La Primavera Araba è una serie di agitazioni e proteste in atto nelle regioni del Medio Oriente, Vicino Oriente e Nord Africa. Algeria, Egitto, Tunisia, Giordania, Libia, Siria, sono tra i Paesi più colpiti da queste insurrezioni, mentre in altri sono avvenuti incidenti di minor gravità. Queste sommosse sono riconducibili ai Paesi appartenenti all’universo arabo, che utilizzano tecniche di resistenza civile come scioperi, manifestazioni, cortei, marce arrivando addirittura a compiere autolesionismo e suicidi pubblici, le cosiddette “auto-immolazioni”.
Le cause di queste rivolte sono innumerevoli, tra cui la corruzione, la mancanza di libertà, le condizioni di vita molto dure, la violazione dei diritti umani e l’estrema povertà in cui riversano queste popolazioni. Un altro motivo di protesta è il crescente prezzo degli alimenti, importati, e di conseguenza la fame diffusa.
La protesta è iniziata nel dicembre del 2010, quando il tunisino Mohamed Bouazizi si è dato fuoco dopo essere stata malmenato dalla polizia. Questo gesto ha provocato l’intera rivolta nel Paese, con un effetto domino in tutti gli altri del mondo arabo e del Nord Africa. Capi di stato sono stati costretti a dimettersi o addirittura alla fuga. In Libia Gheddafi, dopo una lunga fuga da Tripoli a Sirte, è stato trovato dai rivoluzionari, catturato e in seguito ucciso. In Tunisia il presidente Ben Ali, dopo dodici anni di dittatura, è stato costretto alla fuga in Arabia Saudita. In Egitto ci sono state delle proteste con dimostrazioni e molti episodi di violenza, e il presidente Mubarak dopo trent’anni di potere è stato costretto a dimettersi.
Per organizzare, comunicare e divulgare i fatti sono stati utilizzati i social network come Twitter e Facebook. Il primo autore di un blog arabo è stato, nel 2003, Ahmed. Dapprima le discussioni riguardavano l’arte, l’ambiente, mentre in seguito si è iniziato a parlare dei problemi dei giovani egiziani e di argomenti considerati tabù. Internet ha dato la possibilità di esprimersi, poiché in Egitto bastavano cinque persone a parlare in piazza per far intervenire le forze dell’ordine. I blog invece non venivano considerati, in quanto sottovalutati dai governi. Con l’aumentare degli utenti, il blog divenne sede di discussioni non solo di attivisti, ma anche delle minoranze discriminate, come donne, omosessuali, beduini e copti.
Potendosi esprimere liberamente, nel 2005 nacque il movimento Kifaya, in cui i blogger e partiti di opposizione rivendicavano i loro diritti, denunciavano abusi e violenze, pubblicando anche video. Probabilmente senza blog e in seguito social network la rivolta sarebbe stata più lenta, poiché dalla realtà virtuale tutti si sono uniti più velocemente per contestare il governo, senza restrizioni e censure.
Ovviamente la rivolta non è nata dal blog, ma dalla miseria e la discriminazione in cui versano queste popolazioni, insieme a un’informazione oscurata, arresti e atroci torture per chi osava opporsi. I social network sono stati solo un mezzo per riuscire ad avere voce in capitolo nelle situazioni pubbliche, e per evidenziare le proteste già in corso, assumendo un ruolo di diffusione e coscienza. In questi Paesi infatti non esisteva libertà di parola, nei giornali, nei sindacati e nelle associazioni. I giornali era proprietà dello stato e i militari decidevano cosa pubblicare, gli intellettuali potevano diffondere le loro opere solo all’estero.
I social media hanno avuto un ruolo fondamentale nell’organizzazione e divulgazione degli eventi, ma la richiesta di diritti e della libertà sono sempre esistiti, solo che i protagonisti non potevano farsi avanti perché soppressi dalla violenza dei regimi. Grazie ad internet possono far sentire la loro voce, su Facebbok, Twitter, blog e anche Youtube, con i quali hanno realizzato un
complesso di comunicazione e organizzazione senza un capo, e più veloce ed efficace perché non ostacolato dalla censura e dalla repressione.
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