GIUSEPPE UNGARETTI: STELLA
Stella, mia unica stella,
Nella povertà della notte, sola,
Per me, solo, rifulgi,
Ma, per me, stella
Che mai non finirai d’illuminare,
Un tempo ti è concesso troppo breve,
Mi elargisci una luce
Che la disperazione in me
Non fa che acuire.
La poesia, scritta forse nel 1966, appartiene all’ultima raccolta del poeta (“Ungà”), in cui sono riuniti testi di una corrispondenza “amoroso-poetica” con la poetessa Bruna Bianco. Nonostante la poesia manchi della tecnica, tipica dell’Ungaretti di Allegria, della distruzione del verso, essa riprende alcuni temi ricorrenti nella produzione poetica dell’autore.
Il componimento si apre con l’apostrofe alla stella, a cui segue una riflessione ispirata dalla sua luce. L’immortalità della stella che non cesserà mai di brillare si oppone al tempo, troppo breve, durante il quale l’uomo può godere di tale luce. L’infinità della stella è quindi contrapposta alla finitezza dell’uomo e alla brevità della sua vita, la cui tristezza profonda e povertà spirituale egli traspone nella notte.
Gli ultimi tre versi del componimento possono avere due possibili interpretazioni, a seconda del valore che si attribuisce alle parole che li compongono.
La prima spiegazione vede come soggetto della subordinata la “luce”, la quale acuisce l’intima disperazione del poeta. Nella seconda, e forse più probabile, interpretazione è la disperazione ad accrescere la percezione della luminosità della stella. L’uomo affranto vede nella luce astrale, positiva e benigna, quasi un conforto al suo dolore, una speranza per il futuro ed un punto fermo per il buio presente della notte.
Non può mancare, tuttavia, vista la provenienza del testo, la menzione alla tipica corrispondenza donna-stella e luce-amore.
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- Giuseppe Ungaretti
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