Tusculanae disputationes, I, 48 - Studentville

Tusculanae disputationes, I, 48

Quae quidem cogitans soleo saepe mirari non nullorum insolentiam philosophorum, qui naturae

cognitionem admirantur eiusque inventori et principi gratias exultantes agunt eumque venerantur ut deum; liberatos enim se per

eum dicunt gravissimis dominis, terrore sempiterno, et diurno ac nocturno metu. quo terrore? quo metu? quae est anus tam delira

quae timeat ista, quae vos videlicet, si physica non didicissetis, timeretis, ‘Acherunsia templa alta Orci, pallida leti,

nubila tenebris loca’? non pudet philosophum in eo gloriari, quod haec non timeat et quod falsa esse cognoverit? e quo

intellegi potest, quam acuti natura sint, quoniam haec sine doctrina credituri fuerunt.

Versione tradotta

Spesso, quando ci penso, io mi stupisco

della sfrontatezza di certi filosofi che celebrano la scienza della natura e, tutti entusiasti, rendono grazie a colui che ne è

l'inventore e il rappresentante principale, e lo venerano come un dio, perché, dicono, egli li ha liberati da due padroni

tirannici come potevano essere un terrore continuo e una paura che non lasciava respiro né di giorno né di notte. Che terrore?

Quale paura? Ma se non c'è vecchia che sia così sciocca da temerle, queste cose (di cui aveste paura, si vede, senza i

vostri studi naturalistici), come "le profonde dimore dell'Orco sulla riva dell'Acheronte, le ragioni dal pallore di

morte, velate di tenebre!". Un filosofo dovrebbe aver vergogna a vantarsi di non temere cose del genere, e di averne

riconosciuta la falsità. Questo prova quanto siano intelligenti di natura quelle persone se, senza l'appoggio della cultura,

ci avrebbero creduto.

  • Letteratura Latina
  • Tusculanae Disputationes di Cicerone
  • Cicerone

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