La cosmologia è tra le discipline più antiche, eppure soltanto nel corso di questo secolo è venuta acquistando un carattere scientifico, sulla base dei nuovi strumenti forniti dalla relatività e dalla fisica delle particelle; esse hanno dato vita a modelli suffragati da nuove osservazioni astronomiche favorite da più efficienti telescopi e soprattutto dall’introduzione della radioastronomia.
Un dato importante per l’approccio al problema è l’anno 1917, in cui Albert Einstein (1879 –1955) elaborò una cosmologia matematica nella quale trovano applicazione i principi della relatività generale.Tale modello prospettava l’ipotesi di un universo chiuso, sferico, quadridimensionale, la cui novità più significativa si coglieva nell’immagine di un spazio finito e nondimeno illimitato. In esso vigeva il principio cosmologico, in base al quale l’universo, su ampia scala, avrebbe dovuto presentarsi fondamentalmente uniforme e isotropo a qualunque osservatore, ovunque egli fosse collocato e in qualunque direzione guardasse. Einstein era certo che l’universo fosse statico, ma i suoi calcoli diedero risultati opposti: un universo oscillante che potenzialmente poteva espandersi e contrarsi. Così fu costretto a correggere la sua equazione originale introducendo una costante cosmologica, che, interpretata in termini fisici, implicava una forza di repulsione gravitazionale a grandi distanze.
Altri modelli relativistici furono elaborati da Willem de Sitter (1871 – 1934) in collaborazione con Einstein, e del matematico russo Aleksandr Friedmann (1888 – 1925), che, abbandonato il modello statico, nel 1922 determinò matematicamente le tre possibili condizioni di sussistenza dell’universo, in dipendenza della quantità di materia presente in esso: universo aperto, destinato cioè ad espandersi indefinitamente; universo chiuso, destinato a contrarsi; universo piatto, anch’esso destinato a espandersi ma con una velocità sempre più piccola. Nel 1917 un belga di nome George Lemaitre creò una cosmologia che prediceva un universo che si espandeva. Entrambe le soluzioni di Friedmann e Lemaitre vennero analizzate da Einstein e sommariamente respinte.
Fu soltanto quando Hubble scoprì che l’universo era realmente in espansione che Einstein fu costretto ad abbandonare il suo modello statico dell’universo. Nel 1929, infatti, Edwin Hubble (1899 – 1953), analizzando le righe spettrali delle galassie interpretò il loro caratteristico red-shift , cioè lo spostamento verso il rosso dello spettro come fenomeno dovuto dalla velocità di allontanamento delle galassie e scoprì che essa è direttamente proporzionale alla loro distanza da noi. Il fenomeno è analogo a quello che si riscontra per i suoni, scoperto da Doppler. La prima impressione che se ne trae è che la terra debba trovarsi al centro di una regione di irraggiamento, da cui le galassie si vanno allontanando; in realtà questa recessione va invece interpretata come una progressiva dilata¬zione dello spazio intergalattico (in pratica le distanze vanno uniformemente aumentando in tutto l’universo proprio come aumentano uniformemente le distanze tra i punti di un pallone che si vada gonfiando).
L’osservazione dell’espansione dell’universo, combinata con i modelli di Friedmann e Lemaitre che la predicevano, trovò d’accordo cosmologi e astronomi. La sola questione che rimaneva era: se l’universo si sta espandendo, quale fu l’origine di questa espansione? Infatti, estrapolando all’indietro nel tempo questo moto di recessione delle galassie, è facile concludere che materia e radiazioni, che si trovano oggi sparpagliate nell’universo, dovessero essere un tempo concentrate in una zona estraneamente piccola e densa che poi è esplosa grazie a qualche fenomeno che ha prodotto energia.
Considerazioni di questa natura condussero alla formulazione di un modello evolutivo dell’universo prima Lemaitre e successivamente tre fisici di nome Alpher, Bethe e Gamow: la teoria del Big Bang fece il suo ingresso nella storia sulla fine degli anni ’40.
Ma a tale modello si contrappose con un certo successo verso la metà del nostro secolo un modello stazionario elaborato da Fred Hoyle, Thomas Gold ed Hermann Bondi, secondo il quale l’universo sarebbe fondamentalmente uniforme, attraverso il tempo, nonostante l’espansione.
BIG BANG O STATO STAZIONARIO?
Nel 1946 il fisico russo George Gamow sviluppò la teoria di Lemaitre, utilizzando le nuove scoperte nella teoria dei quanti.
Gamow disse che all’inizio l’universo doveva essere composto da una sostanza primordiale chiamata Ylem (dal greco “materia primordiale”). Ylem era un gas di neutroni estremamente caldo (10 miliardi di gradi) e poiché i neutroni erano “liberi”, cominciarono a decadere in protoni e obbligatoriamente in elettroni e neutrini Il risultato fu un mare in ebollizione di neutroni e protoni. Con il calore intenso, protoni e neutroni cominciarono a fondersi in elementi sempre più pesanti. Alcuni elementi con lo stesso numero di protoni presentavano un numero diverso di neutroni (sono conosciuti come isotopi). Secondo la teoria di Gamow, tutti gli elementi dell’intero universo si formarono in questo modo durante i primi venti minuti dopo il Big Bang. Poiché i neutroni liberi si trasformano continuamente in protoni, dopo un certo periodo di tempo il numero complessivo di protoni fu superiore a quello dei neutroni; di conseguenza molti protoni non trovarono i neutroni compagni e gran parte della materia primordiale rimase sotto forma di protoni, ovvero di nuclei di idrogeno. Sebbene questa ipotesi sembrasse spiegare senza difficoltà l’origine dell’idrogeno e dell’elio, funzionava meno bene per gli elementi più pesanti. Infatti, dopo che l’universo si espandeva e si raffreddava, le opportunità e le energie necessarie per costituire nuclei più pesanti diminuivano. Nonostante non ne potesse essere certo, Gamow ipotizzò che gli elementi più pesanti potevano essersi formati nella fase successiva al Big Bang.
Gran parte dei calcoli dettagliati a supporto di tale ipotesi, furono opera del suo allievo Ralph Alpher. Egli e Gamow scrissero un articolo sull’argomento che fu pubblicato sul “Phsical Review”. In questa occasione Gamow chiese al fisico tedesco Hans Bethe di essere coautore dell’articolo e così la pubblicazione “Alpher, Bethe, Gamow” (alfa, beta, gamma) entrò a pieno diritto nella letteratura cosmologica: una trovata particolarmente azzeccata per un articolo sull’inizio dell’universo!
