La Resistenza
Col crollo del Fascismo e l'instaurazione della REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA con a capo la figura, ormai quasi del tutto destituita di ogni potere, di Mussolini l'Italia si trovò spaccata in due: da sud risalivano le armate alleate, mentre nell'Italia entro-settentrionale i tedeschi si attestavano come un vero e proprio esercito occupante.
Si manifestò allora, assumendo poi via via l'aspetto difenomeno popolare di massa, l'attività di resistenza contro i tedeschi. Il movimento partigiano conquistò ben presto uno spessore politico rilevante, in particolar modo per la sua capacità di indicare la strada da percorrere per opporsi al regime ed alle truppe d'occupazione naziste.
Per coordinare le operazioni contro i nazifascisti e per disporsi ad affrontare le questioni politiche del dopoguerra cariche di incognite, si formarono i COMITATI di LIBERAZIONE NAZIONALE (CNL), in cui andarono a confluire i rappresentanti dei partiti politici all'indomani del 1943. A seguito del crollo del Fascismo cominciarono infatti a ricostituirsi le principali formazioni politiche.
Il PCI riprese la propria attività pubblica nel 1944, sotto la guida di Palmiro Togliatti, tornato in Italia dopo un lungo esilio in URSS. Egli lanciò un programma di collaborazione con le altre forze antifasciste col fine ultimo di far evolvere il sistema politico italiano in senso socialista. Vennero ricostituiti anche il PSIUP ed il vecchio Partito Popolare con il nuovo nome di Democrazia Cristiana, sotto la guida di Alcide De Gasperi. L'unica formazione nuova rispetto agli anni '20 fu il Partito d'Azione.
Per impulso di queste forze politiche si formò il CORPO dei VOLONTARI della LIBERTÀ (Cvl) con a capo, fra gli altri, Ferruccio Parri e Luigi Longo, che agì da comando strategico e da stato maggiore della resistenza armata.
Nell'Italia settentrionale fu il CLNAI (Comitato di Liberazione Alta Italia) a guidare le azioni di guerriglia contri i nazi-fascisti. Nell'Italia meridionale operò invece, dalla primavera del 1944, il primo governo Badoglio cui parteciparono tutti i partiti rappresentanti delle vecchie élites legate ai Savoia.
I Nazisti, ormai alle strette, risposero spesso ai partigiani con feroci rappresaglie contro la popolazione civile: tragicamente noti, per le dimensioni dell'eccidio furono la strage di Marzabotto, in Emilia, ed il massacro di più di 300 civili alle Fosse Ardeatine, a Roma, in risposta ad un attentato partigiano contro una colonna tedesca in via Rasella.
Mentre gli anglo-americani risalivano la penisola, un proclama del comandante inglese Harold Rupert Alexander invitò i partigiani a sospendere la lotta: dopo una prima fase di serie difficoltà, la Resistenza riuscì a ricostituire nuove basi operative, predisponendosi allo scontro finale.
Il movimento di resistenza antitedesca non fu però un fatto circoscritto all'Italia, ma l'occupazione nazista suscitò in tutta Europa una vasta reazione: forze volontarie si organizzarono sui monti, in pianura, nelle città per contrastare il nemico con sabotaggi, azioni punitive, agguati ed operazioni militari.
Nello sforzo di lotta contro l'avversario comune seppero coesistere in un'unità d'intenti e d'azione idee e programmi di diverse provenienze. In Francia il generale De Gaulle, all'indomani dell'invasione tedesca, mandò il suo appello alla resistenza contro l'occupante. Al programma di quest'ultimo si ispirarono poi le Ffi (Forces françaises de l'intérieur) cui si aggiunsero gli Ftp (Francs tireurs et partisans) di ispirazione comunista.
Anche in Polonia, in URSS ed in Yugoslavia fu attivo il movimento di resistenza; in Yugoslavia in particolare, la lotta condotta dai partigiani comunisti alla guida di Tito, fu lunga ed aspra. Non mancano tuttavia documenti che testimoniano efferatezze gratuite e massacri ai danni di civili inermi ed innocenti (spesso colpevoli di essere "solo" italiani!), da parte degli uomini di Tito, fin'anche dopo il termine della Seconda Guerra Mondiale collocando questa parentesi resistenziale yugoslava in un quadro storico assai particolare e discutibile. È questo il caso delle foibe, cavità carsiche in cui venivano occultati i cadaveri, ma che più spesso diventarono esse stesse strumento di morte per le persone che vi venivano buttate dentro ancora vive.
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