Dopo la guerra annibalica i rapporti fra Cartagine e Roma furono corretti; i Cartaginesi non vennero mai meno agli impegni verso Roma, dandole anche aiuto con la flotta nelle guerre d’Oriente. Ma il re di Numidia, Massinissa, prese ad abusare della clausola del trattato romano-cartaginese che gli consentiva di rivendicare tutti i territori di Cartagine appartenuti un tempo ai suoi antenati. Nonostante le proteste e le ambascerie dei Cartaginesi, il Senato romano lasciò sempre mano libera all’aggressore, che venne gradualmente restringendo il territorio cartaginese. La città fu così ridotta alla disperazione e nell’anno 151 a. C. dichiarò guerra a Massinissa, fornendo quindi a Roma un motivo legalmente ineccepibile per dichiararle guerra.
L’imposizione del Senato romano ai Cartaginesi di abbandonare la loro città e fondarne una nuova a 15 km dal mare, provocò la reazione di Cartagine, che si ribellò agli ordini di Roma. Assediata resistette per circa tre anni, finché Lucio Cornelio Scipione Emiliano poté prenderla d’assalto al principio del 146. La città fu incendiata e distrutta; il suolo su cui sorgeva fu maledetto, il suo territorio fu annesso allo Stato romano col nome di provincia d’Africa.
Con la distruzione di Corinto, Cartagine e Numanzia, il periodo delle grandi conquiste romane nel Mediterraneo era concluso (188 a. C.); nello stesso anno anche il Regno di Pergamo, come già la Cirenaica, passò in eredità al popolo romano.
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