Alpher e il fisico Robert Herman scrissero un’appendice che conteneva una previsione semplice ma completa, previsione che costituisce la base della cosmologia moderna. I protoni, per fondersi nei nuclei, devono possedere abbastanza energia da superare la repulsione elettrica dei protoni appartenenti ai nuclei bersaglio. Per permettere ciò, l’universo primitivo doveva essere molto caldo. Ma se fosse stato troppo caldo i protoni, i neutroni e i fotoni carichi di energia avrebbero fatto esplodere i nuclei man mano che si formavano. Di conseguenza, pochi minuti dopo la creazione, la temperatura doveva trovarsi entro una fascia di valori molto ristretti. Nell’elaborare i dettagli essi osservarono che l’universo era cominciato come un’intensa palla di fuoco e man mano che si espandeva, la radiazione (il calore) non sarebbe rimasta inalterata, ma si sarebbe attenuata costantemente. Iniziando con una temperatura di vari miliardi di gradi, l’universo si sarebbe raffreddato gradualmente con il passare del tempo e con l’espansione dello spazio. Calcolarono anche che la temperatura dell’universo attuale dovrebbe essere di circa 5 gradi Kelvin. Se il Big Bang aveva avuto luogo, come affermavano Gamow, Alpher e Herman, l’universo sarebbe dovuto essere immerso in una debole radiazione di fondo , come un’eco di quell’evento primordiale, con una tem-peratura equivalente di 5 gradi Kelvin. Se non vi fosse stato alcun Big Bang, non vi sarebbe stata tale radiazione.
Ed era lì nell’articolo di Alpher e Herman: la radiazione di fondo cosmico, un indizio tangibile del Big Bang. Negli anni Quaranta non vi era modo di rilevare un debole bagliore residuo nello spazio, e così, per due decenni, la supposizione di Alpher e Herman rimase nell’ombra, tranne che per i suoi autori.
Sull’altra sponda dell’Atlantico, in Inghilterra Fred Hoyle, Thomas Gold e Hermann Bondi sfidarono la teoria di Gamow – Alpher – Hemann, basata sull’universo iniziato con il Big Bang, e impostarono quello che speravano sarebbe stata una replica devastante.
La teoria del Big Bang implicava che man mano che lo spazio si espandeva e le galassie si spostavano verso l'esterno, il cosmo si sarebbe dissipato gradatamente, come una nube. Gold respinse una tale possibilità e affermò che l’universo non si sarebbe dissipato mai poiché non solo genera continuamente nuovo spazio per l’espansione, ma genera anche nuova materia per sostituire le vecchie galassie! Da dove è venuta la materia? Dal nulla! Secondo Gold l’universo produceva costantemente nuovi atomi dal vuoto. Questi nuovi atomi si raggruppavano nelle galassie che continuavano ad espandersi verso l’esterno.
In breve, l’universo era in una condizione stazionaria, ovvero rimaneva essenzialmente allo stato presente. Era omogeneo non solo nello spazio (come era stato sostenuto in genere per anni dal principio cosmologico), ma anche nel tempo. Quindi Hoyle e i suoi colleghi definirono la loro idea principio cosmologico perfetto. Dieci miliardi di anni fa l’universo aveva presentato, e in futuro avrebbe presentato, le stesse caratteristiche di oggi.
L’inizio e la fine dell’universo
Ai tre teorici questa idea piaceva molto, fra l’altro perché consentiva loro di aggirare uno dei problemi principali inerenti la teoria del Big Bang: il postulare l’inizio dello spazio e del tempo, un inizio invalicabile per la mente.
Nel 1948 essi pubblicarono articoli sull’argomento, Bondi e Gold insieme, Hoyle da solo. L’impostazione di Hoyle era più matematica, quella di Bondi e Gold più filosofica. Ma anche Hoyle dimostrava un certo compiacimento filosofico per le implicazioni rassicuranti della teoria: l’universo non sarebbe mai morto. Sino ad allora il suo destino era apparso ineluttabile. “Senza la creazione continua” scrisse Hoyle nel 1950 “l’universo deve evolversi verso una condizione in cui tutta la materia è condensata in un grande numero di stelle morte. …”D’altra parte, con la creazione continua, il futuro dell’universo diventa infinito e tutte le sue attuali caratteristiche su vasta scala vengono conservate”.
Le leggi fisiche
Il fascino della teoria dello stato stazionario era dovuto anche alla sua forza intellettuale: era assai più facilmente trattabile dal punto di vista dell’analisi scientifica. Il Big Bang postulava un inizio dell’universo con condizioni assai diverse da quelle che conosciamo oggi , e quindi al di là di quello che i fisici potevano spiegare (almeno con la cognizione degli anni Quaranta e Cinquanta). La teoria dello stato stazionario non presentava una tale lacuna. Nella loro pubblicazione del 1948, Bondi e Gold sostenevano che l’universo dello stato stazionario era “convincente in quanto solo in un tale universo le leggi della fisica sono costanti”. I fisici si sentivano più a loro agio con una teoria di cui potevano calcolare le proporzioni.
Questo fu il motivo per cui la teoria dello stato stazionario divenne famosa negli anni Cinquanta e Sessanta e, per credibilità , venne considerata alla stregua della teoria del Big Bang.
La creazione continua di materia
E’ pur vero che la teoria dello stato stazionario era basata su un idea analogamente incomprensibile: la creazione continua di materia dal nulla. Questo “può apparire un’idea molto strana e ne convengo” affermò Hoyle “ma in ambito scientifico non ha importanza quanto sia strana un’idea, purché funzioni, cioè purché l’idea possa essere espressa in una forma precisa e purché le sue conseguenze siano in accordo con le osservazioni”. Disse che la materia poteva essere creata continuamente da un ipotetico “campo creativo”, simile a un campo gravitazionale o elettromagnetico. Il ritmo della creazione della materia era stabilito dal ritmo in cui si allontanavano le galassie; più velocemente si allontanavano, maggiore era la quantità di materia creata. In realtà, era solo la crea¬zione di nuova materia a provocare l’espansione del cosmo.
Con quale velocità veniva creata la nuova materia? Per il cosmo nel suo insieme si trattava di una produzione elevatissima: in tonnellate, il valore totale prodotto ogni secondo corrispondeva almeno a uno seguito da 32 zeri. Un tale ritmo minacciava di violare il principio di conservazione della massa e dell’energia. I teorici dello stato stazionario ammettevano l’esistenza di un mistero, ma in¬sistevano nell’affermare che era più semplice immaginare la creazione lenta e regolare della materia dal nulla, piuttosto che la creazione istantanea di tutta la materia descritta dai teorici del Big Bang.
