Maxumum vero
argumentum est naturam ipsam de inmortalitate animorum tacitam iudicare, quod omnibus curae sunt, et maxumae quidem, quae post
mortem futura sint. ‘serit arbores, quae alteri saeclo prosint’, ut ait (Statius) in Synephebis, quid spectans nisi etiam
postera saecula ad se pertinere? ergo arbores seret diligens agricola, quarum aspiciet bacam ipse numquam; vir magnus leges,
instituta, rem publicam non seret? quid procreatio liberorum, quid propagatio nominis, quid adoptationes filiorum, quid
testamentorum diligentia, quid ipsa sepulcrorum monumenta, elogia significant nisi nos futura etiam cogitare?
Versione tradotta
Però il più valido argomento
per provare il tacito giudizio sull'immortalità dell'anima, espresso dallo stesso istinto di natura, è la preoccupazione
generale e vivissima per ciò che accadrà dopo la morte. "Pianta alberi destinati a giovare alla destinazione futura", come dice
Stazio nei Sinefebi: che intendeva dire, se non che lo interessavano anche le future generazioni? Dunque lo zelante agricoltore
pianterà alberi di cui egli non vedrà mai i frutti, e il grand'uomo non pianterà leggi, istituzioni, uno Stato? La
procreazione della prole, la propagazione del nome, l'adozione dei figli, la diligente redazione dei testamenti, gli stessi
elogi funebri scritti sulle tombe, che cosa vogliono siginificare se non che pensiamo anche al futuro?
- Letteratura Latina
- Tusculanae Disputationes di Cicerone
- Cicerone