Era il 28 luglio del 1914, quando l’Austria dichiarò ufficialmente guerra alla Serbia, dopo l’assassino dell’erede al trono d’Austria, Francesco Ferdinando. L’assassinio, infatti, era avvenuto proprio a Sarajevo, esattamente un mese prima dell’inizio della guerra, per mano di Gavrilo Princip, uno studente nazionalista serbo-bosniaco.
Pochi giorni dopo la dichiarazione di guerra, esattamente il 2 agosto, l’Italia annunciò che non avrebbe partecipato al conflitto, pur essendo legata alla coalizione della Triplice alleanza: l’atto, in realtà, non risultò come clamoroso, dal momento che l’offensiva serba costituiva un atto di aggressione da parte dell’Austria, mentre i trattati che legavano l’Italia ai suoi alleati erano di matrice esclusivamente difensiva. La scelta, però, non fu facile, anche perché le spinte che arrivavano dal paese erano molto eterogenee, tanto da poter dire che l’Italia e gli italiani erano praticamente divisi a metà tra chi intendeva partecipare al conflitto e chi invece si faceva sostenitore di una politica di neutralità. Entrambi gli schieramenti, in realtà, racchiudevano al proprio interno anime molto differenti, accomunate talvolta esclusivamente dalla posizione riguardo un eventuale intervento in guerra.
Da una parte, schierati a favore della guerra, c’erano gli interventisti. Al loro interno, innanzitutto i nazionalisti, che sostenevano la necessità di un ingresso dell’Italia in guerra, al fine di riconquistare territori un tempo appartenuti all’Italia, ma non solo. Tra loro, per esempio, c’era anche chi sosteneva la necessità della guerra per annettere territori che in qualche maniera potessero “spettare” o andassero annessi allo stivale. In un primo momento, infatti, l’interesse si rivolgeva verso i territori di dominio francese (Nizza, la Corsica e la Tunisia), ma dopo poco (forse anche a causa delle sorti della guerra), i nazionalisti rivolsero le proprie simpatie verso lo schieramento dell’Intesa (Francia, Inghilterra e Russia). Il loro obiettivo, infatti, era diventato quello di strappare all’Austria le città di Trento e Trieste, oltre che l’Istria e la Dalmazia. Meno radicale era la posizione degli “irredentisti”, che sostenevano la guerra al fine della riconquista di terre italiane, e che identificavano il conflitto come una prosecuzione del percorso risorgimentale e unitario. Tra gli irredentisti, proprio per questa ragione, vi erano anche alcuni ex esponenti del partito socialista, a cominciare dal futuro primo ministro Bonomi, e del partito radicale.
Dall’altro lato, molto forte era anche il movimento di opposizione alla guerra. Da un punto di vista politico, infatti, all’opposizione dei socialisti (sostenitori dell’internazionalismo pacifista, e storicamente contrari ai conflitti “imperialisti”) si era aggiunta quella dei i cattolici, soprattutto dopo la condanna della guerra da parte di Benedetto XV. Favorevoli alla neutralità italiana, erano inoltre la maggior parte dei liberali, in particolar modo quelli che facevano riferimento alle posizioni di Giovanni Giolitti. Al di là della parte politica, però, larghe fasce di popolazione italiana si dimostrarono contrarie alla guerra: innanzitutto le masse operaie, di simpatia socialista; poi quelle contadine, sulle quali grande influenza aveva avuto la posizione della chiesa. Inutile dire, inoltre, che questi due enormi segmenti di popolazione sarebbero stati quelli che avrebbero pagato, in maniera più eclatante in termini numerici, la guerra sulle proprie spalle; infine gli intellettuali, anche se tra questi spiccavano figure come quelle di D’Annunzio, apertamente favorevole alla guerra, che veniva nel manifesto futurista addirittura definita come la “sola igiene del mondo”.
Alla fine, l’eterogeneità dello schieramento degli interventisti, fu forse proprio uno dei motivi che incise più di tutti nell’ingresso dell’Italia in guerra. A sostenere questa opzione, infatti, vi era l’intero arco “istituzionale” delle destre (quella conservatrice e moderata, e quella estrema e nazionalista); coloro che si professavano seguaci ed eredi del risorgimento e della politica mazziniana; infine una parte dei socialisti e dei repubblicani. Non va trascurato, infine, il fatto che determinante per l’ingresso in guerra dell’Italia, fu la posizione essenzialmente conservatrice del neoeletto governo Salandra, che decise di intraprendere la strada dell’intervento – stringendo successivamente degli accordi segreti con l’Intesa – per la paura di una eventuale rivota sociale, prospettiva all’epoca non esattamente irrealizzabile, anche alla luce degli eventi noti come “la settimana rossa” che avevano coinvolto il paese nel giugno dello stesso anno.
- Tesine