La teoria dello stato stazionario presentava un chiaro vantaggio rispetto a quello del Big Bang: non doveva spiegare ciò che era accaduto prima della creazione dell’universo, questo era indubbiamente assai allettante. La teoria del Big Bang implicava che tutte le caratteristiche del cosmo (i vari tipi di forza, le costanti fisiche….) erano state arbitrariamente determinate all’inizio; o, in altre parole esistevano delle “condizioni iniziali” particolari. Se ciò era vero, la loro origine (dicevano i critici) era per sempre al di là di ogni comprensione scientifica. I teorici non vogliono mai sentire parlare di cose che vanno oltre la loro capacità di comprensione. Hoyle affermò che i sostenitori del modello del Big Bang erano obbligati, a causa della loro ignoranza delle leggi della fisica, a ricorrere a condizioni iniziali arbitrarie postulando l’esistenza di divinità. L’obiettivo della scienza non è quello di costruire una teoria talmente vincolata da condizioni protettive che nessuno può accedervi.
Talvolta il dibattito fra i teorici del Big Bang e quelli dello stato stazionario assunse più l’aspetto di un confronto fra diverse scuole filosofiche che fra diverse scuole di cosmologia. Ma, in definitiva, né le battute, né la filosofia avrebbero deciso il vincitore della battaglia fra la teoria del Big Bang e quella dello stato stazionario. Queste teorie, come tutte le teorie scientifiche, sarebbero state convalidate nella misura in cui le previsioni erano in armonia con le osservazioni. La teoria dello stato stazionario e quella del Big Bang espressero varie possibili età del cosmo, affermarono l’abbondanza di vari elementi, la distribuzione della materia nello spazio e nel tempo e l’esistenza di radiazione residua della palla di fuoco originale.
Previsioni delle teorie
I) l’Età del Cosmo
Basandosi sulla velocità di recessione delle galassie, Gamow e i suoi colleghi calcolarono che l’età dell’universo doveva essere di 1,8 miliardi di anni. I sostenitori della teoria dello stato stazionario pensarono invece che il cosmo fosse infinitamente vecchio.
Dapprima sembrò che la teoria del Big Bang sarebbe naufragata in questo punto cruciale. I dati radio – isotopici delle rocce facevano ritenere che l’età della terra fosse di 4 o 5 miliardi di anni. Se i calcoli di Gamow erano corretti, il pianeta era ben più vecchio dell’universo e ciò era ovviamente assurdo. Per un certo periodo di tempo, questa discrepanza costituì un elemento incoraggiante per i teorici dello stato stazionario. Questa discrepanza scomparve, tuttavia, negli anni Cinquanta quando l’astromo tedesco Walter Baade (1893 – 1960) dimostrò che Hubble aveva sottovalutato la distanza delle galassie, sottovalutando quindi l’età dell’Universo. Il cosmo era in realtà assai più vecchio, probabilmente fra i 10 e i 20 miliardi di anni, il che lasciava alla terra tutto il tempo necessario per la sua formazione secondo quanto stimato.
II) Abbondanza degli elementi
Partendo dalla loro teoria sull’origine degli elementi Gamow, Alpher e Herman affermavamo che circa tre quarti della materia cosmica è composta da idrogeno e un quarto da elio. Tutti gli elementi più pesanti rappresentano meno del 1%. Inoltre, aggiunsero che gli elementi devono essere distribuiti abbastanza uniformemente nell’universo, in quanto il Big Bang ha avuto luogo ovunque. Al contrario, Hoyle e i suoi sostenitori affermarono che l’abbondanza di elementi variava nello spazio poiché gli elementi erano forgiati nelle fornaci celesti: le stelle.
Come spesso accade nelle discussioni, entrambe le parti avevano parzialmente ragione. Gamow e i suoi colleghi erano convinti della capacità del Big Bang di generare l’abbondanza di idrogeno e elio che era stata osservata; erano tuttavia meno convinti che gli stessi processi avessero potuto generare gli elementi più pesanti. Negli anni 1949 – 50 Enrico Fermi e Anthony Turkevich dell’Università di Chicago dimostrarono che l’incertezza di Gamow era giustificata. Elementi più pesanti dell’idrogeno e dell’elio non potevano essere stati prodotti dal Big Bang. I loro esperimenti dimostrarono che gli isotopi con numero di massa di 5 e 8 erano instabili e non sarebbero potuti durare abbastanza a lungo da assorbire più protoni e neutroni e, quindi, aggregarsi in elementi più pesanti. I fautori del Big Bang erano perciò in grado di spiegare l’origine degli elementi leggeri (idrogeno ed elio), ma non di quelli pesanti (ogni elemento più pesante dell’elio).
I teorici dello stato stazionario avevano il problema opposto: i processi nucleari all’interno delle stelle potevano produrre gli elementi pesanti, ma non l’idrogeno e l’elio. A metà degli anni Sessanta Hoyle ammise di essersi trovato imbarazzato quando gli fu chiesto di fornire una chiarificazione semplice all’interno della teoria dello stato stazionario per spiegare l’abbondanza di elio presente in natura. Invece, l’elevato calore e la densità dell’universo primordiale del Big Bang pote¬vano chiaramente giustificare l’abbondanza di elio.
Hoyle offrì un importante contributo per la comprensione dell’origine degli elementi più pesanti con i calcoli che pubblicò negli anni Quaranta e Cinquanta. Egli, William A. Fowler, Geoffrey e Margaret Burbidge dimostrarono come gli elementi pesanti potevano essere stati “cotti” all’interno delle stelle, con l’idrogeno e l'elio che agivano da materie prime. Queste stelle alla fine esplosero ed espulsero i frammenti nella galassia. Milioni di anni dopo, quei frammenti si condensarono in nuove stelle e pianeti. La loro ricerca rivoluzionò le nostre conoscenze sulla ricchezza di elementi esistenti e oggi è generalmente accettata come la spiegazione dell’origine degli elementi pesanti.(Gran parte del nostro corpo è costituito da atomi prodotti all’interno di una stella che successivamente è esplosa. Siamo costituiti letteralmente di polvere di stelle.)
L’origine degli elementi è quindi un processo in due fasi. L’idrogeno e l’elio sono stati prodotti nei primi stadi di un evento creativo primordiale (il Big Bang); gli elementi pesanti sono stati invece prodotti successivamente durante i processi nucleari all’interno di stelle. La teoria del Big Bang si concilia con questo quadro, quella dello stato stazionario no.
III) La distribuzione della materia nello spazio e nel tempo
I sostenitori dello stato stazionario affermavano che gli astronomi dovrebbero vedere:
a) galassie di età diverse: galassie estraneamente vecchie e galassie estraneamente giovani;
b) nessuna variazione rilevante nella densità e nel tipo di galassia nello spazio e nel tempo.
Il motivo di tutto questo è da ricercare nell’eternità del cosmo e nel fatto che la materia viene creata continuamente; quindi si formano sempre nuove galassie per sostituire le vecchie che si allontanano nello spazio.
