Tacito: la vita
Possediamo poche notizie sulla vita di Tacito, mentre abbiamo un quadro molto nitido della sua personalità grazie alle sue opere. Sappiamo che fu amico di Plinio il Giovane, il quale nel suo epistolario ci informa dei suoi rapporti con lo storico. Innanzitutto Plinio ci dice che Tacito aveva qualche anno in più di lui, quindi possiamo collocare la nascita dello storico intorno al 55 d.C. ; poi il suo nome completo potrebbe essere Publio o Gaio e il luogo natio Terni o la Gallia. La sua famiglia fu abbastanza agiata (visto che gli permise un curriculum di studi di tutto rispetto), probabilmente appartenente al ceppo nobiliare o a quello della borghesia burocratica e emergente. La sua formazione avvenne secondo i canoni dell’età Flavia: inizialmente fu indirizzato a studi di retorica (forse presso Quintiliano), poi si orientò verso gli studi giuridici e infine intraprese la carriera forense con ottimi risultati. Il 78 d.C. fu un anno molto importante per lui, in quanto sposò la figlia di Giulio Agricola, illustre personaggio della burocrazia flavia; questo fatto lo favorì nella sua affermazione politica e sociale: infatti egli percorse in breve tempo il cursus honorum diventando prima tribuno militare (sotto Vespasiano), poi questore (sotto Tito), tribuno della plebe e infine pretore nell88 d.C. (sotto Domiziano). Dopo alcuni incarichi importanti fuori Roma, vi tornò nel 93 per l’improvvisa morte del suocero che suscitò molte perplessità (alcuni dissero fosse stato fatto avvelenare da Domiziano, invidioso del suo successo). Morto Agricola (che era il nesso tra lo storico e la corte), la carriera politica tacitiana subì un notevole rallentamento: infatti egli per diventare console dovette attendere il 97 d.C. e l’avvento di Nerva. Infine nel 112-113 Traiano lo inviò assieme a Plinio il Giovane in Oriente, dove assunse il proconsolato d’Asia. Dopo questo episodio non si conosce più nulla sulla vita di Tacito: probabilmente si dedicò esclusivamente alla stesura delle sue opere storiografiche e morì negli ultimi anni del regno di Traiano o nei primi del principato di Adriano. Tacito lasciò una cospicua produzione storiografica, della quale però non tutto ci è pervenuto interamente. La sua prima opera, da mettere in relazione con la sua cultura di formazione, fu il Dialogus de oratoribus, un trattato di retorica basato sulla crisi dell’eloquenza (argomento già trattato da Quintiliano nel De causis corruptae eloquentiae), di cui molti storici dubitano l’autenticità. Dopo la morte di Domiziano scrisse l’Agricola, un’appassionata biografia dell’illustre suocero; poi compose un’opera tra storiografia ed etnografia sulla Germania e iniziò la stesura delle Historiae e degli Annales, che analizzavano tutti gli avvenimenti del I sec. d.C, dalla morte di Augusto a quella di Domiziano. Quest’ultime purtroppo ci sono giunte frammentarie, mentre la sua produzione oratoria è andata totalmente perduta.
Tacito: le opere
Il Dialogus de oratoribus
Il Dialogo sull’oratoria, dedicato a Fabio Giusto, si riallaccia alla tradizione ciceroniana, soprattutto al De oratore. Tacito immagina di aver assistito da giovane (74-75) a una discussione in casa di Curiazio Materno, un avvocato che si era dato interamente alla poesia, tra lo stesso Materno, Marco Apicio e Giulio Secondo, avvocati famosi, e Vipstanio Messalla, uomo di profonda cultura e autore di memorie sulla guerra civile. Tre sono gli argomenti trattati: se per un uomo di ingegno sia più degno dedicarsi all’oratoria o alla poesia; se l’eloquenza moderna sia pari a quella ciceroniana, giungendo alla conclusione che quest’ultima è superiore; quali siano le ragioni della decadenza dell’oratoria, è questa la parte più interessante. Tacito ne ravvisa le cause non già nel declino della scuola e, più in generale, della cultura e nell’incompetenza dei maestri, fatti che sicuramente si erano verificati, bensì nella cessazione della funzione primaria per cui l’eloquenza era nata, quella cioè di sostenere il dibattito delle idee e il libero confronto politico, venuto meno con la fine dell’età repubblicana e l’avvento del principato: “la pace interna ha distrutto l’eloquenza”. La lucidità dell’analisi e la concezione stessa del principato, che sarà più tardi ripresa nelle grandi opere storiche, sono bene attribuibili a Tacito. Lo stile richiama la concinnitas di Cicerone, se pur filtrata attraverso la lezione di Quintiliano ed è lontano dall’inconcinnitas “tacitiana”delle opere storiografiche. La maggioranza degli studiosi considera il Dialogus opera di Tacito giovane, momento in cui il neociceronianesimo era la tendenza in uso nelle scuole di retorica e che sarebbe stata pubblicata molto più tardi, dopo la morte di Domiziano; altri, con maggior ragione, sostengono che il dialogo sia stato composto dopo l’Agricola e la Germania e che l’impronta ciceroniana debba unicamente attribuirsi all’argomento retorico del trattato.
