Se i primi tre quarti del Tractatus riguardano problemi religiosi o di esegesi biblica, gli ultimi cinque capitoli sono dedicati all’ esposizione del pensiero giuridico-politico di Spinoza. La concezione Spinoziana del diritto e dello Stato si inserisce in una cornice schiettamente giusnaturalistica, la quale presenta notevoli punti di convergenza con il pensiero di Hobbes, del quale Spinoza conosceva senz’ altro il De cive e, forse, la traduzione olandese del Leviatano. Anche Spinoza parte dall’ ipotesi di uno stato di natura che preceda la società civile. In questa condizione il diritto di ciascuno ò eguale al suo potere, cioò alla forza di cui dispone per affermare il proprio essere: il più forte predomina sul più debole. Infatti, il potere del singolo non ò che la stessa potenza della natura, della quale egli ò espressione particolare. Lo stato di natura ò quindi una condizione di insicurezza e di pericolo, dal momento che ciascuno ò esposto alla possibilità di avere meno forza, meno potetre, e quindi meno diritto naturale, di un altro. La ragione, che indica agli uomini il loro vero bene, cioò la loro vera utilità , li induce pertanto a istituire un patto sociale, con il quale il diritto-potere di ciascuno viene limitato in modo da garantire a tutti la sicurezza della propria persona: si cede parte del proprio potere personale a favore di un’ istanza superiore; ma il popolo che rinuncia a parte del proprio potere come singolo lo riacquisisce poi come collettività ; in questo sta la differenza rispetto ad Hobbes, secondo il quale il popolo rinuncia al proprio potere individuale per darlo ad una persona singola, il sovrano. E’ quindi lo stesso impulso all’ autoconservazione, lo sforzo di perseverare nel proprio essere, che l’ uomo condivide con tutti gli esseri naturali a produrre in maniera necessaria, il passaggio dallo stato di natura a quello civile. In due punti il pensiero politico di Spinoza si differenzia tuttavia da quello di Hobbes, prefigurandone esiti del tutto diversi. In primo liogo, Spinoza non ritiene che nel patto i singoli rinuncino al loro diritto naturale, ma al contrario che essi attuino semplicemente, attraverso la sua limitazione, le condizioni necessarie per conservarlo. Per questo, per quanto riguarda la quantità di diritto detenuto dal singolo, la condizione civile per Spinoza deve somigliare il più possibile a quella naturale. Se nello stato di natura gli uomini erano eguali, eguali dovranno essere anche nello stato civile. Ciò induce Spinoza a preferire la democrazia alle altre forme di governo ( mentre Hobbes difendeva la superiorità della monarchia ): tuttavia anche per lui il potere sovrano, quantunque democratico, deve necessariamente essere assoluto. In secondo luogo, Spinoza ritiene che tra i diritti naturali cui l’ uomo non può rinunciare nel passaggio allo stato civile si debba annoverare la libertà di pensiero e di espressione, troppo spesso negata agli uomini. Nessun governo può quindi restringere questa facoltà , purchò essa si limiti all’ analisi razionale e abbia quindi, di per sò, un valore esclusivamente teorico. La libertà di pensiero non può infatti tradursi in un diritto di resistenza che comporti un’ attività poitica pratica, poichò ciò minerebbe alle fondamenta la sicurezza dello Stato. Sarà compito dei governanti prendere in considerazione le libere analisi dei sudditi e tradurle, in caso di un loro accoglimento, in realtà politica. Sia a causa della situazione storica in cui vive, sia per via dei presupposti concettuali del suo pensiero, Spinoza rimane sospeso tra l’ aspirazione a una condizione politica che superi le angustie dell’ autoritarismo ( com’ era stato tratteggiato da Hobbes ) e l’ impossibilità di formulare una dottrina dello Stato autenticamente liberale ( come sarà quella di Locke ).
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