Al contrario, i teorici del Big Bang affermavano che gli astronomi avrebbero dovuto osservare un numero sempre maggiore di galassie per unità di volume man mano che le loro indagini erano più profonde nello spazio e, quindi, nel tempo (cioè, man mano che si avvicinavano al Big Bang). Ciò è dovuto al fatto, essi sostenevano, che tutta la materia è stata creata nel Big Bang; per cui la densità del cosmo dovrebbe diminuire man mano che essa si espande. E guardando più in là e più lontano nel tempo, i teorici del Big Bang affermavano che gli astronomi avrebbero dovuto vedere l’evoluzione delle galassie.
L’ultima intuizione fu la più famosa di tutte e, in ultima analisi, sanò il conflitto cosmologico.
IV) La temperatura nello spazio
La pubblicazione del 1948 di Ralph Alpher e Robert Herman conteneva la loro dichiarazione, ora famosa, ma a lungo dimenticata, sulle radiazione di fondo cosmico. L’universo del Big Bang avrebbe dovuto iniziare con un calore molto intenso e via via che l’universo si espandeva la radiazione per volume unitario si sarebbe dovuta attenuare costantemente. Questo “brodo” di radiazioni presente ovunque si sarebbe quindi raffreddato con il passare del tempo. Oggigiorno, secondo i calcoli dei due scienziati, questo riverbero di radiazioni si sarebbe raffreddato a una temperatura di circa 5 gradi Kelvin. I due incoraggiavano anche i ricercatori a cercare di rilevarla. Passarono tuttavia sedici anni dalla congettura di Alpher e Herman prima che qualcuno cercasse di scoprire la radiazione residua. Al contrario, il modello dello stato stazionario non faceva previsioni sulla temperatura dell’universo.
La crisi del modello stazionario
La prima minaccia alla teoria dello stato stazionario coinvolse la nostra terza ipotesi: la distribuzione della materia nello spazio e nel tempo. Ironicamente la minaccia non giunse da Gamow e dai suoi colleghi d’oltre oceano ma da uno dei colleghi di Hoyle a Cambridge, il radioastronomo Martin Ryle.
I suoi risultati stupirono i sostenitori dello stato stazionario. Nel 1946 erano state scoperte le radiogalassie. Egli rilevò che esse non erano distribuite uniformemente nello spazio. Più erano distanti e più erano numerose. Questo significava che la densità delle galassie radio era maggiore nel passato (perché più lontano si guarda nello spazio più indietro si vede nel tempo).Questo contrastava con la teoria dello stato stazionario secondo la quale la materia è distribuita uniformemente nello spazio e nel tempo. Vi fu polemica, ma i risultati vennero confermati. Quindi il cosmo non è omogeneo nello spazio e nel tempo come sosteneva il principio cosmologico perfetto di Hoyle, Bondi e Gold.
Agli inizi degli anni ’60 fu scoperto un esempio ancora più celebre comprovante la non uniformità della materia: i quasar. Questi “oggetti quasi-stellari” presentavano uno spostamento verso il rosso molto elevato. Quindi, secondo la legge di Hubble, i quasar si erano formati molto tempo addietro, quasi all’epoca del Big Bang (Ancora più rilevante era il fatto che essi erano assai diversi da qualsiasi cosa osservata nell’universo attuale: emettevano quantità sorprendenti di radiazioni da zone estremamente limitate. Oggigiorno si ritiene che i quasar siano nuclei molto attivi di galassie giovani). In breve, i quasar ritraevano un universo primordiale assai diverso da quello attuale e, quindi, assai diverso dall’universo immutabile della teoria dello stato stazionario.
Con l’intensificarsi delle critiche, la teoria dello stato stazionario di Hoyle cominciò a vacillare. Nel 1965 egli ammise che “le misure radio indicano che l’universo era più denso nel passato di quanto non sia oggi” e i quasar suggerivano che “ l’universo si è espanso da una condizione di densità maggiore… appare probabile che l’idea dello stato stazionario debba essere scartata, perlomeno nella forma in cui è divenuta famosa”. Negli anni successi, comunque, Hoyle ritornò ad una visione modificata dello stato stazionario. A tutt’oggi, sostiene che un qualunque tipo di teoria della creazione continua è da preferire al Big Bang.
Tuttavia, c’era chi poneva obiezioni più radicali alla teoria del Big Bang mettendo in discussione le valutazioni di distanza, che erano effettuate in base al RED – SHIFT: ciò che si riteneva essere universo lontano in realtà, dicevano, non lo era, perché il red – shift avrebbe potuto essere relativo ad altri fattori e non solo alla distanza. Queste critiche scardinavano le previsioni I, II, III. Infatti non si sarebbe potuta valutare né l’età del cosmo né la densità della materia, non essendo atten¬dibili i calcoli sulla velocità di recessione delle galassie e quindi sulla distanza, né l’abbondanza di elio nell’universo. I sostenitori del Big Bang dichiaravano, infatti, che se l’elio fosse stato prodotto solo dall’evoluzione stellare, come affermavano gli stazionari, una stella più lontana e quindi più vecchia avrebbe dovuto avere molto meno elio, ma questo non si riscontrava perché nelle stelle più antiche era già presente il 20% di elio. A questo punto, però, entravano in gioco i concetti di corpi lontani e corpi vicini e quindi diventava un dialogo fra sordi, perché gli stazionari giudicavano non attendibili le valutazioni di distanza.
I sostenitori del modello del Big Bang ponevano un’altra obiezione: l’universo è relativamente giovane (16 miliardi di anni circa) e quindi l’evoluzione stellare non avrebbe avuto il tempo necessario per produrre una percentuale di elio come quella osservata, visto che una stella impiega 10 miliardi di anni per produrlo. Gli stazionari rispondevano dicendo che l’universo non era nato 16 miliardi di anni prima e quindi il problema per loro non esisteva.
Comunque, a metà degli anni ’60, la teoria dello stato stazionario si ritrovava sul ciglio di un burrone. Sarebbe stata sufficiente una piccola spinta per farla precipitare.
E questa spinta arrivò con la scoperta della famosa radiazione fossile compiuta nel 1964 dagli statunitensi Arno Penzias e Robert Wilson. Si trattava di una radiazione appartenente alla gamma delle onde radio corrispondente a quella di un corpo nero alla temperatura di circa 3 gradi Kelvin, che proveniva da ogni direzione dello spazio ed era interpretabile come il residuo fossile della radiazione del Big Bang.
Quando ha avuto origine la radiazione di fondo cosmico?
Nell’istante t = 0 tutta la materia e tutta l’energia oggi presente nell’universo erano concentrate in una zona estremamente ristretta (sulle cui caratteristiche, trattandosi di una singolarità, non è possibile formulare alcuna ipotesi allo stato attuale, in quanto si è giunti alla ricostruzione della storia passata dell’universo sino a pochissimi istanti dopo la sua nascita, a circa 10-43 secondi).