La Germania
Gli interessi etnografici sono al centro della “Germania”, non a caso scritta in quel particolare momento storico-politico, quando l’agitarsi delle popolazioni ultrarenane indusse Traiano ad affrontare decisamente il problema germanico: unica testimonianza, comunque, di una letteratura specificatamente etnografica che a Roma doveva godere di una certa fortuna.
L’operetta è divisa in 2 parti: nei primi 27 capitoli è descritta la Germania in generale, condizioni del suolo e del clima, abitanti, loro costumi, religioni, leggi, divertimenti, virtù e vizi; la II parte, invece, contiene un catalogo con le notizie particolari dei diversi popoli, in ordine geografico, da occidente ad oriente.
Le suddette considerazioni etnogeografiche (sui popoli e sui luoghi appunto tra Reno e Danubio) non derivano tuttavia da una visione diretta, ma da fonti scritte, e soprattutto dai “Bella Germaniae” di Plinio il Vecchio, che aveva prestato servizio nelle armate del Reno. T. sembra aver seguito la sua fonte con fedeltà, aggiungendo qua e là pochi particolari per ammodernare l’opera: ciò nonostante, rimangono alcune discrepanze, poiché la “Germania” sembra descrivere abbastanza spesso la situazione come si presentava, invero, prima che gli imperatori flavi avanzassero oltre il Reno e oltre il Danubio.
La visione “manichea” presenta barbari sani e Romani corrotti. E’ possibile notare (ed anzi non è rilievo secondario), nell’opuscolo di T., l’esaltazione di una civiltà ingenua e primordiale, non ancora corrotta dai vizi raffinati di una civiltà decadente: in questo senso, tutta l’opera sembra percorsa da una vena implicita di contrapposizione dei barbari, ricchi di energie sane e fresche, ai romani, contrapposizione evidentemente frutto di un filtro etico attraverso il quale lo storico scandaglia osservazioni e descrizioni. E molto probabilmente, al di là di ogni “idealizzazione”, T. intendeva sottolineare la pericolosità di quel popolo per l’Impero: i Germani potevano davvero rappresentare una seria minaccia per un sistema politico basato sul servilismo e sulla corruzione (ovviamente, T. parla anche dei molti difetti di un popolo che gli appare comunque come essenzialmente barbarico). Un accorato invito, dunque, a raccogliere le residue forze contro il potente e minaccioso nemico.
L’Agricola
Di genere biografico, con elementi derivati dagli elogi funebri, è la vita e costumi di Giulio Agricola, suocero di Tacito, pubblicata nel 98. L’opera, in 46 capitoli, è contemporaneamente un panegirico, una monografia storica di tipo sallustiano e un manifesto politico. La Vita tende a delineare la personalità del generale, sottolineandone l’alta umanità la dirittura morale, le doti di funzionario integerrimo e di valente soldato. Dopo aver parlato della sua gioventù e degli studi, Tacito descrive la carriera militare, la campagna militare in Britannia e il suo governatorato: le operazioni di guerra di Agricola offrono l’occasione per digressioni geografiche e etnografiche della regione, che si fondano su ricordi e appunti di Agricola stesso e sui Commentarii di Cesare. L’autore narra poi il ritorno del generale a Roma, il trionfo decretatogli dal Senato e la fredda accoglienza dell’imperatore, geloso della sua gloria, il ritiro a vita privata e la morte (93) per cause non chiare, secondo alcuni per mano di Domiziano. La biografia dell’illustre personaggio dimostra come fosse preferibile alla sterile rinuncia di molti oppositori del regime, giunti fino al suicidio, l’atteggiamento di chi, come appunto Agricola, seppe assolvere fino in fondo al proprio compito, pur sotto la tirannide di Domiziano, cui Tacito sembra imputare la morte del suocero: il dovere verso Roma è più importante dei propri sentimenti di opposizione al principe. Ampi discorsi mettono a fuoco i personaggi, come quelli di Calcago, il capo dei ribelli, e di Agricola, che danno vivacità alla narrazione; lo stile non è ancora del tutto quello di Tacito, si sentono forti echi ciceroniani, sallustiani e liviani.
