Svetonio su Tiberio (Vite dei Cesari)
Nel suo ritiro di Capri fece anche arredare con divani un locale apposito, quale sede delle libidini segrete; lì dentro, dopo essersi procurato in ogni dove greggi di ragazze e di invertiti, assieme a quegli inventori di accoppiamenti mostruosi che egli stesso aveva chiamato spintrie, li faceva unire in triplice catena , e li costringeva a prostituirsi fra loro in ogni modo, in sua presenza, allo scopo di rianimare, con il loro spettacolo, la virilità in declino.
Alla morte di Augusto, Tiberio, riconosciuto come nuovo signore, si mostrò titubante a sobbarcarsi l’enorme fardello di responsabilità del governo, che ben poteva valutare a causa dell’esperienza fatta come coreggente. Solo dopo le ripetute insistenze del Senato assunse la carica, ma rinunciò al prenome di Imperator e al titolo di Pater Patriae. Mandò il figlio Druso in Illiria e propose di concedere l’impero proconsolare al figlio di Ottavia, Germanico.
Restavano aperti gravi problemi. Augusto aveva trasformato l’Impero romano e creato un potere unico superiore fondato sulle capacità e sul suo ascendente personale: bisognava ora trovare un sistema che garantisse la successione imperiale senza lotte e sconvolgimenti. D’altra parte i due elementi (aristocrazia senatoria ed esercito, formato da piccola borghesia e proletariato) su cui poggiava il sistema augusteo non si erano ben amalgamati tra loro, mentre esisteva fra l’Italia, che aveva il primato nell’Impero, e le varie province un certo contrasto derivante dalla disparità del trattamento. A tutto ciò bisognava aggiungere la tendenza del Senato e dei pretoriani a far valere la propria autorità. Tiberio accentuò all’interno l’autorità del Senato, dal quale volle intima collaborazione, portando in questo consesso la discussione delle questioni più importanti e attribuendogli il diritto di eleggere i magistrati. Furono anche soppressi i comizi, secondo l’incarico avuto da Augusto, sicchè il Senato da questo momento divenne l’unico corpo elettorale di Roma.
Libero di iniziare la sua politica estera, l’erede presuntivo Germanico potè compiere dal 14 al 17 d. C. una serie di spedizioni in Germania, per rialzarvi il prestigio delle armi romane scosso dalla sconfitta di Varo: nell’anno 16 Arminio fu battuto e ucciso nella pianura di Idistaviso ma, nonostante la vittoria, i Romani non poterono realizzare la sottomissione dei popoli germanici fino all’Elba. Subito dopo Germanico fu richiamato da Tiberio e, celebrato il trionfo, venne mandato in Oriente, dove nel 19 d. C. venne a morte, forse di veleno.
Dopo alcuni anni di governo e di buona amministrazione specialmente finanziaria, Tiberio si abbandonò ad atti di violenza e ministro del suo dispotismo divenne il prefetto del pretorio Elio Seiano. Fu l’errore più grave di Tiberio l’aver accordato la sua fiducia a questo uomo senza scrupoli, lasciato a Roma a spadroneggiare mentre egli viveva nel ritiro della sua residenza a Capri. Seiano aspirava a succedere a Tiberio, e cercò di eliminare coloro che gli davano ombra, a cominciare dall’unico figlio di Tiberio, Druso, morto di veleno il 23 d. C. Sette anni dopo Tiberio si associò Seiano nel potere proconsolare; ma l’audace ministro volle affrettare la successione cospirando contro l’imperatore. Questi, benché tardi, si persuase delle colpe di Seiano e lo fece condannare a morte dal Senato.
Dalla strage quasi totale della famiglia imperiale, organizzata da Seiano, era scampato il figlio di Germanico Gaio, soprannominato Caligola (da caliga, il calzare dei soldati che egli portava da piccolo). Tiberio si prese cura di lui, e quando a 78 anni venne a morte lo lasciò come suo successore senza indicarlo esplicitamente (37 d. C.).
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