Nell’istante iniziale si verificò un’esplosione che provocò l’espansione dell’universo e la sua sostanziale trasformazione. Le prime fasi dell’universo erano caratterizzate da condizioni di temperatura e di densità molto elevate. In queste condizioni era possibile un’intercambiabilità tra materia ed energia. L’energia, presente sotto forma di onde elettromagnetiche e quindi di fotoni elettromagnetici, poteva materializzarsi in una particella e in una antiparticella, che potevano poi annichilarsi nuovamente in una radiazione elettromagnetica. Man mano che l’universo si espandeva, la probabilità che particella e antiparticella si riannichilassero diminuiva e cominciava quindi a rimanere una certa quantità di materia non annichilata. A questo punto la quantità di particelle e di onde si stabilizzò su certi valori a favore delle onde: una particella ogni 108 fotoni. Le particelle erano quindi in minoranza (Queste particelle oggi sono i costituenti degli atomi). Esisteva la possibilità che queste particelle potessero interagire fra di loro trasformandosi le une nelle altre, per esempio secondo queste reazioni:
p+ + e– → n + v
v + n → p+ + e–
Il numero delle particelle era quindi continuamente variabile. A queste reazioni partecipavano anche i neutrini. Caratteristica fondamentale di queste particelle è la scarsissima interazione con altre particelle perché non soggiacciono a campi elettrici o a campi gravitazionali. Tuttavia, nell’universo primitivo che era ad altissima densità, anche la minima massa di neutrini era sufficiente per non permettere loro di sfuggire all’attrazione gravitazionale: potevano, quindi, partecipare a queste reazioni. Man mano che l’universo si espandeva diminuiva la densità, i neutrini diventavano sempre più sfuggenti, finchè, ad un certo punto, non sentirono più l’attrazione gravitazionale degli altri corpi e smisero di partecipare a tali reazioni. In quel momento si fissò il numero di protoni e neutroni presenti nell’universo con un rapporto di otto a uno. In uno stadio successivo le condizioni dell’universo erano paragonabili alle condizioni attuali all’interno di una stella: una temperatura di qualche milione di gradi Kelvin e una densità piuttosto elevata. Erano quindi possibili le prime reazioni nucleari, che hanno utilizzato prevalentemente i protoni per formare nuclei: in pochi minuti parte dei protoni si è trasformata in nuclei di elio, litio, boro e deuterio. Questa fase è terminata quando la temperatura è scesa a valori non più compatibili con le reazioni nucleari .E’ in questa fase che si è formato circa il 20% di elio.
Poiché la temperatura era elevata c’erano da una parte nuclei e dall’altra elettroni, che avevano energia sufficiente per non essere catturati definitivamente. Quando la temperatura scese ulteriormente nuclei ed elettroni si unirono a formare atomi neutri.
In questo momento sarebbe nata la radiazione di fondo cosmico a microonde. Prima, infatti, poiché gli elettroni non facevano parte degli atomi, potevano svolgere un ruolo di collegamento tra materia ed energia. A questo punto non era più possibile.
L’evoluzione della materia proseguì quindi indipendente da quelle delle onde elettromagnetiche ed entrambi parteciparono all’espansione dell’universo. La radiazione, che, nel momento in cui è avvenuta questa separazione, aveva una lunghezza d’onda estremamente ridotta, ha subito da allora a oggi un altissimo red – shift: partita come radiazione ultravioletta o più ci arriva oggi come onde radio.
La materia poi si è evoluta producendo altri nuclei più pesanti , formando molecole….
E le antiparticelle?
Tuttavia una questione rimane aperta, relativa alle prime fasi dell’espansione. La materia che conosciamo è costituita prevalentemente da particelle e non da antiparticelle: come è possibile questo? Dove sono andate a finire le antiparticelle? Si sono fatte numerose ipotesi. Una di questa prevede la formazione parallela all’universo di un antiuniverso di cui non abbiamo percezione. A questo punto se universo e antiuniverso si riannichilassero avremmo la ritrasformazione di tutto in energia. Questa però è una risposta di tipo fantascientifico.
Gli studiosi di fisica delle particelle ritengono che si siano formate alcune particelle senza antiparticelle e che quelle sopravvissute all’annichilazione. Essi stanno tentando di avvalorare con dati sperimentali questa loro ipotesi: l’eventuale decadimento dei protoni sarebbe una dimostrazione della possibilità che ciò si verifichi.
La densità
Il modello del Big Bang, in realtà, è un trattato fisico-matematico in cui tutto viene messo sotto forma di formule e di calcolo, partendo dalla situazione attuale e cercando di ricostruire la storia passata dell’universo. In questo calcolo sono stati utilizzati alcuni parametri; uno di questi è la densità. Perché sia vera questa teoria l’universo dovrebbe avere all’origine una densità non inferiore ad un certo valore critico. Noi non possiamo misurare la densità iniziale dell’universo, però possiamo ricavarla dal calcolo della densità attuale e dalla velocità di allontanamento delle galassie.
E’ stato trovato che la densità attuale è molto inferiore alla densità critica. Si fanno due ipotesi: o le misure relative alla densità attuale sono sbagliate o tutta la teoria del Big Bang lo è. Sono quindi state effettuate delle ricerche per vedere se esiste della materia nell’universo che non è stata rilevata o che presenta caratteristiche tali da non rendersi rilevabile. Si è constatata negli ultimi anni la presenza nelle galassie vicine di una massa gravitazionale maggiore di quella valutata in precedenza che è stata chiamata materia oscura. E’ probabile, quindi che sia presente anche nelle galassie più lontane. Questo è servito ad alzare il valore della densità, ma non abbastanza. E’ stata formulata, quindi, l’ipotesi che sia presente della materia in forma particolare, come i neutrini. Si ritiene che se ne sia sviluppata una quantità enorme nelle prime fasi dell’universo. Tuttavia si è scoperto che la massa dei neutrini è così piccola che non riesce ad innalzare la massa media dell’universo. Si è quindi ipotizzata l’esistenza di altre particelle, che però non sono mai state trovate.
Il futuro dell’universo
Legata alla densità dell’universo, e quindi alla sua massa, rimane aperta un’altra questione, relativa al futuro dell’universo.
Esso può essere molto diverso a seconda del rapporto esistente fra la forza di espansione, che si ricava osservando qual è la velocità attuale dell’espansione, e la forza gravitazionale, che si ricava misurando la densità attuale dell’universo. Sono state fatte tre ipotesi:
1. Universo aperto – L’espansione continuerà per sempre e porterà alla morte definitiva dell’universo. Infatti la formazione di corpi celesti è legata alla conversione dell’energia gravitazionale in altre forme, ma se l’energia gravitazionale non riuscirà mai a prendere il sopravvento, assisteremo alla morte di tutte le stelle e di tutte le galassie.
2. Universo piatto – In esso ad un certo punto si è instaurato un equilibrio fra forza gravitazionale e forza di espansione; l’universo, quindi, non si espanderà più ma ugualmente la forza gravitazionale non potrà avere il sopravvento. Per questo motivo l’universo piatto avrà le medesime prospettive di un universo aperto: non si potranno più formare corpi celesti e quindi morirà.
