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Tito Livio

[T2]La vita[/T]

Le fonti hanno tramandato poco delle vicende biografiche si Tito Livio. La biografia che si può ricostruire è in larga parte ipotetica.
Tito Livio nacque nel 59 a.C. a Padova, e a Padova morì nel 17 d.C.
Le sue condizioni furono certamente agiate: egli ebbe la possibilità di dedicare l’intera vita all’attività letteraria senza aver bisogno dell’aiuto di protettori,
è ragionevole supporre che Livio si sia trasferito a Roma in età adulta, verso la trentina. Induce a crederlo la notizia, conservata da Quintiliano, che Asinio Pollione rilevava in Livio una certa patavinitas, padovanità. Non sappiamo se con ciò egli intendesse indicare una patina linguistica rivelatrice della sua origine provinciale o l’accentuato moralismo dello storico, che appariva in armonia con i severi costumi della sua patria.
Giunse probabilmente a Roma nel 30 o nel 29 per svolgere le ricerche preliminari per la sua monumentale opera storica, i cui primo libro fu composto e pubblicato fra il 27 e il 25.
Probabilmente fu proprio la pubblicazione del primo libro ad attirare sullo storico l’attenzione di Augusto, che seguì con vivo interesse il procedere dell’opera, intrattenne con l’autore rapporti di dimestichezza e di amicizia.
Complementare all’esaltazione di Pompeo e alla stima per i cesaricidi doveva essere un atteggiamento ostile nei confronti di Cesare. Tutto ciò non fa assolutamente di Livio, politicamente non impegnato, un oppositore del principato; e se è vero che il controllo esercitato da Augusto sui letterati fu intelligente e quasi mai oppressivo, è altrettanto vero che un’esaltazione degli ideali repubblicani non poteva nuocere all’immagine che Augusto voleva dare di sé, non tanto di erede di Cesare quanto di restauratore delle istituzioni e custode dei valori della res publica.
L’opera di Livio, con la sua esaltazione delle virtù tipicamente romane, risultava in armonia con i temi della propaganda augustea, costituendo di fatto un sostegno ai programmi di riforma avviati dal principe, miranti al risanamento morale, al recupero degli antichi valori religiosi, al ristabilimento dell’ordine e della pace interni allo stato.
Mentre è evidente la sincera e spontanea adesione dello storico a questi valori, non è altrettanto facile comprendere come egli giudicasse il progressivo accentramento di competenze e poteri con cui il principe stava attuando la trasformazione istituzionale della repubblica in principato.
Tuttavia il pessimismo con cui nella prefazione accenna all’età contemporanea permette di dubitare che egli ritenesse il principato augusteo come la felice o necessaria soluzione di quella crisi. Anzi, la laconica notizia conservataci che i libri 121 – 142 furono pubblicati solo dopo la morte di Augusto, potrebbe indicare che lo storico, timoroso che qualcosa nella sua presentazione dei fatti più recenti potesse spiacere al principe, preferì rinviare la pubblicazione, piuttosto che rinunciare alla propria indipendenza o guastare i suoi rapporti di amicizia con lui.
Tali rapporti durarono immutati a lungo. I rapporti con l’ambiente di corte, la fama straordinaria che l’opera gli aveva procurato e orgogliosamente ricordata dallo storico stesso nella prefazione di uno dei libri perduti, non fecero dimenticare a Livio la città natale, dove morì.

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