Le Historiae
Le Historiae furono scritte, come ci conferma in una lettera Plinio il Giovane, intorno al 105 d. C. quindi in età traianea, ed analizzano il periodo storico che va dal 1 gennaio del 69 al 96 d.C., (dalla morte di Nerone a quella di Domiziano); la parte introdotta e costituita da un proemio che fa il punto sugli avvenimenti che precedettero il 69 d.C. L’opera probabilmente doveva constare di 14 libri o di 12 libri, ma purtroppo ce ne rimangono solo quattro e parte del quinto, e cioè gli avvenimenti del 69, con il succedersi in rapidissima successione di quattro imperatori, (Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano).
Nella composizione dell’opera Tacito si servì di numerose fonti storiografiche A fine Aufidii Bassi e dei Bella Germanica di Plinio il Vecchio; inoltre egli si avvalse di testimonianze dirette e talora anche della sua esperienza personale, dal momento che lui stesso era stato testimone oculare di tanti avvenimenti.
Nelle Historiae Tacito non si limita a narrare gli avvenimenti di quegli anni, ma affronta un’analisi profonda della società romana:
°Il senato è descritto come una struttura politica incapace;
°Le truppe hanno preso sempre più potere, al punto da scegliere loro stessi l’imperatore;
°Il popolo ha perduto la propria caratterizzazione etnica, per diventare una massa amorfa che assiste impotente e disimpegnata al succedersi frenetico degli scontri.
Gli Annales
Dopo aver composto le Historiae Tacito decise che se la vita glielo permetteva, avrebbe composto un opera che narrava gli avvenimenti dei regni di Nerva e di Traiano.
Diversamente, poi, decise di parlare di quanto era accaduto da Augusto a Nerone, e di come realmente i tempi della felicitas temporum fossero solo un illusione.
Negli Annales vengono presi in esame gli anni caratterizzati dalla dinastia giulio-claudia, dalla morte di Augusto, (Ab excussu Divi Augustei) fino a quella di Nerone. L’opera probabilmente constava di 18 o 16 libri, ma di essi possediamo soltanto i libri I-IV, con qualche lacuna negli ultimi due che trattano il regno di Tiberio, e i libri XI-XVI, mutili dall’inizio alla fine, che descrivono i regni di Claudio e Nerone fino al 66 d.C. Le lacune non ci consentono di leggere quanto negli Annales è dedicato al regno di Caligola.
Dopo la parte introduttiva che contiene un breve schizzo della storia di Roma dalle origini alle guerre civili, si passa all’analisi del principato, che viene giudicato da Tacito come una trasformazione in negativo delle istituzioni repubblicane, perché ha determinato la fine della libertas, pur dando l’illusione di lasciare in vita le istituzioni della res pubblica. In questa ottica lo storico fornisce uno spazio fortemente negativo di Augusto, in quanto è stato proprio lui a causare la progressiva trasformazione delle istituzioni. Dalla lettura dell’opera emerge un giudizio negativo nei confronti di Augusto e del suo regno. Tacito vede in Ottaviano la causa dell’inizio della decadenza dello stato romano. La critica non tocca solo Augusto m anche Tiberio.
Metodo storiografico
Tacito fu un grande storico, diversamente da come noi intendiamo uno storico oggi, infatti, per i romani la storia fu opus oratorium maxime, un genere letterario d’argomento ovviamente realmente accaduto che seguiva determinate regole compositive e che considerava più importante il fine artistico a quello storiografico. Tacito si concentra sull’obiettività, quello studio scrupoloso delle fonti, delle cause, degli avvenimenti, concentrandosi sui fatti reali.