3. Universo chiuso – La forza gravitazionale avrà la possibilità di prendere il sopravvento sulla forza di espansione. Questo comporterebbe un ritorno dell’universo allo stato di singolarità, dando origine a quello che è stato chiamato BIG CRUNCH con prospettive di cominciare una nuova espansione, magari con una evoluzione diversa. Non è improbabile l’ipotesi di un universo pulsante che possa forse ripetere il suo ciclo. Uno scenario apocalittico sul cui sfondo campeggiano le ombre degli antichi cosmologi greci.
UN UNIVERSO OMOGENEO E ISOTROPO
Negli anni Settanta, la teoria classica del Big Bang considerava l’origine e l’evoluzione dell’universo come qualcosa di relativamente ordinato. In seguito all’evento primordiale, avvenuto 15 miliardi di anni prima, la gravità aveva fatto sì che le galassie si condensassero lentamente attorno a piccole regioni di densità superiore alla media (semi cosmici) in un ambiente altrimenti uniforme. Si credeva che lo spazio fosse scarsamente popolato da questa ragnatela di galassie che evolvevano nel tempo, relativamente libere da perturbazioni da parte di altri corpi celesti. Ogni parte dello spazio era più o meno simile alle altre: tutto era relativamente omogeneo. Si sapeva che i semi gravitazionali di queste strutture dovevano essere stati piantati all’inizio della storia dell’universo, per svilupparsi poi lentamente. La presunta uniformità della formazione e distribu¬zione delle galassie non portò, tuttavia, a richiedere uno studio immediato sulla natura di questi semi.
Alla fine degli anni Settanta, però, si scoprì che alcune zone dell’universo erano praticamente prive di galassie e rappresentavano vaste distese di nulla; inoltre miliardi e miliardi di galassie erano aggregate in immensi superammassi galattici che esercitavano sulle galassie, che si trovavano a centinaia di milioni di anni – luce di distanza, un’enorme attrazione gravitazionale. La Via Lattea , per esempio, era una di queste vittime galattiche e veniva trascinata a una velocità 600Km/s verso un’enorme superammasso, invisibile e imprevisto. In seguito a questa nuova visione si rese urgente la comprensione del meccanismo che formò le strutture cosmiche dopo il Big Bang. I massicci agglomerati di galassie che si trovano nell’attuale universo devono essere cresciuti da semi cosmici presenti nei primi istanti dell'universo. Questi semi dovrebbero apparire come fluttuazioni nella radiazione di fondo cosmico, fluttuazioni che rappresentano regioni primordiali di densità lievemente maggiore. Queste pieghe nello spazio-tempo avrebbero provocato la condensazione locale di materia sotto l’influenza della gravità, producendo embrioni di galassie e di superammassi di galassie. Eppure semi di tale tipo non erano mai stati visti. La radiazione di fondo cosmico, per quanto era stato possibile determinare, era del tutto uguale a se stessa in ogni direzione. Questo doveva significare una cosa: o le teorie dei cosmologi erano assolutamente sbagliate, o nessuno aveva cercato abbastanza a fondo quei semi.
L’UNIVERSO INFLAZIONARIO
Nel dicembre 1979, Alan Guth propose un’ipotesi che rappresentava un’estensione drammatica della cosmologia del Big Bang, nota come teoria inflazionistica. Guth, infatti, immaginò un Big Bang ultrarapido e ultrabreve nel Big Bang originario, che avrebbe avuto luogo nel primo istante della creazione e che avrebbe stabilito le condizioni per l’evoluzione del cosmo. Tale teoria riusciva a spiegare, tra le altre cose, l’uniformità della radiazione di fondo cosmico e quindi l’omogeneità dell’universo primordiale.
A quel tempo, un attimo dopo il primo istante della creazione (per esempio 10-35 secondi), un brodo di energia primitiva racchiudeva tutta la potenziale massa e radiazione della nostra parte di universo. Esso era distribuito in una piccolissima regione che era un trilionesimo della dimensione di un protone (circa 10-35 centimetri). In pratica ogni cosa era connessa ed equivalente a ogni altra cosa, un’omogeneità primitiva. Nell’universo ebbe allora luogo una incomprensibilmente rapida eruzione di spazio, tale che nell’arco 10-32 secondi la regione si espanse di almeno dieci metri. Poi terminò l’inflazione e quella regione di dieci metri di dimensione continuò ad espandersi a una ve¬locità inferiore, tipica del Big Bang classico fino alle sue dimensioni attuali, maggiori di un trilione di anni luce. In quella piccolissima frazione di un secondo, l’universo si espanse di un fattore cento volte maggiore rispetto a quanto è avvenuto nei 15 miliardi di anni successivi. L’omogeneità presente in quella regione, in quel primo istante, si allargò fino a interessare una regione dell’universo assai più ampia di quella che possiamo vedere oggi. Quindi l’inflazione suggerisce che l’iniziale inevitabile omogeneità della materia sia divenuta la condizione universale per mezzo di una crescita breve ed esplosiva.
Guth non fu l’unico a giungere a questa soluzione radicale. Simili possibilità vennero ventilate dal giapponese Katsuhiko Sato. Egli comprese una cosa dell’inflazione che Guth, in un primo momento, non era riuscito a vedere: che l’inflazione, che aveva reso uniforme l’universo primitivo, avrebbe prodotto anche piccole fluttuazioni che avrebbero potuto portare alla formazione delle galassie. Una fluttuazione meccanica quantistica, prodotta all’inizio dell’inflazione verrebbe ampliata fino a una lunghezza enorme per mezzo della stessa espansione che rende lo spazio così grande e uniforme. Una piega generata subito dopo l’espansione dell’universo non verrebbe am¬pliata così tanto. Se il ritmo dell’espansione dell'universo fosse stato costante, allora le fluttuazioni meccaniche quantistiche, avrebbero tutte la stessa caratteristica altezza di piega, ma presenterebbero lunghezze molto diverse, a seconda del tempo in cui hanno avuto origine. L’inflazione non elimina le fluttuazioni meccaniche quantistiche, ma le fa diventare increspature macroscopiche, di dimensioni cosmiche, distribuite attraverso lo spazio – tempo. Alcune saranno proprio della dimen¬sione giusta da generare le strutture che vediamo oggi, dalle galassie ai superammassi e oltre.
Ma come è avvenuto questo Big Bang all’interno del Big Bang? Come è possibile che nella prima fase di vita dell’universo abbia avuto luogo un’espansione breve ed esplosiva, così diversa dalla normale espansione del Big Bang?
