TEMA SVOLTO SULL'IMMIGRAZIONE IN EUROPA: TRACCIA. La fine del colonialismo moderno e l’avvento del neocolonialismo tra le cause del fenomeno dell’immigrazione nei Paesi europei. Illustra le conseguenze della colonizzazione nel cosiddetto Terzo Mondo, soffermandoti sulle ragioni degli imponenti flussi di immigrati nell’odierna Europa e sui nuovi scenari che si aprono nei rapporti tra i popoli.
TEMA SVOLTO SULL'IMMIGRAZIONE: SVOLGIMENTO. Tra la fine del colonialismo e l’affermazione dell’indipendenza nazionale nei paesi del Terzo Mondo, la politica ha raggiunto risultati positivi, mentre l’evoluzione economica e sociale ha riscontrato vari problemi. L’incremento demografico è stato rapidissimo, e in sessant’anni la popolazione è raddoppiata e in alcuni casi triplicata. Questo fatto è dovuto al miglioramento dell’alimentazione e delle condizioni igieniche, con una conseguente diminuzione della mortalità soprattutto infantile. La trasformazione sul piano economico ha portato all’abbandono dell’agricoltura tradizionale, e a una crescente urbanizzazione che ha toccato livelli esorbitanti. Già dagli anni Cinquanta ci si pose il problema di come si sarebbe potuta sfamare tutta quella popolazione, e se poteva essere avviato uno sviluppo economico paragonabile a quello dei Paesi più avanzati. Verso gli anni Sessanta poi la distanza tra Paesi sviluppati e sottosviluppati cresceva sempre di più, perché nei Paesi sviluppati si stava verificando un boom economico, mentre la situazione economica dei Paesi sottosviluppati non riusciva a stare dietro all’aumento della popolazione. Inoltre, gran parte delle ricchezze presente sul loro territorio, come i prodotti minerari e agricoli, era indirizzata ai Paesi ricchi. Dunque l’economia delle zone più povere era orientata a produrre beni destinati all’esportazione, senza però incrementare la produzione a uso interno. Inoltre la maggior parte di quei prodotti era nelle mani di società straniere, e spesso i prezzi erano stabiliti da chi comprava, dunque chi vendeva non aveva l’opportunità di fare grossi guadagni. Le ricchezze di queste zone non venivano valorizzate, e i lavoratori locali percepivano salari miseri. Per tutta questa serie di cause, gli anni Sessanta videro nascere l’emergenza per l’insufficienza di cibo in questi Paesi.
Molti politici e studiosi reputarono questa situazione una forma di neocolonialismo, una nuova politica coloniale che consisteva in un controllo di natura economica. Esso veniva esercitato attraverso l’ispezione delle proprietà e delle risorse economiche, le quali venivano completamente sfruttate e di conseguenza i Paesi sottosviluppati non avevano modo di rendersi indipendenti.
Durante gli anni Sessanta ci furono molti movimenti nazionalisti che si opponevano al neocolonialismo, e sostenevano che l’indipendenza politica non era sufficiente a liberarsi dal potere delle potenze coloniali, ma serviva un’indipendenza economica raggiungibile con il rifiuto del capitalismo. Infatti il passaggio all’indipendenza di questi paesi (Cuba, Indocina, Medio Oriente) fu seguito da movimenti rivoluzionari e successive tendenze di natura socialista. Ma con la diffusione delle idee socialiste nel Terzo Mondo rese ancora più aspra la reazione anticomunista da parte dei governi del mondo occidentale capitalistico, soprattutto degli Stati Uniti. E i governi occidentali si preoccupavano più di assicurarsi una fedeltà politica piuttosto che favorire lo sviluppo economico.
Tuttavia, anche per alcuni paesi sottosviluppati si aprirono nuovi orizzonti che permisero di avere un’adeguata disponibilità di cibo. Per prima cosa ci fu la “rivoluzione verde”, una sorprendente trasformazione nel campo dell’agricoltura che aumentò la produzione alimentare intorno agli anni Settanta. Si introdussero varietà di cereali selezionati geneticamente, si ampliarono le terre coltivate e si usarono intensivamente i fertilizzanti. La nuova agricoltura moderna favorì l’urbanizzazione e la crescita di attività industriali, come avvenne in Messico, India, Pakistan e Filippine. In questo modo si facilitarono anche gli scambi esterni con una crescente valorizzazione delle ricchezze di queste zone. Nel 1960 fu istituita l’Opec, con la quale questi Paesi potevano
contrattare prezzi più alti per la loro unica ricchezza, il petrolio, e questa politica sarà determinante nei rapporti tra Paesi avanzati e arretrati negli anni Settanta.
Ma tutte queste trasformazioni non risolsero il complessivo problema del sottosviluppo, ma determinarono una grossa differenza tra paesi che riuscirono a accrescere l’economia e altri in cui la situazione rimase preoccupante. Alcuni Paesi asiatici riuscirono ad emergere dal sottosviluppo, come Cina e Giappone, insieme a stati del Sud America (Messico, Brasile, Argentina) e Nord Africa (Egitto, Tunisia), i quali costituirono un nuovo gruppo, i paesi di recente industrializzazione. L’area del Terzo mondo si è ristretta, e addirittura molti paesi non solo sono rimasti fuori, ma dopo il forte aumento del petrolio hanno peggiorato la loro situazione (Africa equatoriale e sub sahariana, America centrale), poiché non disponevano di risorse minerarie e agricole quindi non potevano arricchirsi esportando i loro prodotti, e neanche comprarle. Di conseguenza questi stati del “Quarto mondo” tuttora versano in condizioni di estrema povertà senza soluzione, se non gli aiuti di organizzazioni internazionali.
La povertà di questi Paesi ha prodotto un consistente flusso migratorio nei vari stati dell’Europa. Molti immigrati, soprattutto tra gli anni Settanta e Ottanta offrivano un’imponente manodopera ai Paesi europei, e cercavano dunque un lavoro stabile e benessere, sfuggendo guerre e carestie. Se da un lato ci sono elementi positivi, come l’innalzamento del tasso di natalità che in molti paesi europei è bassissimo, dall’altro l’immigrazione porta anche problemi come la crescente disoccupazione, l’emarginazione degli stranieri e la xenofobia.
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