La ricerca dell’obbiettività sembra essere il problema principale dello storico, tanto che più di una volta sia nelle historiae, sia negli annales, afferma di voler essere imparziale, di voler indagare sui fatti sine ira et studio, lontano dai sentimenti e dalle simpatie. In realtà sembra che questo voglia essere un’excusatio non petita, in altre parole lo storico cerca di prevenire certe accuse di parzialità che non è facile muovergli. Tacito non si accontenta di una descrizione asettica degli avvenimenti, ma fornisce un giudizio su ciò che narra. Lo scrupolo della sua obbiettività va orientato verso le fonti, dove appare molto serio e scrupoloso, analizza tutto ciò che è possibile consultare, dalla letteratura, ai documenti del senato, alle testimonianze dirette e personali, tutto ciò per indagare sulle cause e il meccanismo che le hanno prodotte. Questa ricerca va indirizzata verso l’uomo, siccome gli appare come il centro di tutta la storia. Per questo possiamo raccontare che la storia di Tacito ha una via realistica, portando nella storia il suo contributo d’uomo che ha vissuto direttamente i meccanismi che regolano la vita politica.
Per quanto riguarda la storiografia, Tacito, appare l’ultimo continuatore della più viva tradizione storiografica romana, rilevato da valutazioni negative che egli fa sia dei giudei sia dei cristiani, o perché si sta rendendo conto della forza che stanno avendo su Roma, o perché avverte, anche se in modo inconsapevole, il pericolo del destino di Roma. Dopo di lui si abbandona l’indagine storiografica dando spazio alla curiosità storiografica e alla vacuità aneddotica, e tutto ciò sarà un segno inequivocabile della crisi di Roma di fronte al dilagare del cristianesimo.
Tacito nella cultura romana e moderna
Tacito fu veramente l‘ultimo grande storico del mondo romano, dopo di lui la storiografia imbocco strade diverse o verso indagini biografiche, o nello sforzo di ridurre brevemente il materiale concernente la storia romana.
Nel quarto secolo l’interesse per autori del passato favorì un recupero dell’opera del grande storico, che divenne un insostituibile punto di riferimento per quanti come Ammiano Marcello, tentarono di seguirne l’esempio, sia per quanti si limitavano a scrivere soltanto un sunto della storia romana, (Eutropio). Dopo un lungo silenzio del Medioevo e dell’Umanesimo, che non amavano Tacito, nel 500 ebbe inizio il recupero dell’opera tacitiana e si produsse addirittura sul fine del secolo, un fenomeno che va sotto il nome di TACITISMO. Difatti, autori come Benedetto Varchi presero a modello non più Livio ma Tacito, vedendo in lui, con uno stravolgimento interpretativo, la condanna morale sulla crisi dell’impero.
Tacito con la sua opera avrebbe studiato e descritto i metodi astuti e talvolta subdoli con cui i principi esercitavano il loro potere. Dal 500 in poi Tacito non conobbe più momenti d’oblio e la sua opera fu spesso oggetto d’indagini e discussioni.
Intellettuali come Alfieri e Foscolo, politici come il Manzoni, lo inserirono tra le lettere preferite. Ancora ai giorni nostri lo storico gode d’enorme considerazione
Lo stile
Lo stile risente dell’inquieta e tormentata personalità dell’autore. Non è corretto pensare di identificare attraverso le opere uno stile unico, infatti, Tacito ebbe una notevole evoluzione stilistica sin dalle prime opere.
Nel Dialogus de oratoribus che probabilmente è la prima opera, lo stile appare chiaramente influenzato da Cicerone.
L’Agricola e la Germania segnano un cambiamento perché in esse si evidenzia una svolta asimmetrica, tendenza alla variatio e alla brevità mediante l’uso dell’elissi zeugmi e soprattutto dasindeti. Tutte particolarità presenti in maniera più visibile nelle Historia e negli Annales.