L’universo primordiale era estremamente caldo ed estremamente denso e, quindi, presentava un’alta densità di energia. Se ipotizziamo un enorme ritmo di espansione notiamo che la velocità di espansione dell’universo diminuisce progressivamente a causa dell’attrazione gravitazionale. A meno che lo spazio appena creato non presenti una sua propria densità di energia, sufficiente da superare la densità materia – energia, mantenendo così il processo di espansione ad un ritmo accelerato. Come avviene tutto questo?
Per trarre ispirazione, Guth si è rivolto alle grandi teorie unificate. Alla fine dell’epoca dei Gut, a 10-34 secondi, la simmetria si rompe e dà luogo a forze elettrodeboli ed elettroforti differenziate. Prima del venir meno di questa simmetria, le forze e la materia erano unificate, fornendo probabil¬mente al vuoto primordiale un’enorme densità di energia. Man mano che l’universo si espandeva in questo primo istante, veniva creato più spazio, anch’esso ricco di densità di energia. L’espansione poteva quindi continuare ad un ritmo costante: la dimensione dell’universo poteva raddoppiare circa ogni 10-38 secondi. A quella velocità, in 10-35 secondi le dimensioni dell’universo raddoppiano un migliaio di volte. Mentre potrebbe apparire un valore innocentemente modesto, il raddoppiare un migliaio di volte dimostra la potenza dell’inflazione e in un brevissimo lasso di tempo fa crescere l’universo di 10-30 volte.
Se è così che è iniziata l’inflazione, come è finita? Come è avvenuta la transizione fra un periodo di espansione accelerata e uno di espansione continua, ma in decelerazione? Nel 1982 Paul Steinhardt e Andrea Albrecht dell’Università della Pennsylvania e Andre Linde avanzarono un’ipotesi. Questa transizione è importante poiché la tremenda espansione inflazionistica ha reso lo spazio estremamente freddo e vuoto. Quando la densità di energia nasce dal vuoto, si trasforma in particelle ed energia. A questo punto la gravità comincia a esercitare il suo effetto attrattivo, facendo rallentare gradualmente l’espansione. La forza inflazionistica accelerata, quindi, si interrompe. Possiamo ora capire perché il nostro attuale universo si espande: siamo nel periodo successivo alla fase di espansione accelerata.
La teoria inflazionistica, tuttavia, al di là della sua portata e della sua potenza, non poteva mostrare gli echi distanti di quella creazione che sosteneva in maniera così convincente. Spiegava solo perché la radiazione di fondo cosmico fosse così straordinariamente regolare, come era stato osservato. Spettava, quindi, agli sperimentatori il compito di trovare nel fondo cosmico i segni di quelle piccolissime perturbazioni che devono esistere se la nostra concezione dell’universo è corretta.
ALLA RICERCA DELLE PIEGHE DEL TEMPO: COBE
E fu quello che tentarono di fare grazie anche al perfezionamento delle apparecchiature e l’introduzione dei satelliti artificiali orbitanti intorno alla terra.
Per vent’anni l’astrofisico George Smoot esplorò con il radiotelescopio gli spazi cosmici dalle de¬solate pianure di ghiaccio dell’Antartide, dalle cime delle montagne più alte, servendosi di palloni frenati, di aerei spia U2 (specialmente adatti alla ricerca scientifica) e, infine, dal satellite Cobe, di cui lui steso definì il programma.
Il satellite era attrezzato con tre diversi strumenti. Un radiometro a microonde differenziale (DMR = Differential Microwave Radiometer) serviva per operare una mappatura dell’universo quale doveva presentarsi circa trecentomila anni dopo il Big Bang e per cercare i semi cosmici primordiali. Uno spettrometro assoluto nel lontano infrarosso (FIRAS = Far Infrared Absolute Spectrometer ) doveva misurare la curva dello spettro della radiazione di fondo cosmico. La curva spettrale, mostrando l’intensità di energia della radiazione a ogni lunghezza d’onda e la sua forma complessiva, avrebbe fatto capire se la radiazione era stata prodotta dal Big Bang o da qualcos’altro. L’ultimo esperimento sul fondo infrarosso diffuso (DIRBE = Differenzial Infrared Bakground Experiment) doveva studiare il fondo cosmico infrarosso, bagliore di oggetti luminosi primordiali come le prime stelle e galassie che potevano risalire alle prime decine o centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang.
Lo scopo di Cobe doveva essere quello di mettere insieme una serie di “fotografie” del cosmo appena nato, scattate in momenti differenti per mostrare le diverse fasi della sua evoluzione.
Nel 1989 fu lanciato nello spazio. Non molto tempo dopo cominciarono ad arrivare i dati tanto attesi, che confermarono le previsioni fatte molto tempo prima.
La curva della radiazione di fondo coincideva in 67 punti sperimentali con il grafico teorico della radiazione di corpo nero, che mostrava come sarebbe dovuta apparire la radiazione di fondo cosmico se fosse davvero scaturita dal Big Bang.
I primi risultati pervenuti dal radiometro differenziale a microonde, però, non rivelavano l’esistenza delle pieghe, dei semi cosmici dai quali si erano formate le galassie nell’universo primordiale. I dati erano quindi coerenti con il modello semplice del Big Bang; rimaneva aperta la questione dell’origine delle galassie.
Venne proposta in questo periodo, proprio per l’incapacità di rilevare l’anisotropia cosmica, una nuova cosmologia dello stato stazionario in cui la creazione continua di materia ha luogo all’interno di piccoli Big Bang. Secondo questa visione l’universo sarebbe costituito da un numero enorme di grandi regioni di spazio, o “bolle” che si riproducono una dall’altra secondo uno schema ramificato. Ogni “bolla”, però, sarebbe in espansione. Quindi l’evoluzione all’interno di ciascuna bolla sarebbe simile a quella proposta dalla teoria del Big Bang. Il grande scoppio iniziale non sarebbe unico, ma ne esisterebbe uno per ogni bolla. Un universo di questo tipo appare evidentemente eterno.
Tuttavia doveva succedere una cosa straordinaria. Il 23 aprile 1992 una scoperta scientifica cambiò per sempre la nostra visione dell’universo. Quel giorno l’astronomo George Smoot rese pubblica una notizia straordinaria: il satellite COBE aveva individuato in fondo al cosmo le “pieghe del tempo” da cui sono emerse le stelle, i pianeti, le galassie e tutte le altre complesse e mirabili strutture che oggi osserviamo.
Il risultato indicava che la gravità poteva aver dato forma all’attuale universo dalle minuscole fluttuazioni quantistiche che avevano avuto luogo nella prima frazione di un secondo successiva alla creazione.
L’evoluzione dell’universo è quindi in realtà il cambiamento nella distribuzione della materia nel tempo, passando da un’omogeneità virtuale nell'universo primordiale all’attuale universo grumoso, con la materia che si condensa in galassie, ammassi, superammassi e strutture anche più grandi.
