). Gli uomini, nota Spinoza, conducono delle esistenze per lo più infelici e impotenti, segnate dall’impossibilità di comprendere e dominare gli eventi, e sono quindi costantemente sballottati “dalla tempesta delle speranze e dei timori”. L’origine della superstizione è dunque iscritta nelle stesse condizioni esistenziali del genere umano. Questo è tanto vero che “Se gli uomini fossero in grado di governare secondo un preciso disegno tutte le circostanze della loro vita , o se la fortuna fosse loro sempre favorevole, essi non sarebbero schiavi della superstizione”(TTP, prefaz). La diffusa credenza negli auspici, nelle profezie, nei prodigi e nei miracoli è quindi la diretta conseguenza del fatto che gli uomini sono in balìa di due affetti, di due passioni strette da un vincolo di complementarietà: il timore e la speranza che senza posa si alimentano l’uno dell’altra. Gli uomini quindi, “se nei momenti del timore si vedon capitare qualcosa che ricorda loro qualche bene o male del passato, credono che ciò annunci il successo o l’insuccesso e lo chiamano favorevole o funesto auspicio
Se poi con grande loro stupore assistono ad un fatto insolito, credono che si tratti di un prodigio che sta a manifestare l’ira degli dèi o della somma divinità
E così s’immaginano un’infinità di cose e danno strane interpretazioni dei fatti naturali come se la natura nella sua totalità fosse pazza come loro”(TTP, prefaz.). Ora, le passioni sono per definizione incostanti, e quindi anche quelle sfruttate dai governi per sottomettere le moltitudini possono facilmente ritorcersi contro i governanti stessi. La multitudo, infatti, “è facilmente indotta, sotto l’apparenza della devozione, ora ad adorare i suoi re come dèi, ora a maledirli e a detestarli come sciagura comune del genere umano”(TTP, prefaz). Proprio per evitare queste fluttuazioni ci si è ingegnati ad organizzare un sistema organico e compatto di credenze razionalizzate dalla speculazione teologica e proposte nel fasto di riti e cerimonie splendide e accattivanti. La religione, quindi deve risultare “superiore ad ogni circostanza” e deve essere oggetto di una “zelantissima e continua osservanza da parte di tutti”(TTP, prefaz.) . La religione è dunque un instrumentum regni per la sua capacità di cristallizzare e rendere irredimibile la stato di infelicità e di ignoranza del vulgus, alimentando senza posa i suoi timori e le sue speranze e impedendogli di accedere ad un grado di conoscenza e di esperienza del reale che potrebbe (segue nel file da scaricare)
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