Gli elementi che costituiscono la brevitas, il poeticus color e la varietas della prosa tacitiana sono anche: l’uso frequente di costrutti nuovi e arditi, d’ellissi, asindeti, la valuta asimmetrica dei periodi, l’arcaismo del lessico, la molteplicità di brachilogie, anacoluti, chiasmi, anafore, metafore, le abbreviazioni ed ellissi, che rendono coincisa l’espressione; gli scarti della regola comune, che talvolta rendono laboriosa l’espressione, (participio perfetto con valore di gerundio, accusativo di relazione, complemento di causa espresso con per e l’accusativo, neutro d’aggettivi sostantivato in casi indiretti); l’apposizione o attributi posti a chiusura del periodo; infinito storico; discorso indiretto, frasi lapidarie.
Tacito un poeta della storia
L’opera di Tacito oltre che essere valutata da un punto di vista Storiografico ha anche un immenso valore dal punto di vista artistico, basti pensare alla collocazione dell’uomo al centro del reale, lo studio delle passioni e delle virtù, da un lato, e dall’altro lo scetticismo nei confronti del divino e l’intuizione che esita qualcosa che sfugge alla capacità di comprensione e analisi dell’uomo. Tutto questo ha un impianto strutturale di tipo drammatico, nel senso che tra l’uomo e il destino si stabilisce un continuo conflitto dall’esito sempre incerto. Ciò non deve destare stupore, basti pensare a come Tacito inizia a scrivere, attraverso le tragedie, che utilizza anche in seguito per esprimere i suoi sentimenti politici. I suoi personaggi sono orientati in questa prospettiva tragica, tanto che lo storico le delinea con grande perizia psicologica.
Accusa più volte analizzate nei personaggi è quella della SIMULAZIONE, (Tiberio). Così Tacito nell’analisi dei fatti non si limita alla loro descrizione ma ne ricerca le cause e crede di rintracciarle nell’intimo dell’uomo, così la storia tende a diventare psicologica e moralista, volta allo scavo interiore dei personaggi.
Un altro elemento drammatico di Tacito è il grande uso dei discorsi dei personaggi storici. Di quest’ultimo Tacito si vale anche per esprimere nella vivacità di una vera azione il proprio parere, o meglio le proprie valutazioni politiche e morali su quanto sta rappresentando.
Rapporti con Plinio il Giovane
Nel 106 d.C. Tacito, dovendo scrivere un racconto storico degli anni relativi all’eruzione del Vesuvio che distrusse Ercolano e Pompei (79 d.C.), chiese all’amico Plinio il Giovane di fornirgli notizie relative alla morte dello zio Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), comandante della flotta romana a Misero ed autore della Historia naturalis, un‘enciclopedia di 37 volumi. Quest’ultimo, secondo la tradizione, aiutò le popolazioni colpite dalla catastrofe ma morì asfissiato dai vapori del vulcano a causa della sua eccessiva curiosità che lo spinse ad osservare il fenomeno troppo da vicino (in realtà morì probabilmente per cause cardiache).
Tacito fu talmente interessato alla prima lettera dell’amico che gliene chiese una seconda che lo ragguagliasse sulla sorte sua e di sua madre dopo la morte dello zio (presso il quale Plinio il Giovane viveva in quanto orfano di padre).
Le lettere descrivono minuziosamente il fenomeno eruttivo, la morte di Plinio il Vecchio e i danni subiti dal Giovane e dalla madre a causa di questa perdita.
Lo stile e la fortuna
La scrittura di Tacito, intensa e di grande suggestione artistica, è originalissima; la prosa, concisa e allusiva, predilige le ellissi, le metafore violente, la varietas (dissimmetria) con mutamenti inaspettati di struttura e nell’ordine delle parole. Il lessico alterna termini arcaici e solenni, poetici, di origine popolare e introduce nuove sfumature semantiche. I suo ritmi, rapidi e spezzati, contrastano con la calibrata euritmia e perfezione formale del gusto ciceroniano. L’incontestata eccellenza artistica dell’autore, comunque, non può portare a svalutare il significato e la grandezza della sua analisi del mondo romano, come pure è accaduto da parte di alcuni critici. Alla lezione di Tacito, storico di un’età di “tiranni”, si richiamò F. Guicciardini nei Ricordi.
- Lo storico che continuò l’opera di Tacito è lo storico romano di età tardo imperiale Ammiano Marcellino che scrisse un testo noto con il titolo latino di Res Gestae sia con quello italiano di Storie.
Versioni e traduzioni di Tacito:
Approfondimento sulla Storiografia
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