Possiamo vedere l’evoluzione come una serie di transizioni di fase, in cui la materia passa da uno stato all’altro sotto l’influenza di una diminuzione di temperatura (o energia). Tutti conosciamo il processo per cui il vapore raffredandosi si condensa: è una transizione di fase da uno stato gassoso a uno stato liquido. Se la temperatura si riduce ulteriormente e l’acqua alla fine si congela, la trasmissione di fase è il passaggio dallo stato liquido allo stato solido. Nello stesso modo, dal primo istante del Big Bang, la materia è passata attraverso una serie di transizioni di fase.
L’EVOLUZIONE DELL’UNIVERSO OGGI
A 10-42 secondi dopo il Big Bang, (che avvenne circa 16 miliardi di anni fa) il momento più lontano di cui possiamo parlare, tutto l’universo che possiamo osservare oggi era una piccolissima frazione rispetto alla dimensione di un protone. Spazio e tempo erano appena iniziati. Allora la temperatura era di 1032 gradi e le tre forze della natura, elettromagnetismo e forze nucleari deboli e forti, erano fuse in una sola forza. La materia non si differenziava dall’energia e non esistevano le particelle. In 10-34 secondi l’inflazione aveva espanso l’universo (a un ritmo accelerato) di 1030 volte e la temperatura era scesa a 1027 gradi. La forza nucleare forte si era separata e la materia era stata sottoposta alla sua prima fase di transizione prendendo la forma di quark (blocchi costitutivi di protoni e neutroni), elettroni e altre particelle fondamentali.
La fase di transazione successiva ha avuto luogo a dieci millesimi di secondo, quando i quark hanno incominciato a unirsi a tre a tre per formare protoni e neutroni (antiprotoni e antineutroni). Poi sono iniziate le annichilazioni delle particelle di materia e antimateria, lasciando alla fine un modesto residuo di materia. Da quel momento tutte le forze della natura erano separate.
Dopo circa un minuto, la temperatura era scesa sufficientemente da consentire a protoni e neutroni di rimanere uniti nel momento della collisione, formando nuclei di idrogeno e di elio che poi compongono le stelle. Questo miscuglio di materia e radiazione, che inizialmente presentava la stessa densità dell’acqua, continuò ad espandersi e raffreddarsi per altri trecentomila anni, ma conteneva troppa energia per permettere agli elettroni di rimanere legati ai nuclei di idrogeno e di elio al fine di formare gli atomi. I fotoni energetici avevano poi una serie di interazioni frenetiche con le particelle del miscuglio. Fra una interazione e l’altra, i fotoni potevano viaggiare solo per distanze molto brevi. L’universo era essenzialmente opaco.
Quando la temperatura scese a circa 3000 gradi, dopo trecentomila anni, ebbe luogo un’altra ulteriore transizione di fase. I fotoni non avevano più energia sufficiente per spostare gli elettroni dai nuclei di idrogeno e di elio, così si formarono gli atomi neutri. I fotoni non interagivano più con gli elettroni ed erano liberi di fuggire e spostarsi per lunghi tragitti. Con questa separazione di materia e di radiazione, l’universo divenne trasparente e la radiazione fluì in tutte le direzioni, per attraversare il tempo sotto forma di radiazione di fondo cosmico che vediamo ancora oggi. La radiazione liberata in quell’istante ci fornisce un’immagine della distribuzione della materia nell’universo a trecentomila anni di età. Se tutta la materia fosse stata distribuita in maniera uniforme, il tessuto dello spazio sarebbe stato regolare e l’interazione dei fotoni con le particelle sarebbe stata omogenea, producendo così una radiazione di fondo cosmico uguale ovunque. La scoperta delle pieghe rivela che la materia non era distribuita uniformemente, ovvero esistevano già delle strutture che hanno formato così i semi dai quali si è venuto a creare poi l’universo attuale.
Queste regioni dell'universo con una concentrazione di materia superiore esercitavano una maggiore attrazione gravitazionale e, quindi, curvavano lo spazio in modo positivo; zone meno dense avevano attrazione gravitazionale inferiore e davano luogo a uno spazio meno curvo. Quando la radiazione e la materia si separarono trecentomila anni dopo il Big Bang, il flusso improvviso di fotoni del fondo cosmico lasciò le tracce di queste distorsioni di spazio, mostrando le pieghe che vediamo sulle mappe: la radiazione proveniente da zone più dense appare più fredda del fondo medio, quella da zone meno dense, più calda.
La materia dell’universo è di due tipi, materia oscura e materia visibile, e il loro ruolo nella formazione gravitazionale delle strutture è diverso. La materia oscura, che per sua natura non è influenzata dalla radiazione, ma soggetta alla gravità, avrebbe iniziato a formare strutture assai prima della materia visibile che viene colpita dal flusso energetico dei fotoni. Plasmata dai contorni dello spazio che ha avuto inizio come fluttuazioni di quanti nell’universo inflazionario, la materia oscura potrebbe avere iniziato ad aggregarsi sotto l’influenza della gravità, fin da diecimila anni dopo il Big Bang. A trecentomila anni, la separazione di materia e radiazione ha fatto si che la materia visibile potesse essere attratta dalle strutture formate dalla materia oscura. Con l’aggregarsi della materia visibile, si formano anche stelle e galassie.
La scoperta delle pieghe produsse grande sollievo fra i cosmologi. Fred Hoyle una volta sostenne che la teoria del Big Bang non poteva reggere perché non teneva in considerazione il principio della formazione delle galassie. I risultati di COBE dimostrarono che si sbagliava. L’esistenza delle pieghe nel tempo, così come le vediamo, ci dicono che la teoria del Big Bang, che incorpora l’effetto della gravità, può spiegare non solo la formazione delle galassie, ma anche l’aggregazione, nell’arco di 15 miliardi di anni, di strutture massicce che sappiamo essere presenti nell’attuale universo. Era il trionfo della teoria e delle osservazioni.
LE NOSTRE SPERANZE
Il modello del Big Bang, che tenta di spiegare l’origine e la struttura dell’universo, ha coinvolto il talento di molti individui attraverso più di 150 anni di studi. Molte volte, trovandosi ad affrontare un’opposizione simile a quella di Galileo e Copernico, questi cosmologi usarono un approccio deduttivo per risolvere la più grande questione nella storia della scienza. Le scoperte e le osservazioni di questi “eminenti eruditi” li obbligarono a tirare le conclusioni a cui poi arrivarono. Tutte le predizioni che la fisica quantistica e la teoria della relatività hanno fatto, riguardanti l’origine e lo stato dell’universo, sono state o osservate e confermate e/o comunque non smentite. Questo essenzialmente il motivo per cui siamo giunti a questa cosmologia, pienamente confidenti che la nostra scienza e la nostra tecnologia possa tornare indietro nel tempo a 15 miliardi di anni fa e vedere la nascita dell’universo.
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